Si sfilò la tuta, con una smorfia per l’odore corporeo che la impregnava. Aveva dolori muscolari e le articolazioni rigide. Non avrei dovuto mettermi a dormire dopo quella faticata. Sto cominciando a cedere. Mi sono ammosciato. E questo non posso permettermelo.
Così andò a correre un poco in palestra, e prima di passare nelle docce si arrampicò tre o quattro volte sulle corde. Non rifletté che la sua assenza dalla mensa dei comandanti sarebbe stata notata, né che andando a far la doccia all’ora di pranzo, con la sua orda occupata a rifarsi dalla perdita della colazione, sarebbe stato completamente solo e inerme.
Anche quando li sentì entrare nel locale delle docce non prestò loro molta attenzione. Stava assaporando la sensazione dell’acqua che gli scorreva sulla faccia e sul corpo, e il rumore dei passi sembrava lontano e soffocato. Escono già dalla mensa, pensò. Ricominciò a insaponarsi distrattamente. O forse è qualcuno che ha finito tardi l’addestramento.
O forse no. Riaprì gli occhi e si volse. Erano in sette, chi fermo presso la fila dei WC, chi appoggiato a uno dei lavandini, e lo stavano fissando. Davanti a tutti c’era Bonzo. Alcuni di loro esibivano un sorrisetto contorto, la smorfia soddisfatta che il predatore si prende il lusso di concedere alla sua vittima. Bonzo però non stava sorridendo.
— Ohé! — li salutò Ender.
Nessuno rispose.
Lui si volse e chiuse la doccia, anche se aveva sempre un bel po’ di schiuma addosso; poi allungò una mano verso l’accappatoio. Non era più lì. Uno dei ragazzi ci stava giocherellando. Era Bernard. Perché i personaggi di quella scena fossero al completo ci mancavano soltanto Peter e Stilson. Fra loro non avrebbe guastato il freddo sorriso di Peter, e neppure la grossolana imbecillità di Stilson.
Ender seppe che l’accappatoio era la loro esca, la mossa d’apertura. Nulla lo avrebbe reso più ridicolo e debole che andare dall’uno all’altro alla caccia di quell’indumento. Era questo che volevano: umiliarlo e farlo strisciare. Un gioco che lui non avrebbe giocato. Rifiutando di sentirsi a disagio perché era bagnato, infreddolito e nudo si tenne eretto e li fronteggiò, con le mani sui fianchi. Fissò Bonzo negli occhi.
— A te la prima mossa — lo sfidò.
— Questo non è un gioco, furbone — disse Bernard. — Ne abbiamo piene le scatole di te. Ma visto quanto sei bravo ti promuoviamo… al ghiaccio eterno.
Ender non guardò Bernard. Era negli occhi di Bonzo che vedeva il desiderio di uccidere, anche se taceva. Gli altri si tenevano a distanza, come incerti se fuggire e scoprire fin dove avrebbero avuto il coraggio di arrivare. Bonzo sapeva dove voleva arrivare.
— Bonzo — disse sottovoce Ender. — Tuo padre sarebbe orgoglioso di te.
Bonzo strinse le palpebre.
— Quanto sarebbe compiaciuto nel vederti adesso. Vieni a cercare il tuo avversario nudo sotto la doccia, grande e grosso come sei, e ti porti dietro sei amici. Direbbe che ti stai facendo davvero onore, eh?
— Siamo soltanto venuti a farti una proposta amichevole — disse uno dei ragazzi. — Ci basta che tu perda qualche battaglia, una ogni tanto. Magari quella che ti diremo noi.
— Magari anche tutte — aggiunse Bernard.
Gli altri risero, ma Bonzo non fece una piega, e neppure Ender.
— Sarai fiero di te, Bonito, coraggioso soldato. Poi potrai tornare a casa e raccontare ai tuoi ammiratori: sì, sono stato io a spezzare la schiena a Ender Wiggin, che non aveva neppure dieci anni quando io ne avevo tredici. E pensare che avevo soltanto sei amici, ma siamo riusciti lo stesso a dargliele, perché per fortuna lui era nudo e bagnato e solo. E loro diranno: diavolo! Hai avuto un bel fegato ad affrontare quello spaventoso e terribile Ender Wiggin senza portarti dietro almeno altri duecento coraggiosi amici…
— Tappati quella latrina di bocca, Wiggin — disse uno di loro.
— Non siamo venuti per sentir parlare questo piccolo bastardo — disse Bernard. — Non perdiamo altro tempo. Avanti.
— Voialtri state zitti — disse Bonzo. — Chiudete la bocca e state fuori dai piedi. — Cominciò a togliersi la tuta. — Nudo, bagnato e solo, Ender. Così saremo alla pari. Se sono più grosso di te non possiamo farci niente, no? Tu sei tanto intelligente che sai cavartela sempre. — Si volse agli altri. — Andate a sorvegliare la porta. Che nessuno entri.
Il locale delle docce non era molto vasto, e ovunque sporgevano infissi e tubature. Era stato lanciato in orbita in un sol pezzo, come un satellite, pieno fino al soffitto di equipaggiamenti e materiali di ogni tipo, e non aveva spazi morti o non sfruttati al massimo. Non a caso lo avevano cercato lì dentro, si disse, dove un cranio fratturato poteva esser fatto passare per un incidente.
Quando vide Bonzo mettersi in posa si sentì un groppo in gola. Doveva aver preso lezioni di lotta, e si muoveva come un esperto. Aveva un allungo maggiore del suo, era più forte di lui e pieno d’odio. Non farà le cose a metà. Vuole spaccarmi il cranio, pensò Ender. Cercherà di lasciarmi qui dentro con la testa rotta, e se andiamo per le lunghe ci riuscirà. La sua forza avrà la meglio. Se voglio uscire di qui con le mie gambe devo vincere alla svelta, e definitivamente. Gli parve di risentire lo spiacevole rumore con cui il naso di Stilson s’era rotto, quando l’aveva colpito con un calcio. Ma stavolta sarà il mio corpo a spezzarsi, a meno che prima io non spezzi lui.
Ender indietreggiò, diede un colpetto alla testa di una doccia per sollevarla più in fuori e aprì il rubinetto dell’acqua calda. Il getto uscì, in un alone di vapore. Svelto aprì le altre docce della fila.
— Non ho paura dell’acqua bollente — disse sottovoce Bonzo, muovendosi verso di lui.
Ma a Ender non interessava l’acqua. Voleva il vapore. Aveva addosso una patina di sapone secco, e l’umidità avrebbe reso il suo corpo più sdrucciolevole di quel che Bonzo poteva gradire.
Improvvisamente dalla porta venne un grido: — Basta, fermati! — Per un attimo Ender pensò che fosse un insegnante capitato lì per caso, ma invece era Dink Meeker. Gli amici di Bonzo lo avevano immobilizzato sulla soglia, schiacciandolo col petto contro il montante della porta. Il ragazzo girò la testa. — Smettila, Bonzo! — urlò. — Guai a te, se gli fai del male. Non puoi!
— E perché non posso, eh? — disse Bonzo, e per la prima volta sorrise. Ah, pensò Ender, gli piace far vedere a qualcuno che ha la situazione in mano, che è il più forte.
— Perché lui è il migliore, ecco perché! Chi altro può combattere gli Scorpioni come lui? È solo questo che conta, maledetti idioti, gli Scorpioni!
Bonzo smise di sorridere. Se doveva esserci una ragione inconfessabile per il suo odio, forse era proprio il sapere che Ender contava qualcosa per altra gente, mentre di sé non poteva dire lo stesso. Con le tue parole mi hai condannato, Dink. Per Bonzo, l’idea che io possa farmi onore anche fuori dalla Scuola è veleno.
Dove sono gli insegnanti? pensò, irritato. Non hanno capito che fra noi basta una lotta di pochi secondi per portare al dramma? Qui non siamo in sala di battaglia con addosso una tuta imbottita. Qui c’è la gravità, spigoli e angoli dove basta un colpo ed è la fine. Fermateci ora, o non ci fermerete più.
— Se lo tocchi sei uno sporco amico degli Scorpioni! — gridò Dink. — Sei un traditore. Se gli fai del male meriti di crepare! E io… uch! — Gli altri ragazzi gli fecero sbattere la faccia contro lo spigolo della porta, e lui si afflosciò con un gemito.
L’atmosfera del locale era annebbiata dal vapore e il corpo di Ender sudava, imperlato di umidità. Adesso, mentre sono ancora abbastanza scivoloso per le sue mani.