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Si fermò improvvisamente perché il rumore di passi davanti a lui era cessato.

«Michelle?» bisbigliò. «Michelle?» Strinse la pistola e la puntò intorno a sé, guardandosi in continuazione al di sopra della spalla nel caso Eddie lo avesse aggirato per prenderlo alle spalle.

Più avanti Michelle stava osservando attentamente una massa di cespugli. Spostava in continuazione lo sguardo tra il punto oscuro e se stessa per vedere se il piccolo punto rosso di un mirino laser le danzava sopra il corpo. Infilò adagio la canna della pistola in un piccolo spiraglio del cespuglio di agrifoglio dietro cui era nascosta e scostò lentamente i rami. Ci fu un lieve movimento alla sua destra, ma risultò essere uno scoiattolo.

Udì un rumore alle sue spalle e si girò di scatto.

«Michelle?»

Era King, a meno di sei metri di distanza. Aveva preso un sentiero diverso e una fitta siepe di rovi lo separava da lei.

«Stai indietro» gli intimò sottovoce a denti stretti. «Si è fermato proprio qui davanti.»

Michelle tornò a voltarsi e restò in attesa. Il breve lampo di una folgore: non le occorreva altro. Avanzò adagio aggirando l’agrifoglio, tornò sui propri passi per un breve tratto e poi compì un ampio giro a semicerchio in avanti, con il proposito di sbucare alle spalle di Eddie.

Il lampo di un fulmine. Michelle udì un rumore alla sua destra. Ruotò su se stessa e sparò nello stesso istante. Di fronte a lei risuonò una detonazione, mentre una scintilla di luce rossa incandescente esplose per una frazione di secondo e poi sparì.

Michelle non poteva saperlo, ma Eddie aveva compiuto a sua volta un ampio giro verso di lei, e aveva sparato nello stesso istante in cui lei aveva premuto il grilletto. Battendo probabilmente il record di un miliardo di probabilità contro una, i due proiettili si erano scontrati, provocando la scintilla esplosiva che Michelle aveva visto.

Eddie le si gettò addosso da dietro con forza, facendole mancare il fiato prima di sbatterla a terra quasi a faccia in giù. Fu un placcaggio da manuale. Fango, foglie e rametti le entrarono in bocca togliendole il respiro. Michelle si divincolò e cercò di allungare qualche calcio al suo avversario, ma Eddie le era sopra con tutto il peso e la teneva inchiodata al suolo. Era incredibilmente forte; Michelle non riusciva in alcun modo a sganciare con le dita la stretta ferrea; era come una bambina che cercava di sfuggire a suo padre. Tentò di sollevarsi sulle ginocchia, ma non aveva affatto la forza necessaria per farlo con quei centodieci e passa chili addosso.

Maledizione. Sputò la porcheria che aveva in bocca. Se solo fosse riuscita a spingerlo via un momento, avrebbe potuto sferrargli dei colpi tremendi con i piedi che avrebbero potuto darle qualche possibilità. Ma Eddie era troppo forte. Michelle sentì una sua mano stringerle la gola, mentre con l’altra continuava a tenerle bloccate le braccia. Si dimenò furiosamente nel vano tentativo di scrollarselo di dosso, ma non aveva nessun appoggio. Tentò di urlare ma non ci riuscì. Cominciò a perdere la concentrazione. Le si appesantì il cervello, gambe e braccia cominciarono a contrarsi spasmodicamente.

È questo il mio momento? È questo?

E poi tutto si allentò. Il peso venne rimosso. D’un tratto era di nuovo libera, e intuì confusamente di essere quasi morta per mano di Eddie Lee Battle. Si girò supina per vedere la sua faccia sopra di sé, che la guardava dall’alto sorridendo per ciò che le aveva appena fatto.

Solo che Eddie non stava guardando lei. Si mise seduta, si allontanò da lui gattonando via di qualche passo, e solo allora notò quello che lui stava fissando.

King era là in piedi. Entrambe le mani strette intorno al calcio della pistola, con l’arma puntata dritta contro Eddie, che stava arretrando un poco. I vestiti di King erano a brandelli e il suo volto e le sue mani sanguinavano per i graffi che si era procurato nello sforzo di superare il muro di rovi e arrivare a loro.

«Non l’avrei uccisa, Sean.»

King tremava di rabbia. «Sì, proprio, brutto bastardo.»

Eddie continuò ad arretrare lentamente, con le mani alzate.

«Un altro passo e te la pianto in mezzo agli occhi, Eddie.»

Eddie si fermò, ma cominciò ad abbassare adagio le mani.

«Tienile su» ringhiò King.

Michelle si alzò e si guardò intorno in cerca della sua pistola.

«Fallo, Sean. Vai fino in fondo e spara» disse Eddie stancamente. «Risparmia allo Stato un mucchio di soldi per un alloggio nel braccio della morte.»

«Non è così che ci comportiamo.»

«Fallo, Sean. Sono esausto, amico. Non mi resta più niente.»

«Ce la farai. Non aver paura.»

«Credi davvero?»

«Anzi, ci scommetto…»

«Al diavolo, accetto…»

Eddie spiccò un salto, portando dietro la schiena la mano destra. Estrasse la pistola dalla cintura.

Michelle lanciò un urlo.

Il colpo partì.

King si avvicinò e guardò Eddie Battle steso al suolo. Allontanò la pistola con un calcio, fissò il sangue che sgorgava dalla spalla di Eddie nel punto in cui il proiettile aveva perforato i muscoli, prima di uscire dalla schiena sfiorandogli la scapola.

«Questa volta ho vinto la scommessa, Eddie.»

Eddie gli sorrise debolmente. «Per un pelo, amico. Per una sola tacca.»

99

Eddie Battle si dichiarò colpevole di tutti gli omicidi commessi. In cambio della piena collaborazione con le autorità e in virtù del fatto che aveva risposto a tutte le loro domande, e poiché sussisteva qualche dubbio sulla sua sanità mentale, i suoi avvocati difensori riuscirono a mediare un patteggiamento, commutandogli la pena capitale in diversi ergastoli. In ogni angolo del paese la reazione fu immediata. Attivisti a favore della pena di morte sfilarono in protesta nelle vie di Wrightsburg. Da più parti si richiese a gran voce l’impeachment del governatore, dei pubblici ministeri e del giudice assegnato al caso. La famiglia Battle — o almeno ciò che ne restava — ricevette numerose minacce di morte. Fu predetto che, in qualsiasi penitenziario di massima sicurezza fosse mandato, Eddie Battle sarebbe morto entro un mese.

King non si era interessato molto né del processo né di ciò che seguì. Dopo aver sparato a Eddie, aveva dato una mano a portare lui e Sylvia alle imbarcazioni, dopo di che entrambi erano stati condotti all’ospedale. Entrambi si erano rimessi completamente, anche se King dubitava che Sylvia sarebbe mai più stata la stessa dopo la terribile esperienza.

Che diamine, forse nemmeno io sarò più lo stesso, pensò.

Aveva compiuto lunghi giri in motoscafo, solcando nella luce diurna le rotte seguite in quell’orrenda notte. Lui e Michelle ne avevano parlato un po’, ma per lo più avevano evitato l’argomento. Erano già abbastanza prosciugati di energie. Però lei era stata molto espansiva nel ringraziarlo per averle salvato la vita.

Michelle continuava a scuotere la testa a quel ricordo. «Non mi ero mai sentita così inerme, Sean. Non mi ero mai battuta contro un uomo così forte. Era come se fosse posseduto da qualcosa che non è di questo mondo.»

«Credo che lo fosse veramente» aveva risposto King.

Tutti questi pensieri riportarono King dov’era in quel preciso istante, seduto alla sua scrivania a interrogarsi su che cosa avesse voluto intendere Eddie con le sue ultime parole, mentre era disteso a terra sanguinante su quella collina.

“Per una sola tacca.” Quelle parole gli echeggiavano insistenti nella mente e non riusciva a sbarazzarsene. Alla fine si alzò dalla scrivania e raggiunse in auto Casa Battle. Remmy era in casa, lo informò Mason.

Nell’atrio erano ammassate diverse borse e valigie.