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Ender rientrò dalla porta posteriore, ancora bagnato dopo il suo ultimo tuffo nel lago. All’interno della villa non c’era una luce accesa, e nell’oscurità del soggiorno trovò Graff ad aspettarlo.

— Possiamo andarcene da qui? — chiese Ender.

— Se è questo che vuoi — annuì Graff.

— Quando?

— Appena sei pronto.

Ender si fece una doccia e si vestì. Gli era parso piacevole riabituarsi a maneggiare e indossare abiti civili, ma ancora non si sentiva a suo agio senza un’uniforme o una tuta da battaglia. Non indosserò mai più una tuta da battaglia, rifletté. Quelle erano le gare della Scuola di Guerra, una cosa con cui ho chiuso. Dalla finestra entrava il coro dei grilli che frinivano nel prato; in distanza ci fu il crepitio della ghiaia sotto i pneumatici di un’auto che usciva lentamente dalla rimessa.

Cos’altro avrebbe potuto portare con sé? Aveva letto parecchi dei libri contenuti nella piccola biblioteca, ma appartenevano alla casa e dovevano esser lasciati lì. La sola cosa di sua proprietà era la zattera, e anche quella sarebbe rimasta lì.

Al pianterreno le luci erano accese, e Graff si alzò nel vederlo comparire. Anche lui s’era cambiato. Indossava di nuovo l’uniforme.

Sedettero sul divano posteriore della macchina, e l’autista guidò a velocità moderata per le oscure strade di campagna verso l’aereoporto. Dopo un po’ Graff disse: — Un tempo, quando la popolazione aumentava ancora, mantennero questa zona a boschi e fattorie. È una terra ben irrigata, con una quantità di sorgenti e fiumiciattoli e molta acqua nel sottosuolo. Gli alberi hanno affondato le radici fin nel cuore della terra, rendendola viva. Ma noi ne abitiamo solo la superficie, come gli insetti che scivolano sul pelo dell’acqua in riva al lago.

Ender non disse nulla.

— Noi addestriamo i nostri ufficiali perché imparino a pensare in un certo modo, e questo richiede che molti elementi della vita normale scompaiano dalla loro mente, perciò li isoliamo. Voi. Vi teniamo appartati. E la cosa funziona. Ma è così facile, quando non incontri mai gente, quando non senti il profumo della terra, quando vivi fra pareti metalliche oltre le quali c’è il gelo dello spazio, è così facile dimenticare che vale la pena di combattere e morire per questa Terra. Perché il nostro pianeta e la sua gente meritano che si paghi qualunque prezzo per salvarli.

Così è per questo che mi avete portato qui, pensò Ender. Con tutta la vostra fretta di agire, è per questo che mi avete regalato tre mesi in riva a un lago: per farmi amare la Terra. Be’, ha funzionato. Tutti i vostri trucchi hanno funzionato. Anche Valentine. Anche lei uno stratagemma, per ricordarmi che non vado a scuola solo per me stesso. Bene, me lo ha ricordato.

— Può darsi che io abbia strumentalizzato Valentine — disse Graff, — e che tu mi odi per questo, Ender. Ma non dimenticare una cosa: lei ha ottenuto un risultato perché quel che c’è fra voi due è importante, è autentico, è una cosa che vale. Miliardi di legami simili uniscono miliardi di esseri umani. È per questo che combattiamo.

Ender si volse al finestrino e guardò le luci degli aeromobili che decollavano o atterravano sul campo d’aviazione.

Un elicottero li portò allo spazioporto della F.I. a Stumpy Point. La base aveva un altro nome, quello di un Egemone morto anni addietro, ma tutti continuavano a chiamarla Stumpy Point, dalla piccola e misera cittadina che era stata spazzata via dalle distese di cemento e acciaio e plastica sorte sulla riva del Pamlico Sound. C’erano ancora stormi di anatre selvatiche che nidificavano nelle paludi salmastre, dove i salici si piegavano quasi ad abbeverarsi. Cominciò a cadere una pioggia leggera e le immense piste si fecero lucide e scure; era difficile capire dove lasciassero il posto alle acque della baia.

Graff lo condusse attraverso.un labirinto di controlli. L’autorità dell’ufficiale era contenuta in una pallina di plastica che si portava dietro: la lasciava cadere entro canaletti inclinati, le porte si aprivano, uomini in divisa si alzavano e salutavano, la macchina risputava fuori la pallina e Graff tirava via diritto. Ender notò che dapprima tutti guardavano Graff, ma quando furono penetrati abbastanza nelle strutture dello spazioporto la gente cominciò a prestare più attenzione a lui. All’esterno avevano badato solo all’uomo e alla sua autorità, ma più avanti, dove tutti avevano un’autorità, era il suo carico umano a destare maggiore interesse.

Soltanto quando s’accorse che Graff si stava allacciando la cintura di sicurezza, seduto accanto a lui nella cabina della navetta, Ender capì che anche l’ufficiale lasciava la Terra.

— Fin dove? — gli chiese. — Fin dove viaggerà con me?

Graff ebbe un breve sorriso. — Per tutta la strada, Ender.

— L’hanno promossa direttore della Scuola Ufficiali?

— No.

Così avevano rimosso Graff dal suo incarico alla Scuola di Guerra col solo scopo di accompagnare lui in quel trasferimento. Sono importante fino a questo punto, si meravigliò Ender. E insinuante come un sussurro di Peter un pensiero lo attraversò: che vantaggi posso trarne?

Con un brivido cercò di pensare a qualcos’altro. Peter poteva cullarsi nei suoi sogni di potere, ma lui non aveva simili fantasie. Eppure, ripensando ai suoi anni alla Scuola di Guerra, dovette dirsi che aveva sempre avuto del potere sugli altri. Un potere legato al fatto di eccellere, e non già alla sua capacità di dominare il prossimo. Dunque non aveva motivo di vergognarsene. Mai, salvo che con Bean, aveva usato quel potere per ferire qualcuno. E anche con Bean le cose s’erano volte al meglio, dopotutto. Bean era diventato suo amico, prendendo il posto di Alai, che a sua volta aveva sostituito Valentine. Valentine, che stava aiutando Peter nei suoi piani segreti. Valentine, che gli avrebbe voluto bene qualunque cosa fosse accaduta. E seguendo quei pensieri si lasciò trasportare di nuovo sulla Terra, di nuovo alle ultime quiete ore di sole al centro del piccolo lago, nell’abbraccio delle colline boscose. Ed è questa la Terra, pensò. Non un globo lontano sospeso nello spazio, ma gli alberi che succhiano la linfa dalle rive di un lago colmo di riflessi, una casa seminascosta dalla vegetazione in cima a un’altura, un pendio erboso su cui il sentiero si vede appena, i pesci che sfiorano un attimo la superficie dell’acqua, il guizzo del martin pescatore che vola a catturare un insetto fra le canne. E la voce di una fanciulla che gli parlava attraverso il sipario degli anni trascorsi. La stessa voce che un tempo lo aveva rassicurato e consolato. La stessa voce a cui lui avrebbe impedito di spegnersi ad ogni costo, anche tornando a scuola, anche lasciando la Terra per altri quattro o altri quattromila anni. Anche se lei vuole più bene a Peter.

I suoi occhi erano chiusi, e l’unico suono che gli usciva dalle labbra era stato il respiro; tuttavia Graff si sporse attraverso il passaggio centrale e gli poggiò una mano su un braccio. Ender trasalì sorpreso. Subito sentì la mano dell’uomo ritrarsi, ma per un attimo fu come folgorato dalla stupefacente intuizione che forse Graff provava un certo affetto per lui. Ma no, doveva essere un altro dei suoi gesti maledettamente calcolati. Graff stava fabbricando un comandante, pezzo dopo pezzo, a partire da un ragazzino. Senza dubbio nel suo manuale di istruzioni un paragrafo prevedeva: Comma-17/carezza affettuosa dell’insegnante sull’arto superiore destro del soggetto.

La navetta impiegò poche ore a raggiungere il satellite AIP. Attracco Inter-Planetario era una città di tremila abitanti, che respiravano l’ossigeno prodotto dalle stesse piante di cui si nutrivano, bevendo un’acqua già passata mille volte attraverso i loro corpi, e vivevano soltanto al servizio dei rimorchiatori che facevano il grosso dei trasporti merci nel sistema solare e delle navette che portavano passeggeri fra la Terra e la Luna. Era un mondo dove Ender poté sentirsi a casa per un poco, dato che i pavimenti s’incurvavano all’insù come alla Scuola di Guerra.