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— Chi poteva aspettarsi di meno? Sei un Wiggin.

— Già. Qualunque cosa questo significhi.

— Significa che tu puoi spingere il mondo in una certa direzione, se spingi nel posto adatto e nel momento adatto — disse Val, e gli rivelò ciò che Peter e lei stavano facendo.

— Quanti anni ha Peter? Quattordici? E pensa già di conquistare il mondo?

— Crede d’essere Alessandro il Grande. E perché non potrebbe esserlo? Perché anche tu non potresti esserlo?

— Non potremmo essere tutti e due Alessandro.

— Due facce della stessa medaglia. E io, il metallo che ne compone l’interno. — Ma subito Val dovette chiedersi fino a che punto lei fosse in posizione centrale. Aveva condiviso tante esperienze con Peter in quei pochi anni che perfino mentre lo disprezzava si rendeva conto di capirlo. Ender invece fino a quel momento era stato soltanto un ricordo: un ragazzino fragile e delicato che aveva bisogno della sua protezione. Non questo giovinetto abbronzato e dallo sguardo freddo, che schiaccia le vespe con le mani. Forse io e Peter e lui siamo fatti della stessa pasta, lo siamo sempre stati, e abbiamo voluto crederci diversi per orgoglio e per invidia.

— Il guaio con le medaglie è che la luce del sole può illuminare soltanto una faccia. L’altra sta all’ombra.

E proprio adesso tu credi di essere tornato all’ombra. - Vogliono che io ti incoraggi a proseguire gli studi.

— Non sono studi, sono gare. Nient’altro che gare, dall’inizio alla fine, solo che loro cambiano le regole quando e come gli salta in ticchio di farlo. — Mosse le mani a dita aperte. — Hai mai provato a far ballare una marionetta appesa ai fili?

— Puoi tirare anche tu gli stessi fili che ti legano.

— Soltanto se loro rilassano le dita. Soltanto se pensano che così ti stanno ancora usando. No, è troppo duro, è un gioco che non voglio giocare più. Appena comincio a sentirmi tranquillo, appena m’illudo di riuscire a padroneggiare le cose, mi piantano un altro coltello fra le costole. Da quando sono qui ho perfino degli incubi… sogno di essere in sala di battaglia, solo che invece di lasciarmi volare senza peso loro mi costringono a combattere nella gravità, e le cambiano continuamente direzione, così non riesco mai ad atterrare dove voglio, mai ad andare dove ho deciso di andare. E allora li supplico di lasciarmi uscire dalla porta, ma loro mi parlano solo con le luci del loro computer, mi risucchiano lì dentro. Mi trasformano in un ingranaggio di quella macchina insensata.

Val sentì l’ira della sua voce, e la sentì diretta anche contro di lei. — Già. Si presume che io sia qui per questo. Per spingerti di nuovo nella loro macchina.

— Io non volevo incontrarti.

— Me l’hanno detto.

— Avevo paura di scoprire che ti voglio ancora bene.

— Questo era ciò che io speravo.

— La mia paura, la tua speranza… altri due fili, per loro.

— Non è del tutto vero, Ender. Siamo troppo giovani, forse, ma non senza potere. Abbiamo giocato tanto secondo le loro regole che questa è diventata la nostra partita. — Ebbe una risatina. — Io faccio addirittura parte di una commissione presidenziale. Peter non è riuscito a mandarla giù.

— Loro non mi permettono contatti con la videostampa. Qui non c’è neppure un computer, a parte un vecchio barattolo che si occupa degli impianti di sicurezza e degli elettrodomestici. Roba istallata un secolo fa, quando facevano computer che non s’inserivano sui satelliti. Mi hanno tolto la mia orda, mi hanno tolto il banco, e la sai una cosa? Non è che me ne importi molto.

— Tu sai star bene in compagnia di te stesso.

— Io sono soltanto in compagnia dei miei ricordi.

— Forse è questo che siamo: i nostri ricordi.

— No. I miei ricordi degli altri. Degli sconosciuti. Degli Scorpioni.

Valentine rabbrividì, come all’improvviso passaggio di una brezza fredda. — Io ho smesso di guardare i video sugli Scorpioni. Sono sempre gli stessi.

— Io li studiavo per ore. Il modo in cui le loro navi si muovono nello spazio. E ti dirò una cosa strana, che ho capito veramente solo standomene qui al sole sul lago: tutte le battaglie in cui gli Scorpioni e gli uomini si scontrano faccia a faccia, sono roba della Prima Invasione. Mentre in ogni scena ripresa durante la Seconda Invasione, con i nostri soldati nell’uniforme della F.I., gli Scorpioni che vi compaiono sono già tutti morti. Non uno che si veda combattere o muoversi. E la battaglia di Mazer Rackham… non è in circolazione una sola ripresa di quell’avvenimento.

— Forse usò un’arma segreta.

— No, no, non sto a preoccuparmi del come li abbia uccisi. È un problema di censura ingiustificata: non vogliono dirmi niente degli Scorpioni, e nello stesso tempo pretendono che un giorno o l’altro io vada a combatterli. Io mi sono battuto già molte volte in vita mia, talvolta per gioco e talvolta… non per gioco. E ogni volta che sono riuscito a vincere è stato perché potevo capire i processi mentali dell’avversario da quello che facevano. Riuscivo a stabilire cosa pensavano che io avrei fatto, e come immaginavano che sarebbe andata la battaglia. E giocavo su questo. Oh, ero diventato un esperto. Ottenere un risultato basandosi su ciò che pensano gli altri.

— La maledizione dei fratelli Wiggin — scherzò lei, ma la spaventò il pensiero che Ender potesse leggere in lei come faceva con i suoi nemici. Peter la sapeva scrutare in fondo all’anima, o almeno era convinto di farlo, ma lui era una tale sentina di depravazione che Val non poteva provare imbarazzo neppure quando lo vedeva intuire anche i suoi pensieri peggiori. Ender, invece… da lui non sopportava d’esser scrutata così a fondo. Si sarebbe sentita nuda sotto i suoi occhi. Avrebbe avuto vergogna. — Credi che non riusciresti mai a battere gli Scorpioni senza saper nulla di lóro?

— La cosa ha anche altre sfaccettature. Stando qui, da solo e coi lussi dell’ozio, ho potuto anche riflettere su me stesso. E sul perché odio tanto me stesso.

— No, Ender… non devi.

— Non dirmi che non devo. Ci ho messo molto a capire che era così, e credimi, mi odiavo. Mi odio. E sono arrivato a intuire questo: nel momento in cui io capisco davvero il mio avversario, abbastanza profondamente da poterlo battere, in quel preciso momento io comincio ad amarlo. Penso che sia impossibile conoscere una persona, ciò che è e ciò in cui crede, senza amarla come lei ama se stessa. Ed è proprio allora, nell’istante in cui sento di amare il mio nemico, che io…

— Lo sconfiggi — terminò lei, e d’un tratto non ebbe più paura della sua capacità di leggere in lei.

— No, non hai capito. Io lo distruggo. Gli precludo ogni possibilità di assalirmi ancora. Lo calpesto e continuo a calpestarlo finché non esiste più.

— Stai esagerando, naturalmente. — Ma in lei tornò la paura, più gelida di prima. Peter si è ammorbidito, e tu… hanno fatto di te un killer. Due facce della stessa medaglia, ma chi è una faccia, e chi l’altra?

— Io ho fatto davvero del male a qualcuno, Val. Non esagero.

— Lo so, Ender. — Come farai del male a me?

— Vedi cosa sono diventato, Val? — mormorò lui. — Anche tu mi temi. — E le sfiorò una guancia, così gentilmente che lei avrebbe voluto piangere. Con la stessa morbidezza che la sua mano di bambino aveva avuto un tempo. Nella pelle di lei era rimasto il ricordo di quelle tenere dita innocenti che le toccavano il viso.

— Non ti temo — disse, e in quel momento seppe che era vero.

— Dovresti.

Non dovrò mai temerti. - Smettila di remare coi piedi nell’acqua. Finirai per attirare gli squali, lo sai.