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«Qualcuno in partenza?» domandò King.

«Savannah ha accettato un lavoro all’estero. Partirà in giornata.»

Beata lei, pensò King mentre Mason lo accompagnava lungo il corridoio.

Remmy sembrava una pallidissima versione della donna che era stata un tempo. Stava sorseggiando il suo solito caffè. King era sicuro che fosse corretto al novanta per cento con dell’ottimo Mr Beam.

«Ho sentito che Savannah si trasferisce» disse, dopo che Mason li ebbe lasciati soli.

«Sì, ma ha detto che forse tornerà per Natale» rispose la madre speranzosa.

O forse no, pensò King.

«Dorothea ha finito la riabilitazione?»

«Sì, è tornata a casa. L’aiuterò a risolvere i suoi problemi finanziari.»

«È bello sentirlo. Non c’è alcun motivo per non condividere tanta ricchezza. E poi Dorothea fa parte della famiglia. La polizia non sospetta più di lei per la morte di Kyle?»

«Credo di no. Dubito che risolveranno mai il caso.»

«Non si può mai sapere.»

Nessuno dei due pronunciò una sola parola riguardo a Eddie. In ogni caso, che cosa c’era da dire?

King non vedeva l’ora di togliere il disturbo, perciò decise di andare dritto al punto. «Remmy, sono venuto a farle una certa domanda. Riguarda un vostro ex dipendente. Billy Edwards…»

Remmy lo fissò con durezza. «Il meccanico?»

«Esatto.»

«Quale sarebbe la domanda?»

«Mi occorre la data esatta di quando se n’è andato.»

«Le registrazioni sul libro paga dovrebbero indicarlo.»

«Speravo lo dicesse.» King restò a fissarla in attesa.

«Vuoi vederle adesso?»

«Sì, subito.»

Non appena lei ritornò con i libri paga, King si alzò e fece per accomiatarsi, ma poi qualcosa lo bloccò.

Fissò Remington Battle, pettinata, truccata e abbigliata con meticolosa eleganza, seduta regalmente su una magnifica poltrona antica, l’epitome della gran dama aristocratica del vecchio Sud.

La donna alzò lo sguardo. «C’è qualcos’altro?» chiese con freddezza.

«Ne valeva la pena?»

«Che cosa?»

«Essere la moglie di Bobby Battle. Valeva la pena di perdere entrambi i figli?»

«Come osi!» replicò Remmy seccamente. «Ti rendi conto dell’inferno che ho passato?»

«Sì, anche per me non è stato certo uno scherzo. Perché non prova a rispondere alla domanda?»

«Perché dovrei?» rimbeccò Remmy.

«Lo consideri il gesto benevolo di una signora raffinata e dignitosa.»

«Il tuo sarcasmo è assolutamente sprecato con me.»

«Allora mi permetta di essere franco. Bobby Jr era suo figlio. Come ha potuto lasciarlo morire?»

«Non è andata così!» gridò Remmy in tono alterato. «Pensi che sia stata una scelta deliberata? Credi che non amassi mio figlio?»

«È facile parlare, Remmy. Ma contano i fatti. Come tenere testa a suo marito. Come dirgli chiaro in faccia che non gliene fregava niente di dove si fosse preso la malattia, ma che suo figlio avrebbe ricevuto le cure adatte. Non è che la sifilide fosse difficile da diagnosticare, anche vent’anni fa. Se lo avesse fatto curare con la penicillina, Bobby Jr avrebbe avuto delle ottime probabilità di guarire completamente e ora lei avrebbe entrambi i suoi figli nella sua vita. Non ci ha mai pensato in questi termini?»

Remmy fece per ribattere ma poi si fermò. Posò la tazzina di caffè e incrociò le mani in grembo.

«Forse allora non ero così forte come adesso.» King scorse un luccichio di lacrime negli occhi della donna. «Ma alla fine presi la decisione giusta. Portai Bobby Jr da ogni genere di specialista.»

«Ma era troppo tardi.»

«Sì» disse Remmy sottovoce. «E poi si ammalò di cancro. E non riuscì a sconfiggerlo.» La donna si asciugò le lacrime, allungò una mano verso la tazzina di caffè, ma poi si bloccò e lo guardò negli occhi.

«Tutti devono prendere delle decisioni nella vita, Sean» disse.

«E un’infinità di persone prende quelle sbagliate.»

Remmy parve sul punto di ribattere con un commento velenoso, ma King la fermò di colpo quando prese da una mensola una fotografia in cornice e la tenne alta, rivolta verso di lei. Erano Eddie e Bobby Jr da bambini. Remmy si portò immediatamente una mano alla bocca per reprimere un singhiozzo. Alzò gli occhi verso King, con le lacrime che ora le scorrevano sulle guance. «Quando lo sposai, Bobby era un uomo molto diverso. Forse era a quell’immagine che mi aggrappavo, sperando che tornasse a essere l’uomo di prima.»

King rimise a posto la fotografia. «Penso che un uomo che permette che suo figlio muoia senza alzare un dito per salvarlo sia un uomo indegno di essere aspettato.»

King uscì dalla sala senza voltarsi indietro neanche un solo istante.

Nel cortile antistante la villa, scorse un autista occupato a caricare i bagagli di Savannah su una grossa berlina nera. Savannah scese prontamente dall’auto e gli andò incontro.

«Volevo vederti prima di partire» disse la ragazza. «Ho sentito una parte di ciò che hai detto a mia madre. Non stavo origliando. Ero solo di passaggio in corridoio.»

«Francamente, non so se aver pietà di lei o disprezzarla.»

Savannah fissò la villa. «Ha sempre voluto essere a tutti i costi la matriarca di questa grande famiglia del Sud. Sai, come una specie di dinastia.»

«Non ci è riuscita affatto» commentò King.

Savannah lo fissò negli occhi. «Il punto è proprio questo… Credo che si sia sempre sforzata di convincersi di avercela fatta. In privato odiava mio padre, eppure in pubblico lo idolatrava. Amava i suoi figli, eppure li ha sacrificati per preservare il suo matrimonio. Non ha senso. Quello che so è che voglio andarmene via da qui, il più lontano possibile. Impiegherò i prossimi dieci anni a tentare di capire. Ma lo farò a distanza.»

Si abbracciarono, e King le tenne aperta la portiera della macchina.

«Buona fortuna, Savannah.»

«Grazie, Sean. E ringrazia tanto anche Michelle per tutto quel che ha fatto.»

«Lo farò.»

«E dille che ho seguito il suo consiglio riguardo al mio tatuaggio.»

King la guardò perplesso ma non disse nulla. Agitò la mano mentre l’auto si allontanava.

La sua tappa successiva fu la sede della “Wrightsburg Gazette”, dove inconsapevolmente si sedette allo stesso lettore di microfilm usato da Eddie la notte in cui si era introdotto di nascosto nella redazione.

Esaminò una gran quantità di microfilm di vecchi numeri del giornale finché non arrivò alla data che stava cercando, il giorno in cui Edwards era stato licenziato. Non trovò quello che stava cercando. Poi gli venne da pensare che forse era accaduto troppo tardi per rientrare nell’edizione dello stesso giorno. Portò avanti il microfilm fino all’edizione del giorno successivo. Non fu costretto a consultare tutto il numero. La notizia era in prima pagina. Lesse attentamente l’articolo, si abbandonò contro lo schienale della sedia e alla fine appoggiò la testa sopra il braccio sulla scrivania mentre la sua mente iniziava a sondare fatti e ipotesi assolutamente impensabili.

Quando si alzò, notò il muro su cui Eddie aveva lasciato la scritta. Era stata cancellata con una spugna, ma erano rimaste le tracce delle quattro lettere.

TEAT

Pochi giorni prima, aveva giocato mentalmente con varie combinazioni del vocabolo inglese: tent, test, text… Niente sembrava andar bene. Eppure non credeva affatto che Eddie avrebbe scritto quella parola se non fosse stata importante.

Levò di tasca il cifrario e ci giocherellò. Per chissà quale motivo aveva preso l’abitudine di portarselo sempre dietro. In passato si era scoperto che la cosiddetta analisi della frequenza era in grado di decifrare una parola in codice di lunghezza media. Il metodo era semplice e diretto. Alcune lettere dell’alfabeto ricorrevano con maggior frequenza di altre. E la lettera che ricorreva più di tutte era la “e”. Questa scoperta aveva avvantaggiato enormemente i decifratori di codici per un po’ di tempo, finché i codificatori non avevano di nuovo avuto la meglio qualche secolo più tardi.