— È chiaro. Se hanno deciso di indebolire la mia orda, quelli la radono al suolo. Qualunque cosa facciano, non la fanno mai a metà.
— Tu vincerai ancora, Ender. Tutti ne siamo convinti. Tom il Matto ha detto: «Ma mi ci vedi a comandare un’orda che debba battere i Draghi?» Tutti sanno che sei il migliore. Non riusciranno a spezzarti ora, qualunque cosa…
— L’anno già fatto.
— No, Ender. Oggi hai dimostrato che…
— Non m’importa più niente di questi giochi, Bean. Io non gioco più. Niente più addestramenti, niente più battaglie. Possono consegnarmi qui dentro tutte le notifiche che vogliono, ma io lascio perdere. L’ho deciso oggi prima di entrare in sala di battaglia. E se ho fatto di tutto per vincere è perché volevo andarmene con stile, solo per questo.
— Avresti dovuto vedere la faccia di William Bee. Non ce la faceva a raccapezzarsi all’idea che tu avessi vinto con sei ragazzi mezzo congelati, mentre in sala c’erano ottantadue di loro ancora tutti sani.
— Perché dovrei stare a pensare alla faccia di William Bee? Perché dovrei voler battere questo e quello? — Ender si appoggiò le palme delle mani sugli occhi. — Oggi ho fatto del male a Bonzo. Del male sul serio, Bean.
— Se l’è cercata.
— Non cadeva, e io continuavo a colpirlo. Stava in piedi come un pezzo di carne morta, e io gli sbattevo la testa nel muro…
Bean non disse niente.
— Volevo essere sicuro che non potesse mai più minacciarmi così.
— Non lo farà — disse Bean. — Lo spediscono a casa.
— Di già?
— Gli insegnanti non hanno detto molto, come al solito. La notizia ufficiale è che l’hanno promosso, ma nello spazio dove scrivono l’assegnazione… sai, Corso Piloti, o Scuola Armamenti, Corso Sottufficiali, o Specializzazioni Tecniche, questo genere di cose… be’, c’è scritto Cartagena, Spagna. È casa sua.
— Sono contento che l’abbiamo promosso.
— Diavolo, Ender, noi siamo contenti che sia fuori. Se avessimo saputo cosa voleva farti l’avremmo ammazzato a sangue freddo. È vero che ti ha aggredito con tutta una banda di altre carogne? Si dice che…
— No. Soltanto lui e io. E si è battuto onorevolmente. — Se non fosse stato per il suo senso dell’onore, comunque, gli altri mi sarebbero venuti addosso tutti insieme. E avrebbero potuto ammazzarmi. Questo mi ha salvato la vita. - Io invece non sono stato a pensare al mio onore — aggiunse sottovoce. — Mi sono battuto per vincere.
Bean rise. — E l’hai fatto. Gli hai mollato un calcio che lo farà filare a razzo fin sulla Terra.
Bussarono alla porta. Ma prima che Ender potesse rispondere questa si aprì. S’era aspettato qualcun altro dei suoi soldati, invece era il maggiore Anderson. E dietro di lui venne dentro il colonnello Graff.
— Ender Wiggin — disse Graff.
Lui si alzò. — Sì, signore.
— L’insolenza di cui hai dato prova oggi in sala di battaglia è stata eccessiva, e non deve ripetersi.
— Sissignore — disse Ender.
Bean era però ancora d’umore insubordinato, e quel rimprovero gli parve ingiusto. — Signore, secondo me era tempo che qualcuno dicesse a un insegnante come la pensiamo su quello che avete fatto.
I due adulti lo ignorarono. Anderson porse a Ender un foglio di carta. Formato protocollo, non come quelli stampati dal computer che servivano per le comunicazioni interne. Era fitto di ordini e di istruzioni. Bean sapeva cosa significava: Ender era stato trasferito fuori dalla Scuola.
— Promosso? — gli chiese. Ender annuì. — Perché ci hanno messo tanto? Sei solo di due o tre anni in anticipo sull’età minima. Comunque hai imparato a camminare, a parlare e a vestirti da solo. Cos’altro gli rimarrebbe da insegnarti?
Ender scosse il capo. — Tutto ciò che so è che il gioco è finito. — Ripiegò il foglio. — Mai troppo presto per me. Posso dirlo all’orda?
— Non c’è tempo di girare per la Scuola in cerca dei tuoi conoscenti — disse Graff. — La tua navetta parte fra venti minuti. Questo rende tutto più facile.
— Per noi o per lei? — chiese Ender. Non si aspettava una risposta. Si volse a Bean, gli strinse forte la mano per un momento, poi andò alla porta.
— Aspetta — disse Bean. — Dove sei stato assegnato? Specializzazione Tecniche? Corsi di Tattica? Armamenti?
— Scuola Ufficiali — rispose Ender.
— Al corso di preparazione?
— Al corso ufficiali — disse Ender, e uscì in corridoio. Anderson lo seguì. Bean prese il colonnello Graff per una manica. — Ma nessuno va alla Scuola Ufficiali, prima dei sedici anni.
Graff si liberò dalla sua mano, uscì e chiuse la porta dietro di sé.
Bean rimase solo nella stanza, stentando ad afferrare il significato di quel che aveva udito. Nessuno s’era mai iscritto alla Scuola Ufficiali senza aver fatto i tre anni di corso preparatorio in una delle specializzazioni tecniche o logistiche. Del resto, nessuno era mai uscito dalla Scuola di Guerra prima d’aver completato i sei anni del corso, e Ender ne aveva fatti solo quattro.
Il sistema sta andando a rotoli. Non c’è dubbio, ormai. O qualcuno negli alti comandi è impazzito, o la guerra ha avuto una brutta svolta. La guerra vera, quella con gli Scorpioni. Per quale altro motivo avrebbero stravolto i regolamenti interni a questo modo, e inasprito le gare? Per quale altro motivo avrebbero messo un bambino come me al comando di un’orda?
Bean continuò a rimuginare quelle domande mentre tornava in camerata. Le luci si spensero proprio mentre si fermava accanto alla sua cuccetta. Si spogliò nel buio, e irritato annaspò a lungo prima di riuscire ad appendere la tuta nell’armadietto. Non s’era mai sentito così depresso. Dapprima aveva pensato che la causa fosse l’inconscia paura di comandare un’orda, ma non era così. Sapeva che sarebbe stato un buon comandante. Ma continuava ad aver voglia di piangere. Non lo aveva fatto più dopo i primi giorni dal suo arrivo, quando la nostalgia di casa lo assaliva. Cercò di dare un nome al groppo che aveva in gola, alla sensazione che gli spingeva le lacrime agli occhi ad onta dei suoi sforzi per ricacciarle indietro. Si mise un pollice in bocca e lo morse, per sostituire un dolore noto a uno oscuro. Non funzionò. Non avrebbe mai più rivisto Ender, mai più.
Appena capì che la sua spina era quella, riuscì pian piano a levarsela dalla carne. Disteso sulla cuccetta fece esercizi di respirazione finché il bisogno di piangere scomparve. Poi si girò su un fianco e cercò di dormire, ma per qualche minuto il suo respiro continuò a essere rapido e secco, la fronte corrugata, gli orecchi tesi ai piccoli rumori notturni dei suoi compagni. Lui era lì con loro, ed era un soldato. Se qualcuno fosse venuto a chiedergli cos’avrebbe voluto fare da grande, non avrebbe avuto altra risposta da dargli.
Fu mentre si trasferiva sulla navetta che Ender notò per la prima volta i gradi sull’uniforme del maggiore Anderson. Erano diversi. — Sì, ora è colonnello — gli spiegò Graff. — In effetti, oggi pomeriggio il colonnello Anderson è stato messo alla direzione della Scuola di Guerra. Io sono stato assegnato a un altro incarico.
Ender non gli chiese quale.
Graff fluttuò giù fra i braccioli della poltroncina accanto alla sua, dall’altra parte del passaggio centrale. In cabina c’era soltanto un altro passeggero, un uomo in borghese, dall’aria tranquilla, che gli era stato presentato come il generale Pace. Aveva con sé una valigetta portadocumenti, ma non più bagaglio di quello che avevano lui e Graff. Per qualche ragione, il fatto che anche Graff se ne andasse da lì a mani vuote gli parve consolante.
Durante il tragitto verso la zona più interna del sistema solare Ender parlò una volta sola. — Perché stiamo tornando sulla Terra? — domandò. — Credevo che la Scuola Ufficiali fosse da qualche parte fra gli asteroidi.