Il fuoco delle navi da battaglia che chiudevano verso di loro era infernale. In quell’incubo di raggi roventi come il cuore di una stella un incrociatore terrestre esplose, per altri due, e un quarto, tre astrocaccia svanirono in una nube atomica, e quindi ancora un incrociatore, e un altro… era un massacro, e continuava ad esserci l’incognita: quante navi sarebbero sopravvissute abbastanza da giungere a portata di tiro? Sarebbero bastati pochi attimi, una volta che i due raggi dell’arma avessero potuto convergere in corrispondenza della superficie. Un secondo con il Dr. Device, questo è tutto ciò che chiedo. Ender rifletté che forse il computer non era neppure equipaggiato con un programma che mostrasse le conseguenze dell’attacco di Little Doc a una massa planetaria. Cosa posso fare, allora? Dire «Bang! Siete morti»?
Ender si appoggiò allo schienale della poltroncina e restò a osservare quel che avrebbero fatto i suoi uomini, o meglio i pochi piloti e gli addetti ai sistemi d’arma superstiti. C’era un solo incrociatore, adesso, e osservato dalla sua prospettiva il pianeta distava meno di cinquantamila chilometri. L’astronave filava verso di esso come una bomba. Sicuramente siamo a portata, ora, pensò Ender. Ci siamo… i raggi sono andati a fuoco. E vediamo adesso come se la cava il computer.
Poi la superficie verde e azzurra di quel mondo striato di nuvole, che occupava una buona metà del campo del simulatore, cominciò a ribollire. D’un tratto ci fu un’esplosione di lava ardente, che schizzò fin nello spazio investendo l’astronave da cui Ender osservava la scena. Era vano cercar d’immaginare cosa succedeva sotto le nubi di vapore, ma si vedeva balenare l’azzurro del campo di disgregazione molecolare. Lo sferoide crebbe come un’apocalittica bolla d’energia, trasformando in polvere inerte perfino la lava che scaturiva dalle viscere squarciate di quel mondo. Nubi di atomi invadevano lo spazio.
Nel giro di altri tre secondi il pianeta cessò di essere una cosa solida e divenne un globo di foschia luminosa il cui diametro aumentava a incredibile velocità. L’astronave terrestre fu la prima a trasformarsi in una sventagliata di molecole quando ne fu investita, e a quel punto il simulatore trasferì automaticamente la prospettiva visuale a un astrocaccia, probabilmente l’unico superstite degli Angeli Neri dispersi all’inizio dell’azione, che stava filando via nello spazio in cerca di salvezza. Era a circa trecentomila chilometri dal pianeta, e da lì si vedeva soltanto un’immagine sferica in espansione, più veloce delle navi degli Scorpioni, le quali tuttavia sembravano aver rinunciato ad allontanarsi. Da lì a poco anche l’immensa flotta fu assorbita da Little Doc, e uno dopo l’altro i puntini di luce che erano i loro propulsori si spensero, polverizzati nell’alone azzurro che li inghiottiva.
Soltanto al perimetro della zona mostrata dal simulatore il campo di disgregazione molecolare s’indebolì. Due o tre navi nemiche ne erano rimaste fuori, e neppure l’astrocaccia che fungeva da punto di vista ne fu colpito. Ma dove prima c’erano migliaia di astronavi e il pianeta che esse avevano protetto, non restava più nulla di concreto. La sua massa però non aveva cessato di esistere, e al centro di quel campo gravitazionale già la polvere tornava ad infittirsi: i detriti si riunivano, cominciavano a surriscaldarsi e a fondersi, e in qualche settimana di tempo in quel luogo si sarebbe formato un nuovo pianeta primordiale, un po’ più piccolo di quello ormai svanito.
Ender si tolse la cuffia, nei cui auricolari cicalavano le voci dei suoi comandanti di squadrone, e soltanto allora si accorse che il pubblico seduto dietro di lui faceva un gran chiasso. Gli ufficiali in uniforme si stavano abbracciando l’un l’altro, gridando e ridendo; alcuni piangevano; altri s’erano inginocchiati a mani giunte, e stupefatto Ender si accorse che stavano pregando. Non riuscì a capirne il perché. C’era qualcosa di sbagliato. Avrebbero dovuto essere seccati e irritati.
Il colonnello Graff lasciò gli altri e si avvicinò a lui. Aveva il volto rigato di lacrime, ma sorrideva. Afferrò Ender per le spalle, lo tirò in piedi e con sua grande sorpresa lo abbracciò strettamente. — Grazie, Ender! — balbettò, commosso. — Grazie a te, e grazie a Dio, Ender!
Dietro di lui vennero subito tutti gli altri, chi per stringergli la mano, chi per congratularsi, e un paio di ufficialesse lo baciarono sulle guance con trasporto. Per qualche minuto non riuscì a trovare alcun senso nel loro comportamento. Forse che, dopotutto, era riuscito a superare l’esame? Era la sua vittoria, non la loro, e per di più una vittoria di scarso significato tecnico, ottenuta con l’imbroglio. Perché mai agivano come se avesse vinto rispettando onorevolmente le regole?
La piccola folla si aprì e fra essi comparve Mazer Rackham. Il vecchio avanzò dritto su di lui e gli strinse la mano. — Hai fatto la scelta più dura, ragazzo. O tutto o niente. La loro fine o la nostra. Ma Dio sa che non avevi altro modo di agire. Congratulazioni. Li hai battuti, e definitivamente distrutti.
Battuti. Distrutti. Ender si accigliò confuso. — Io ho battuto lei.
Mazer rise forte, divertito ma con una nota stridula che fece ridere anche gli altri. — Ender, tu non hai mai giocato con me. Fin da quando io sono diventato il tuo nemico, tu non hai mai giocato una sola volta.
Ender non capì dove stesse lo scherzo. Quel che sapeva era di aver sudato sangue ed innumerevoli battaglie sul simulatore, fino a rovinarsi la salute. Il sogghigno di Mazer cominciò a irritarlo.
Il vecchio allungò una mano a toccargli una spalla ma lui si scostò, scuro in volto. Mazer si fece serio, esitò un poco e disse: — Ender, negli ultimi mesi tu sei stato il comandante delle nostre flotte d’attacco. Questa era la Terza Invasione. Non hai mai giocato; le battaglie erano vere, e il solo nemico che hai affrontato erano gli Scorpioni. Tu hai vinto ogni battaglia, e finalmente oggi li hai attaccati nel loro mondo di origine, dove si erano rifugiate le loro regine… sì, tutte le loro regine, fuggite dalle colonie per evitare il nostro attacco, erano riunite lì e tu le hai distrutte dalla prima all’ultima. Non minacceranno mai più noi né nessun altro. E sei stato tu a fare questo. Tu.
Reale. Non era un gioco. Ender era troppo stordito per rendersi conto del significato di quelle parole. Quei puntini di luce ripresi da uno schermo e che il simulatore riproponeva a tre dimensioni… non erano puntini di luce, erano vere astronavi, macchine possenti che lui aveva affrontato e distrutto. Ed era un vero pianeta quello che lui aveva cancellato dalla faccia dell’universo. Si avviò verso l’uscita evitando la gente, ignorando le loro mani e le loro frasi entusiaste, senza guardare in faccia nessuno. Quando fu in camera sua gettò al suolo i vestiti, si distese a letto e quasi subito si addormentò.
A svegliarlo fu una mano che lo scuoteva. Gli occorse qualche istante per riconoscere i due uomini. Graff e Rackham. Volse loro le spalle. Lasciatemi dormire.
— Ender, abbiamo bisogno di parlarti — disse Graff.
Con un grugnito lui si volse a guardarli.
— È tutta la notte e tutto il giorno che la nostra stazione sta trasmettendo alla Terra i filmati della battaglia di ieri.
— Ieri? — Doveva aver dormito quasi ventiquattr’ore.
— Sei un eroe, Ender. La gente ha visto quello che avete fatto, tu e gli altri. Credo che non ci sia nazione che non ti abbia già conferito le più alte decorazioni.
— Li ho uccisi tutti, non è vero? — chiese Ender.
— Tutti chi? — Graff sbatté le palpebre. — Gli Scorpioni? Già, pare di sì.