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Mazer si piegò su di lui. — È per questo che abbiamo fatto la guerra.

— Tutte le loro regine, i piccoli. Dunque ho sterminato la loro razza… ora e per sempre.

— Se lo sono voluto loro, quando ci hanno attaccati. Non è certo colpa tua. Doveva accadere.

Ender afferrò Mazer per il petto dell’uniforme e vi si appese, costringendolo a chinarsi faccia a faccia con lui. — Io non volevo ucciderli tutti. Non volevo uccidere nessuno! Non sono un killer! Voi non avevate bisogno di me, voialtri bastardi, ma di Peter. E invece lo avete fatto fare a me, con un inganno mostruoso! — Stava piangendo e tremava, incapace di controllarsi.

— È ovvio che ti abbiamo ingannato. Tutto era imperniato su questo — disse Graff. — Doveva essere un trucco, altrimenti non l’avresti fatto. Eravamo prigionieri di questa constatazione. Ci occorreva un comandante capace di tale empatia da saper pensare come gli Scorpioni, per capirli e anticiparli. Capace d’immedesimarsi con loro fino ad amarli, più o meno consciamente, perché immedesimarsi era vitale. Ma una persona così sensibile non avrebbe mai potuto essere il killer che ci serviva. Mai sarebbe andato in battaglia deciso a vincere a tutti i costi. Se tu avessi saputo, non l’avresti fatto. Se tu fossi il genere d’individuo capace di uccidere a mente fredda, invece, ti sarebbe mancata la comprensione necessaria a vincere gli Scorpioni.

— E doveva essere un ragazzo giovane, Ender — aggiunse Mazer. — Tu eri più veloce di me. Migliore di me. Io sono troppo vecchio e cauto. Un essere umano normale che sappia già cosa sia la guerra non può andare in battaglia con molto entusiasmo. Ma tu non lo sapevi. Abbiamo fatto di tutto perché tu non sapessi certe cose. Eri entusiasta e determinato, giovane e brillante. Ed eri nato per questo.

— C’erano equipaggi umani sulle nostre navi. Non è così?

— Sì.

— Io ho ordinato a quei piloti di andare a morire, e non lo sapevo neppure…

— Loro lo sapevano, Ender, e hanno attaccato. Sapevano per cosa stavano combattendo.

— Non avete neanche provato a chiedermelo. Non avete mai tentato di dirmi una frazione della verità.

— Tu dovevi essere un’arma, Ender. Come una pistola, come il Dr. Device, dal funzionamento perfetto ma all’oscuro del bersaglio su cui eri puntato. Noi abbiamo preso la mira. Noi siamo i responsabili. Se c’è qualcuno che deve avere la coscienza sporca, siamo noi.

— Andatevela a lavare da un’altra parte — disse Ender. Si voltò e chiuse gli occhi.

Mazer Rackham lo scosse. — Non è il momento di dormire. Apri gli orecchi, è importante.

— Voialtri avete finito con me — borbottò lui. — Ora lasciatemi in pace.

— Noi… loro non l’hanno affatto finita con te — sospirò Mazer. — È questo che sto cercando di dirti. Laggiù sulla Terra sono usciti di cervello, stanno per dare il via a una guerra. Gli americani accusano il Patto di Varsavia di esser pronto ad attaccarli, e il Patto dice la stessa cosa dell’Egemonia. La guerra con gli Scorpioni non è finita da ventiquattr’ore e il mondo è già sul punto di scatenarne un’altra, peggiore delle precedenti. Inoltre tutti dichiarano d’essere preoccupati per te. E tutti quanti ti vogliono. Ogni esercito vuole alla sua testa il più grande comandante in campo della storia. Gli americani. L’Egemonia. Tutte le nazioni salvo quelle del Patto di Varsavia, le quali invece ti vogliono morto.

— Peggio per me — disse Ender.

— Dobbiamo portarti via da qui. Eros è pieno di marines russi, perfino il Condottiero è russo. Potrebbe esserci uno spargimento di sangue da un momento all’altro.

Ender gli volse di nuovo le spalle. Stavolta i due non lo toccarono, ma la sonnolenza gli era passata. Li ascoltò parlare fra loro.

— Era proprio questo che temevo, Rackham. Lei lo ha spremuto troppo. Alcuni dei loro avamposti avrebbero potuto aspettare. Poteva dargli qualche giorno di riposo.

— Anche lei ci si mette, Graff? Anche lei mi taglierà i panni addosso col senno di poi? Non possiamo sapere cosa sarebbe successo se non ci fossimo impegnati in un attacco totale. Nessuno lo sa. È andata così e ha funzionato. Soprattutto questo: ha funzionato. Si tenga a mente questa giustificazione, Graff. Anche lei potrebbe vedersi costretto a usarla.

— Mi scusi.

— Riesco a capire cosa gli abbiamo fatto. Il colonnello Liki dice che potrebbe non riprendersi mai dal trauma, ma io non ci credo. È troppo forte. Vincere significa molto per lui, e ha vinto.

— Non venga a parlarmi di forza. È un ragazzino di undici anni. Lasciamolo riposare, Rackham. La situazione non è ancora esplosa. Possiamo mettere un paio di sentinelle davanti alla porta.

— O metterle davanti a un’altra porta, e fingere che quella sia la sua.

— Cerchiamo il capo della sorveglianza.

I due uomini uscirono. Quasi subito Ender ricadde nel sonno.

Il tempo scivolò via attorno a Ender senza che la realtà esterna lo sfiorasse, salvo che per brevi e spiacevoli intervalli. Una volta si svegliò per qualche minuto tormentato da una dolorosa pressione nella carne di un braccio. Con un gemito mosse l’altra mano e si toccò: c’era un ago, conficcato in una sua vena. Cercò di levarselo ma le sue deboli dita annasparono invano sul nastro adesivo. Un’altra volta riaprì gli occhi nelle tenebre e sentì non distante da lui gente che mormorava e che imprecava. Nei suoi orecchi vibrava un rumore intenso, quello che lo aveva svegliato, ma non fu capace d’indentificarlo. — Accendi un po’ quella luce — disse una voce sconosciuta. E un’altra volta gli parve che qualcuno piangesse sottovoce, accanto a lui.

Avrebbe potuto esser trascorso un giorno, come anche una settimana; ma per i sogni che fece avrebbero potuto essere dei mesi. E in quei sogni gli parve di vivere un’intera vita. Di nuovo affrontò il Drink del Gigante, i bambini licantropi, la continua violenza, l’omicidio come unica e continua soluzione. Nella foresta udì una voce sussurrare: «Dovevi uccidere quei bambini per arrivare alla Fine del Mondo». E lui cercò di rispondere che non voleva uccidere nessuno, e che non gli era mai stato chiesto se desiderava uccidere qualcuno. Ma la foresta rise di lui. E quando si tuffò nel burrone alla Fine del Mondo, a raccoglierlo non fu una nuvoletta bensì un astrocaccia che lo portò a distanza di sicurezza dal pianeta degli Scorpioni, in modo che potesse osservare a lungo, interminabilmente, la morte che ribolliva qua e là sulla superficie. E poi più vicino, sempre più vicino, finché poté vedere gli Scorpioni che si torcevano e scoppiavano, trasformandosi in polvere che gli roteava attorno. E la regina, circondata dai suoi piccoli, soltanto che la regina era Mamma ed i bambini erano Valentine e tutti quelli che lui aveva conosciuto alla Scuola di Guerra. Uno di loro aveva il volto di Bonzo, con gli occhi e il naso pieni di sangue, e diceva «Tu non hai onore». E come sempre il sogno finiva con uno specchio, o una superficie metallica, o una polla d’acqua in cui vedeva riflessa la sua faccia. Dapprima c’era stata solo la faccia di Peter, con la coda del serpente e il rivolo di sangue che gli uscivano di bocca. Nei sogni successivi invece vi trovò la propria faccia, vecchia e triste, con occhi entro i quali c’era il peso di miliardi e miliardi di delitti… ma erano pur sempre i suoi occhi, e non poteva ridar loro uno sguardo luminoso e innocente.

Questo fu il mondo in cui Ender abitò e visse durante i cinque giorni della Guerra dei Due Blocchi.

Quando si risvegliò scoprì d’essere disteso nel buio. In distanza si udivano dei tonfi soffocati simili a esplosioni. Per un poco tese gli orecchi a quei rumori. Poi accanto a lui ci fu uno scalpiccio.

Si girò e protese le braccia, per fermare chiunque stesse cercando di colpirlo. Le sue mani incontrarono un vestito. Con un ansito rauco diede uno strattone di lato, e un corpo umano gli piombò addosso.