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Mentre oltrepassavano il vasto bar automatico, Ender notò parecchi ragazzi anziani riuniti in gruppetti che sembravano far conversazione nelle diramazioni del corridoio e sulle scale. Alcuni passeggiavano pigramente nel corridoio principale, o con le spalle poggiate a una parete avevano l’aria di chi aspetta qualcosa. Doveva essere più che una semplice coincidenza, rifletté, il fatto che molti di loro portassero l’uniforme delle Salamandre, mentre tutti gli altri appartenevano alle orde i cui comandanti lo odiavano di più. Alcuni lo sbirciavano e poi distoglievano in fretta lo sguardo, altri cercavano di apparire rilassati ma in realtà erano tesi e nervosi. Cosa potrei fare se aggredissero la mia orda qui nel corridoio? I miei ragazzi sono giovani, tutti fisicamente inferiori, e per niente addestrati alla lotta in gravità normale. Se avessimo avuto il tempo di…

— Ehi, Ender — lo chiamò una voce femminile. Si volse e vide Petra, sulla soglia del piccolo museo dei voli spaziali in compagnia di un’altra ragazzina. — Ender, posso parlarti un momento?

Lui si rese conto che se si fosse fermato la sua orda sarebbe passata oltre, svoltando intorno alla sala musica e lasciandolo solo. — Facciamo quattro passi. Porta anche la tua amica — disse.

— Soltanto una parola. Aspetta.

Lui girò l’angolo insieme ai compagni. Pochi secondi dopo sentì i passi di Petra raggiungerlo di corsa. — D’accordo, verrò in là con te. — Quando Ender la ebbe accanto s’irrigidì involontariamente. Era anche lei una di loro, una di quelli che lo odiavano abbastanza da volergli fare del male?

— Un amico mi ha chiesto di avvertirti. Ci sono dei ragazzi che vogliono ucciderti.

— Che sorpresa! — esclamò Ender. I suoi compagni drizzarono gli orecchi. Li vide scambiarsi alcuni sussurri, con aria fra accigliata e disgustata.

— Ender, guarda che possono farlo. Lui mi ha detto che lo stanno progettando fin da quando sei stato promosso comandante e…

— E ancor di più da quando ho battuto le Salamandre, vuoi dire?

— Anch’io ti ho odiato, quando hai sconfitto l’orda delle Fenici.

— Non ti biasimo. Avrai avuto i tuoi motivi.

Lei sbatté le palpebre. — Comunque, lui mi ha detto di prenderti da parte, oggi, appena uscito dalla sala di battaglia, e di avvisarti che domani dovrai stare molto attento perché…

— Petra, se tu mi avessi preso da parte poco fa, in corridoio c’erano almeno una dozzina di ragazzi che avrebbero potuto spingermi dentro una stanza vuota. Vuoi darmi a intendere che non te n’eri accorta?

D’improvviso il volto di lei avvampò. — No. Come puoi pensare una cosa simile? Non sai neppure chi sono i tuoi amici? — Bruscamente la ragazza spinse da parte un paio di Draghi, girò un angolo e s’allontanò su per la scala che portava al ponte superiore.

— È vero quel che ha detto? — lo interrogò Tom il Matto.

— Cosa dovrebbe esser vero? — Ender si fermò sulla soglia della camerata, azzitti due o tre ragazzi che cominciavano a far baccano e ordinò loro di andare a letto.

— Che alcuni dei più anziani si sono messi d’accordo per ammazzarti.

— Tutte chiacchiere — borbottò lui. Ma pensava esattamente il contrario. Petra aveva saputo qualcosa di concreto, e ciò che lui aveva visto nei corridoi non era frutto della sua immaginazione.

— Saranno chiacchiere, ma spero che tu capisca di cosa parlo quando dico che i tuoi cinque capibranco adesso ti scorteranno fino in camera.

— È una passeggiata superflua.

— Diciamo che ci va di fare quattro passi.

Ender strinse i denti, seccato, ma sarebbe stato uno sciocco a rifiutare. — Fate come volete — disse. Si volse e uscì. I capibranco si accodarono a lui. Uno corse avanti e andò ad aprire la sua porta. Dopo aver controllato che nella stanza non lo attendesse una sorpresa, i ragazzi si fecero promettere che avrebbe chiuso a chiave. Uscirono, pochi secondi prima che si spegnessero le luci.

Sul suo banco lo attendeva un messaggio:

NON RESTARE MAI SOLO — DINK

Sul volto gli comparve un sorriso. Dunque Dink era ancora suo amico. Non preoccuparti. Non mi faranno proprio niente. Io ho la mia orda.

Ma nel buio della notte non aveva altri che se stesso. Confusamente sognò di Stilson, e fu stupito di vedere quanto fosse piccolo: un bambino di appena sei anni. Com’erano ridicole le sue pose da duro! E tuttavia in quel sogno furono Stilson e i suoi amici a sopraffarlo e a picchiarlo, e tutto ciò che lui aveva fatto al ragazzo nella realtà gli venne restituito con gli interessi nella fantasia onirica. Poi vide se stesso strillare e farfugliare come un idiota mentre tentava di dare ordini all’orda dei Draghi, ma dalla bocca non gli uscivano che parole prive di senso.

Si svegliò nelle tenebre, gelato da una paura senza nome. Per scacciarla si ripeté che gli insegnanti certo lo stimavano, altrimenti non l’avrebbero sottoposto a quella pressione. Loro non permetteranno che mi succeda nulla. Nulla di grave, almeno. Probabilmente, anni prima, quando i ragazzi anziani l’avevano assalito in sala di battaglia, fuori c’erano stati degli insegnanti a sorvegliare l’andamento della situazione ed in caso di necessità sarebbero intervenuti. Forse avrei potuto perfino mettermi a sedere, senza reagire, e loro li avrebbero fermati. In queste gare mi stanno addosso come aguzzini, ma fuori dalla sala vogliono che io sia al sicuro.

Con quella riflessione tranquillizzante ricadde nel sonno, e a svegliarlo fu solo il fruscio della porta, il mattino dopo, quando sul pavimento svolazzò la notifica della battaglia che lo attendeva quel giorno.

Vinsero, naturalmente, ma arrivare alla porta nemica fu un inferno. La sala di battaglia era così fittamente piena di stelle che in quel labirinto lo scontro si trasformò in una stressante caccia all’uomo della durata di 45 minuti. Di fronte avevano i Tassi, di Pol Slattery, ed essi combatterono furiosamente. Inoltre era stata introdotta una nuova difficoltà: quando i Draghi colpivano un avversario agli arti costui restava disabilitato per non più di cinque minuti. Soltanto quelli completamente congelati erano fuori in via definitiva. Ma lo scongelamento non funzionava per l’orda dei Draghi. Il primo ad accorgersi di quel che stava accadendo fu Tom il Matto, allorché cominciarono a vedersi attaccare alle spalle da gente che credevano d’avere già tolto di mezzo. E alla fine della battaglia Pol Slattery venne a stringere la mano a Ender e dichiarò: — Sono contento che abbia vinto tu, Ender. Il giorno che ti batterò voglio farlo lealmente.

— Usa quello che ti danno — sospirò lui. — Se ti trovi con un vantaggio sul nemico, tu usalo.

— Oh, è quel che ho fatto — sogghignò Slattery. — Io sono cavalieresco soltanto prima e dopo una battaglia.

Usciti di sala constatarono che avrebbero saltato la colazione; la sala mensa aveva già chiuso, a quell’ora. Ender guardò i suoi soldati che si avviavano in corridoio esausti e accaldati, e disse: — Per oggi ne avete avuto abbastanza. Niente addestramento. Prendetevi un po’ di riposo, svagatevi. Chi ha un esame, studi. — Ed ebbe la misura della loro stanchezza quando nessuno applaudì o rise; si limitarono a sfilare in camerata togliendosi di dosso le tute umide di sudore. Se lui lo avesse chiesto, avrebbero fatto l’addestramento; ma erano al limite delle loro forze e dover stare senza colazione a qualcuno sembrava già l’ultima goccia.

Ender avrebbe voluto farsi una doccia, ma si sentiva la schiena a pezzi. Si distese sul letto con la tuta da battaglia addosso, per quello che gli parve un minuto, e quando si svegliò era quasi l’ora di pranzo. Così svaniva l’idea di andare in videoteca a studiare qualcos’altro sugli Scorpioni. C’era appena il tempo di darsi una lavata, mangiare, e filare in classe per le lezioni pomeridiane.