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Lei e la sua bella famigliola ora mi appartengono.

La donna tornò al suo furgoncino, salì a bordo, mise in moto e partì. L’uomo del Maggiolino restò a osservarla mentre usciva dal parcheggio del centro commerciale e accelerava, allontanandosi, completamente ignara di essere diventata una delle sue conoscenze intime nel giro di pochi minuti. L’uomo agitò sarcasticamente la mano in segno di saluto alla madre di famiglia cretina. Se sei estremamente sfortunata forse ti rivedrò.

Controllò l’orologio: tre vittime potenziali in meno di venti minuti. Inspirò una boccata d’aria fresca della prosperosa città di Wrightsburg, la cui pacifica esistenza era stata appena sconvolta da un trio di brutali omicidi in rapida successione.

Be’, non avevano ancora visto niente.

9

L’obitorio di Wrightsburg era situato in una silenziosa strada alberata a tre chilometri circa dal centro della città. Faceva parte di un piccolo edificio a un solo piano di mattoni e cristallo, immerso in un elegante giardino da rivista patinata che si era rigogliosamente infittito per i recenti piovaschi primaverili. La palazzina avrebbe potuto essere la sede di una qualsiasi attività commerciale. La gente che vi passava davanti non avrebbe mai neppure lontanamente immaginato che era lì che le salme venivano portate per essere dissezionate ed esaminate minuziosamente per stabilire che cosa o chi le avesse uccise. Proprio accanto all’obitorio una targa annunciava che la Dr Sylvia Diaz, M.D., aveva il suo studio medico nello stesso edificio.

La Lexus SC di King entrò nel parcheggio, e lui e Michelle scesero dall’auto. Un attimo dopo un fuoristrada della polizia arrivò e posteggiò accanto a loro. Todd Williams calò a fatica il suo corpaccione sul marciapiede. Con un’aria estremamente infelice si infilò la falda della camicia nella cintura e raddrizzò la fondina della pistola.

«Vediamo di sbrigarcela in fretta con questa rogna» brontolò prima di irrompere a passo di carica dentro la palazzina.

«Che cos’ha?» bisbigliò Michelle.

«Mi pare di capire che non sopporti la presenza dei cadaveri.»

Chiesero di Sylvia Diaz al banco della reception. La segretaria fece una telefonata e uno spilungone occhialuto comparve quasi immediatamente. Sui trent’anni, l’uomo sfoggiava un pizzetto ed era vestito in modo trasandato. Si presentò come Kyle Montgomery, l’assistente di Sylvia.

«Ha appena terminato» annunciò con voce spenta e monotona, anche se i suoi occhi si spalancarono alla vista della statuaria Michelle. «Mi ha detto di accompagnarvi nel suo studio.»

«Da quanto tempo lavora qui?» domandò King.

Kyle lo fissò con aria sospettosa. «Che importanza ha?»

«Stavo solo chiedendo» ribatté Sean.

«Sono un tipo riservato» rimbeccò Kyle.

«Scommetto che si è laureato alla University of Virginia, eh?» si intromise Michelle. «Che ateneo fantastico!» soggiunse sorridendogli e avvicinandosi maggiormente.

King osservò con espressione divertita la sua socia ricorrere alle “astuzie femminili” per estorcere informazioni a Kyle. Ricorreva di rado a quell’espediente, ma King sapeva che la mossa poteva essere assai efficace. Probabilmente Kyle non aveva nulla di importante da divulgare, ma era utile avere informazioni su tutte le persone implicate nell’inchiesta.

Kyle rivolse rapidamente tutta la sua attenzione su di lei. «Sono stato tra i più meritevoli del mio corso di laurea» dichiarò pomposamente. «Volevo restare in zona, perciò ho lavorato all’ospedale della University of Virginia per alcuni anni per avere il certificato P.A. Ma sono stato licenziato da uno studio di oncologia, e fatture e bollette hanno cominciato ad accumularsi. Poi si è aperta questa possibilità di lavoro qui all’obitorio. In quattro e quattr’otto sono diventato un analista di medicina legale. Grazie a Dio.»

Michelle disse: «Ci vuole una persona speciale per fare quel genere di lavoro».

«Già, proprio così» ribatté Kyle con aria arrogante. «Ma sono anche l’assistente della dottoressa Diaz nel suo ambulatorio qui accanto. Ora è là, che visita un paio di pazienti. In effetti mi ha assunto per entrambe le mansioni. Ci si deve giostrare un po’, avanti e indietro, ma se non altro i due studi sono comunicanti. E da queste parti non abbiamo molti decessi che richiedano un’autopsia. Ehi, però la tendenza potrebbe cambiare, giusto? Tutt’a un tratto c’è un gran movimento. Wrightsburg si sta davvero evolvendo. Proprio così, baby.» A quest’ultima battuta Kyle sorrise.

Michelle, Williams e King si scambiarono delle occhiate disgustate mentre seguivano il baldo dottore.

Lo studio medico di Sylvia era esattamente come Michelle se l’era immaginato. Ordinarissimo e pulito alla perfezione, arredato con gusto, almeno per gli standard degli obitori di contea, con caldi tocchi femminili qua e là per tentare di mitigare l’atmosfera asettica che dominava ovunque nell’edificio. Su un appendiabiti vicino alla porta c’erano una giacca da donna, una borsa a tracolla di grandi dimensioni e un cappello molto femminile. Sul pavimento vicino all’appendiabiti un paio di soprascarpe.

«È una donna molto precìsa.»

Michelle lanciò un’occhiata di lato e vide che Kyle le sorrideva. «Lo studio medico è la sua immagine. E alla dottoressa non piace introdurre germi in sala autopsie per pura negligenza, anche se l’obitorio è ben lontano dall’essere il posto più sterile di questa terra. Anzi, è piuttosto contaminato, per la verità. Abbiamo uno spogliatoio nel quale indossiamo camici e grembiuli impermeabili, cuffiette e mascherine, ma a volte penso che preferisca cambiarsi direttamente qui per paura di contaminare eventuali prove. Viva la vita, dico io.»

«È proprio bello sentire che esistono ancora persone dedite al loro lavoro» commentò King inflessibilmente.

Mentre Kyle ciondolava sulla soglia in attesa della dottoressa, Michelle osservò il resto del locale. Sullo scaffale dietro la scrivania di Sylvia c’erano diverse foto in cornice di un uomo ripreso sia da solo sia con Sylvia. Ne prese in mano una e la mostrò a King con espressione interrogativa.

«È George Diaz, il suo defunto marito» spiegò King.

«Tiene ancora le sue foto esposte in bella mostra nel suo studio professionale?»

«Suppongo che lo amasse davvero.»

«Allora, com’è che non uscite più insieme?» domandò Michelle in tono scherzoso. «C’erano problemi?»

«Sei la mia socia, non il mio strizzacervelli» replicò subito King.

Un istante dopo che Michelle aveva rimesso a posto la foto in cornice, Sylvia comparve sulla soglia.

«Grazie, Kyle» disse seccamente.

«Bene» ribatté l’assistente, e lui e il suo sorriso altezzoso se ne andarono con passo spedito.

«Sbaglio o il tuo assistente si dà un po’ di arie?» domandò King.

Sylvia si spogliò del camice bianco e lo appese a un gancio sulla porta. Michelle colse l’occasione per studiare la donna. Di altezza leggermente al di sotto della media, indossava morbidi pantaloni neri e una camicia di lino bianca. Non portava gioielli, presumibilmente a causa del lavoro che svolgeva. Un orecchino o un anello finiti nell’addome aperto di un cadavere inciso col bisturi probabilmente non sarebbero stati una bella cosa. La sua pelle era liscia, priva di rughe e con qualche sporadica efelide sulle guance. La capigliatura rossa era legata a coda sulla nuca, rivelando così due orecchie di forma perfetta e un collo lungo e aggraziato. Aveva la fronte corrugata in un’espressione seria, e il suo sguardo tradiva un certo turbamento quando si sedette alla scrivania.