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Uscì dalla camerata lasciando dietro di sé un tumulto di chiacchiere, ma fece in tempo a sentire Tom il Matto che gridava: — Due fottute orde! E con questo? Gli frusteremo il culo!

Nelle docce non c’era nessuno. Il pavimento era stato lavato. Neppure una delle gocce di sangue che Bonzo aveva lasciato sulla parete e in terra. Ogni traccia cancellata. Lì non era mai accaduto nulla di spiacevole e di sporco.

Ender avanzò sotto il getto d’acqua tiepida e si sciacquò, lasciando che il sudore di quel combattimento se ne andasse giù per lo scarico. Tutto eliminato, salvo che lo ricicleranno, e domattina ognuno berrà la sua dose del sangue di Bonzo. Sangue ormai senza vita, ma pur sempre sangue, e con esso il mio sudore. Il tutto versato in nome della stupidità o della crudeltà o di qualunque cosa li abbia convinti a lasciarlo succedere.

Si asciugò, indossò la tuta e s’avviò verso la sala di battaglia. La sua orda stava aspettando in corridoio, presso la porta ancora chiusa, e quaranta sguardi lo seguirono in silenzio mentre andava a fermarsi di fronte al campo di forza bianco grigiastro. Tutti sapevano già che genere di battaglia li attendeva al di là di esso; questo, e la loro stanchezza residua dello scontro di quel mattino, li tratteneva dal darsi la carica con le solite grida. Dover affrontare insieme i Grifoni e le Tigri avrebbe messo a terra il morale di chiunque.

Qualunque cosa, purché serva a sconfiggermi, pensò Ender. Qualunque stratagemma riescano a pensare, sovvertendo anche le regole, senza fermarsi davanti a nulla pur di battermi. Be’, sono stanco di questi giochi. Nessun gioco vale il sangue di un ragazzo sparso sul pavimento delle docce. Congelatemi, rispeditemi a casa, io non ci sto più.

La porta si dissolse. Soltanto tre metri più avanti c’erano quattro stelle unite insieme, che bloccavano completamente la vista della sala. Due orde non bastavano. Devono anche tappare gli occhi alla mia orda.

— Bean — disse, — prendi i tuoi ragazzi e guarda cosa c’è dietro questa stella.

Bean svolse la treccia molecolare, se ne fissò un capo intorno alla cintura, diede l’altro a uno dei soldati della sua squadra e balzò lievemente oltre la porta. I cinque compagni lo seguirono subito. Era una manovra che avevano già sperimentato parecchie volte, e in pochi secondi riuscirono ad agganciarsi sulla parete interna della stella. Bean si spinse fuori a gran velocità, su una linea parallela alla porta; quando poi fu quasi all’angolo della sala scalciò contro la parete proiettandosi verso gli avversari. Lampi di luce sull’altro lato del locale lo informarono che questi gli stavano sparando addosso. Ma poiché era legato alla corda la sua traiettoria divenne un arco di cerchio facendo di lui un bersaglio impossibile, un arco che oltretutto si stringeva mentre la sua squadra tirava la treccia per recuperarlo sul lato opposto della stella. Appena i suoi lo ebbero portato al riparo mosse le braccia e le gambe, mostrando a quelli rimasti in corridoio che il nemico non lo aveva colpito da nessuna parte.

Ender lo raggiunse oltrepassando la soglia con un saltello.

— È piuttosto scuro — disse Bean, — ma c’è abbastanza luce da non poter seguire facilmente le loro mosse grazie alla fluorescenza delle tute. Il tipo di illuminazione peggiore. È tutto spazio aperto, da questa stella fino alla parete opposta. Ma là ci sono otto stelle riunite in un quadrato attorno alla loro porta. Non ho visto nessuno, salvo quelli che sporgevano la testa per sbirciare fuori. Ci aspettano standosene tutti quanti appostati là dietro.

Come a corroborare il rapporto di Bean, uno degli avversari gridò in tono sfottente: — Ehi, Dragamosci! Se volete pescare, non fatelo con uno stronzo attaccato alla lenza. Attaccateci le vostre sorelle, che noi stiamo qui ad abboccarcele!

Alcuni Draghi sogghignarono, impazienti di uscire con la pistola in mano, ma Ender non sapeva cosa pensare. Era una cosa stupida. Che possibilità aveva contro un nemico due volte più numeroso che per di più lo attendeva dietro una barricata? — In una guerra vera, ogni comandante con due grammi di cervello terrebbe indietro i suoi uomini anche lui.

— All’inferno! — disse Bean. — È soltanto un gioco.

— Ha smesso di essere un gioco quando gli insegnanti hanno cominciato a capovolgere le regole.

— Allora capovolgile anche tu.

Ender sogghignò. — D’accordo. Perché no? Vediamo come i nostri amici reagiscono davanti a una formazione.

Bean sbarrò gli occhi. — Una formazione? Ma non ne abbiamo mai fatta una da quando ci hanno messo in quest’orda!

— Abbiamo avuto la nostra prima battaglia dopo un mese di addestramento, cioè quando di solito si comincia a lavorare in formazione. Ormai è tempo che impariate anche questo. — Si volse alla porta, che era tornata a essere un muro opaco penetrabile da un solo lato, e con le dita segnalò: «branco A, avanti». I ragazzi emersero dalla parete d’energia, e lui cominciò a metterli in posizione al riparo della stella. Tre metri di spazio non erano molti, e la metà di loro erano confusi e di malumore, così ci vollero cinque minuti buoni prima che capissero il senso di ciò che stavano per fare.

Le Tigri e i Grifoni ingannavano il tempo gridando in coro sberleffi spiritosi di buon effetto, mentre i loro comandanti discutevano sulla possibilità di attaccare l’orda dei Draghi prima ancora che uscisse da dietro la stella. Momoe insisteva per l’attacco immediato. — Cristo, li superiamo per due a uno! — ripeteva, mentre la tesi di Bee era: — Appostati qui non possiamo perdere. Uscendo rischieremmo di scoprire che ha trovato un dannato modo per batterci.

Così restarono strettamente raggruppati dov’erano, finché in quella fosca penombra non videro una larga massa oscura emergere da dietro la stella dei Draghi. Aveva esattamente la stessa forma, e la mantenne anche quando smise di scivolare lateralmente e si proiettò dritta verso il centro vuoto del riparo quadrangolare usato dagli ottantadue avversari in attesa.

— Quella è bella! — esclamò un Grifone. — I Draghi che vengono avanti in formazione!

— Uno scudo! — brontolò Momoe. — E ci hanno impiegato cinque minuti per metterlo insieme. Se li attaccavamo allora, li avremmo già fatti a pezzi.

— Rifletti, Momoe — sussurrò Bee. — Hai visto il modo in cui quel ragazzino è volato fuori. Ha fatto un giro intorno alla stella senza toccare una parete. Forse hanno ottenuto l’uso dei radioganci, non credi? Devono avere qualcosa di nuovo, quelli là.

La formazione era comunque strana: un quadrato formato da corpi strettamente uniti, come un muro, sulla parte anteriore. Dietro di esso un cilindro, con la circonferenza fatta da sei ragazzi e una profondità di due; tutti quanti però completamente congelati e rigidi, cosicché non si capiva come riuscissero a tenersi uniti. E tuttavia qualcosa li teneva uniti quasi che fossero legati l’uno all’altro… il che, infatti, era vero.

Dall’interno di quella formazione altri Draghi stavano sparando con rapidità raffiche di colpi, e per un poco le Tigri e i Grifoni furono costretti a restare dietro le loro stelle.

— La parte posteriore di quell’affare lì è aperta — stabilì Bee. — Appena saranno abbastanza vicini potremo aggirarli e…

— Non starne a parlare, fallo! — esclamò Momoe. Senza perdere altro tempo ordinò ai suoi ragazzi di lanciarsi contro le pareti e rimbalzare dietro la formazione dei Draghi.

Nel caos della partenza delle Tigri, mentre i Grifoni si riunivano anch’essi lungo i bordi esterni del loro riparo, qualcosa mutò nella formazione dei Draghi: sia il cilindro che il muro frontale si aprirono in due, come se all’interno ci fosse stato un movimento molto energico, e all’istante essa invertì la direzione, tornando verso la porta da cui era partita. I Grifoni cominciarono a sparare, lanciandosi avanti, mentre la manovra aggirante delle Tigri riusciva perfettamente. I corpi dei Draghi pullulavano di cerchietti luminosi, centrati da decine e decine di colpi. Nella penombra Momoe mandava urla vittoriose.