D’un tratto Graff fece una piroetta all’indietro e afferrò la scala con le mani, proiettando i piedi in direzione opposta. Fino a un attimo prima gli scalini erano stati il suo pavimento; con quella mossa parve dichiarare che pavimento e soffitto erano la stessa cosa, dando ragione a Ender.
— Sembra che tu sia ammanigliato bene, qui — disse il ragazzino seduto davanti a lui.
Ender scosse il capo.
— Ah, non vuoi abbassarti a parlare con me? — disse il ragazzino.
— Non gli ho chiesto io di dire quelle cose — mormorò Ender.
Qualcosa lo colpì dolorosamente alla nuca. Poi lo colpì di nuovo. Dietro di lui ci furono alcune risatine. Il ragazzo seduto alle sue spalle doveva aver sganciato le cinture della poltroncina. Una scoppola gli scompigliò i capelli. Smettetela, per favore, pensò Ender. Io non vi ho fatto niente.
Ancora un pugno nella nuca. I ragazzini ridacchiarono. Graff si stava accorgendo di questo? Non aveva intenzione di mettervi fine? Un altro pugno, più forte e stavolta davvero doloroso. Dov’era Graff?
Poi capì come stavano le cose. Graff aveva intenzionalmente provocato ciò che stava accadendo. Era ancor peggio delle soperchierie che si vedevano nei film. Quando un sergente percuote una recluta, gli altri solidarizzano col malcapitato. Ma quando la elogia, gli altri la odiano.
— Ehi, mangiamerda — sussurrò una voce dietro di lui. Gli arrivò una scoppola. — Che ne dici di questo? Ehi, super-cervello, questo lo trovi comico? — Ancora un pugno nella nuca, così violento che Ender mandò un gemito soffocato.
Se Graff lo aveva messo apposta in quella posizione, allora non poteva aspettarsi l’aiuto di nessuno. Aspettò finché fu sul punto di ricevere un altro pugno. Adesso, pensò. E infatti il pugno arrivò. Gli fece male, ma si costrinse a calcolare il ritmo dei colpi. Adesso. E in quel preciso momento fu colpito. Stavolta ti tengo, si disse Ender.
Un attimo prima del colpo successivo Ender si volse di scatto, afferrò il polso del ragazzino con entrambe le mani e gli abbassò violentemente il braccio.
In gravità normale la mossa avrebbe attirato l’altro contro lo schienale del suo sedile, facendogli urtare il petto sullo spigolo. In assenza di peso il braccio funse da leva, il ragazzino fu sollevato dal suo posto e proiettato verso il soffitto. Ender non se l’era aspettato. Non aveva ancora capito quanto fosse facile spostare una massa a gravità zero. Il ragazzino volò obliquamente contro il soffitto, rimbalzò in basso addosso a un altro seduto nella poltroncina, e la spinta lo mandò a roteare avanti lungo il passaggio centrale finché con un grido di dolore urtò pesantemente nella paratia anteriore. Il suo braccio era piegato in modo anomalo quando rimbalzò ancora in alto.
La cosa era durata appena pochi secondi, ma Graff era già sbucato dalla cabina di pilotaggio, in tempo per intercettare al volo il ragazzino. Con una smorfia lo spinse verso un altro degli ufficiali. — Braccio sinistro. Fratturato, direi — fu il suo commento. Pochi minuti dopo al ragazzo era già stato iniettato un antidolorifico, e tenendolo sospeso a mezz’aria l’ufficiale gli arrotolò un bendaggio rigido attorno al braccio.
Ender si sentiva sgomento. Tutto ciò che aveva voluto era stato di fermare il braccio del ragazzino… no, no, aveva voluto fargli male, e ci aveva messo tutta la sua forza. Non era stato nelle sue intenzioni dare il via a una scena di quel genere, e tuttavia il suo tormentatore si stava sorbendo esattamente quel che lui aveva voluto procurargli. L’assenza di gravità aveva giocato a suo sfavore, tutto qui. Io sono Peter. Sono proprio come lui, pensò Ender. E odiò se stesso.
Sulla soglia della cabina Graff si volse. — Mi domando se non siate dei bambocci lenti di comprendonio. I vostri cervellini non hanno ancora capito questo semplice fatto? Siete stati portati qui per diventare dei soldati. Forse nelle vostre famiglie o a scuola eravate considerati dei duri, magari perfino intelligenti. Ma noi scegliamo il meglio del meglio, e questo è il solo genere di compagni che incontrerete d’ora in avanti. Perciò, quando vi dico che Ender Wiggin è il migliore di questo lotto aprite gli orecchi, teste dure. Non prendetelo sottogamba. Alla Scuola di Guerra dei pivelli della vostra età ci hanno già lasciato la pelle in passato. Sono stato abbastanza chiaro?
Per il resto del volo nessuno aprì bocca. Il ragazzino seduto a fianco di Ender prestò scrupolosa attenzione a non sfiorarlo neppure.
Io non sono un killer, disse Ender a se stesso più volte. Non sono Peter. Qualunque cosa lui dica, io non lo sono e non voglio esserlo. Mi sono soltanto difeso. Avevo cercato di sopportare. E ho avuto pazienza. Non sono come lui ha detto.
Una voce dall’interfono li informò che la navetta era in fase di avvicinamento alla Scuola. Occorsero venti minuti per la decelerazione e l’attracco. Enders si tirò avanti per la scaletta in coda al gruppo, e arrampicandosi nella direzione che alla partenza era stata il basso ebbe l’impressione che gli altri fossero quasi ansiosi di lasciarselo alle spalle. Al termine del corridoio flessibile che collegava la navetta alle strutture della Scuola c’era in attesa Graff.
— Hai fatto buon viaggio, Ender? — gli domandò gentilmente.
— Credevo che lei fosse mio amico. — A dispetto dei suoi sforzi Ender sentì che gli tremava la voce.
Graff parve sorpreso. — E dove hai preso questa idea, Ender?
— Perché lei… — Perché lei era stato buono con me, e onesto. - Lei non mi ha mai mentito.
— E non voglio mentirti neppure adesso — disse Graff. — Il mio compito non è di essere tuo amico. È di formare quelli che dovranno essere i migliori combattenti del mondo. I migliori della storia. A noi serve un Napoleone. Un Alessandro. Salvo che Napoleone alla fine fu sconfitto, e Alessandro morì giovane dopo aver fiammeggiato come una meteora. O avremmo bisogno di un Giulio Cesare, senonché egli divenne un dittatore e per questo fu ucciso. Il mio compito è di formare un individuo di questo tipo, e tutti gli uomini e le donne di cui avrà bisogno per agire. E nel regolamento non è scritto che per arrivarci io debba essere un amico per voialtri ragazzini.
— Lei li ha indotti a detestarmi.
— Sul serio? E tu che pensi di farci? Nasconderti in un angoletto? O baciare il sedere a tutti quanti perché ricomincino a volerti bene? Hai un solo modo perché smettano di odiarti: diventare così bravo che nessuno ti possa ignorare. Io ho detto loro che sei il migliore. Adesso farai dannatamente bene a dimostrare che lo sei davvero.
— E se non ci riuscissi?
— Peggio per te. Senti, Ender, non mi rende felice pensare che tu abbia paura o ti senta solo. Ma là fuori ci sono gli Scorpioni. Dieci miliardi, cento miliardi, o per quel che ne sappiamo un miliore di miliardi. Forse con altrettante astronavi. Con armi a noi del tutto sconosciute. E con la ferma volontà di usarle per spazzarci via. Non è in gioco la Terra, Ender. Soltanto noi, soltanto la razza umana. Per quel che riguarda il pianeta noi potremmo anche scomparire, e lui andrebbe avanti verso il prossimo passo nell’evoluzione della vita. Ma l’umanità non vuole estinguersi. Come specie, noi abbiamo il dovere e l’istinto della sopravvivenza. Un istinto che si crea nelle avversità e nel loro susseguirsi finché, come prodotto dallo sforzo di generazioni, la razza dà alla luce un genio. Quello che riesce a inventare la ruota, o la luce elettrica, o il volo. Quello che costruisce una città, una nazione, un impero. Capisci il senso di questo?
Ender rifletté che lo capiva, ma non era del tutto sicuro, così non disse niente.
— No, naturalmente no. Allora sarò più chiaro. Gli esseri umani hanno il diritto di essere liberi, salvo quando l’umanità ha bisogno di loro. Forse l’umanità ha bisogno di te. Perché tu faccia qualcosa. Io penso che comunque abbia bisogno di me… per scoprire se quelli come te possono servire. Tanto tu che io potremmo dover fare cose poco commendevoli, Ender, ma se grazie ad esse l’umanità riuscirà a sopravvivere noi saremo stati dei buoni strumenti.