«E tre cadaveri.»
«Quindi devo ritenere che la prossima ora saranno le quattro, a rappresentare la quarta vittima?»
«Ammesso che ce ne sia una prossima» precisò Michelle.
«Questo è poco ma sicuro. La prima vittima era una spogliarellista. Però le altre due erano ragazzi del posto che si davano piacevolmente da fare in un’auto. Una volta che incominciano a uccidere, i serial killer di solito si attengono a una sola tipologia della popolazione. Questo omicida ha già dimostrato che non sta giocando secondo le vecchie regole.» Sylvia si interruppe un secondo, poi soggiunse a bassa voce: «Perciò il vero interrogativo diventa: “Chi sarà il prossimo?”».
13
Il Maggiolino azzurro passò lentamente davanti alla stazione di polizia e si fermò all’incrocio. L’uomo al volante lanciò un’occhiata alla palazzina di mattoni a un solo piano in cui aveva sede il dipartimento di polizia. Ormai dovevano aver ricevuto la lettera, e forse ne avevano anche decifrato il contenuto. Non che avesse scritto un messaggio troppo difficile da interpretare. Le difficoltà sarebbero arrivate in seguito, nel vano tentativo di fermarlo: provate l’impossibile, signori piedipiatti.
La loro mossa successiva sarebbe stata quella di fare intervenire l’Unità investigativa criminale della polizia di Stato. Avrebbero certamente voluto di tenere segreti i delitti: diffondere il panico tra la popolazione locale non aveva alcun senso. E senza dubbio avrebbero inoltrato una richiesta di assistenza al tanto decantato VICAP dell’FBI per delineare il profilo psicologico dell’assassino. Persone importanti sarebbero state contattate per cercare di accelerare la procedura, e un profilo psicologico dell’assassino, di lui, sarebbe stato rapidamente preparato.
Naturalmente sarebbe stato completamente sbagliato.
Prima era già passato davanti all’obitorio, dove il medico legale probabilmente stava scrollando la sua bella capigliatura rossa sopra tre cadaveri che rappresentavano cose diversissime tra loro, eppure avevano degli elementi in comune. Gli indizi sarebbero stati minimi. Lui sapeva cosa cercare e di conseguenza cosa eliminare, ma nessuno era infallibile e la medicina legale era in grado di riportare a galla molto da un microscopico reperto. La dottoressa avrebbe scoperto qualcosa, qualche minimo dettaglio, avrebbe tratto alcune conclusioni esatte, ma sui punti chiave sarebbe rimasta a mani vuote. Le quisquilie praticamente invisibili non l’avrebbero fatto cadere in contraddizione.
Oltrepassò l’incrocio mentre diversi agenti di polizia correvano fuori dalla palazzina, salivano a bordo delle loro autopattuglie e si allontanavano in velocità. Con ogni probabilità stavano correndo all’inseguimento di tracce irrilevanti, sprecando tempo ed energie, il che non lo sorprendeva, considerando gli scarsi attributi del loro capo, Todd Williams. Però Sylvia Diaz era un’autorità di prim’ordine nel suo campo. E a un certo punto, a mano a mano che gli omicidi aumentavano, sarebbe entrata in gioco l’FBI, e un arrogante agente speciale avrebbe preso le redini delle indagini. A dire il vero pregustava già la sfida.
Guidò verso un altro incrocio, accostò al marciapiede davanti a una cassetta postale e lasciò cadere la lettera nella buca prima di ripartire di nuovo accelerando gradualmente. Quando avrebbe ricevuto il suo secondo messaggio, nel quale spiegava le circostanze della morte di Steve Canney e Janice Pembroke, la polizia avrebbe saputo di essere impegnata in una lotta per la vita.
King passò a prendere Michelle all’obitorio e l’aggiornò rapidamente sui particolari della lettera del nuovo Zodiaco. Michelle, a sua volta, lo ragguagliò velocemente sui risultati delle autopsie eseguite sui corpi della Pembroke e di Canney. Purtroppo, enumerare i dettagli non rese meno arcano l’enigma.
«E così pare che l’assassino voglia rendere ben chiaro che, anche se in un modo o nell’altro sta emulando i delitti del killer dello Zodiaco con Rhonda Tyler, non è il vero Zodiaco» concluse Michelle. «Che cosa ne deduci?»
King scosse sconsolatamente la testa. «Sembra proprio che questi omicidi siano soltanto l’inizio.»
«Credi che vedremo un’altra lettera?»
«Sì, e presto. E sebbene Todd non ne sia convinto, sono sicuro che la nuova missiva riguarderà Canney e Pembroke. Todd è andato a parlare con Lulu Oxley per avere altre informazioni su Rhonda Tyler.»
Michelle guardò fuori del parabrezza. «E noi dove siamo diretti?»
«Dai Battle. Li ho chiamati dalla stazione di polizia e ho fissato un appuntamento.» King sfiorò con lo sguardo la collega. «Abbiamo un ingaggio remunerativo, ricordi?» King si fece silenzioso e poi soggiunse: «Ne hai passate già di cotte e di crude, oggi. Te la senti di occuparti anche di questo?».
«Dopo quello che abbiamo visto, come posso aver paura dei Battle?»
«Potresti avere delle sorprese.»
14
La tenuta della famiglia Battle occupava la sommità di una collina maestosa. La casa era un’ampia costruzione a tre piani di mattoni, blocchi di pietra e assi di legno, circondata da vari ettari di prato dall’erba color smeraldo, punteggiati di alberi secolari. Rivelava un patrimonio familiare di vecchia data, sebbene le montagne di soldi che l’avevano edificata fossero vecchi soltanto di qualche decennio. King e Michelle si fermarono davanti a una coppia di massicci cancelli di ferro battuto. Sopra un basso pilastro nero accanto alla strada d’accesso asfaltata c’era un citofono. King abbassò il finestrino e premette un paio di volte il pulsante bianco. Una voce efficiente rispose quasi subito, e un minuto dopo i cancelli si aprirono automaticamente, e King entrò.
«Benvenuta a Casa Battle» disse a Michelle.
«È così che la chiamano?»
«No, l’ho solo detto per scherzare.»
«Sbaglio o hai detto che conosci Remmy Battle?»
«Come la maggior parte della gente, suppongo. Un tempo giocavo di tanto in tanto a golf con Bobby. È un tipo socievole ed estroverso, ma ha le palle di ferro e un caratteraccio, se gli fai saltare la mosca al naso. Remmy invece è il tipo di donna che ti lascia capire ben poco di sé, e solamente alle sue condizioni. E se le metti il bastone tra le ruote, per rimetterti in sesto ti occorre un urologo e una buona dose di miracoli.»
«Dov’è che ha preso quel nome… Remmy?»
«È il diminutivo di Remington. A quanto si dice era la marca di fucili preferita di suo padre. Chiunque la conosce ritiene che il nome le si addica in pieno.»
«Chissà quante persone interessanti abitano in una cittadina così piccola!» Michelle osservò di fronte a sé l’imponente villa. «Accidenti, che casa da favola!»
«Vista dall’esterno, sì. Per quanto riguarda l’interno, lascerò che giudichi tu.»
Quando bussarono, la porta d’ingresso venne aperta quasi immediatamente da un uomo robusto e muscoloso, di mezza età, che indossava un cardigan giallo, una camicia bianca, una cravatta color pastello e larghi pantaloni neri. Si presentò come Mason. La signora Battle stava terminando alcune faccende e li avrebbe ricevuti di lì a poco sulla terrazza del retro, li informò.
Mentre l’uomo li accompagnava attraverso la casa, Michelle si guardò intorno ammirando l’interno, di uno sfarzo mozzafiato. Che gli arredi e gli oggetti fossero assai costosi non c’era dubbio. Eppure si percepiva anche un understatement che per chissà quale motivo la sorprese.
«L’interno è bellissimo, Sean» bisbigliò.
«Non mi riferivo a questo interno» borbottò King di rimando. «Intendevo quelli che ci abitano.»
Arrivarono alla terrazza sul retro e vi trovarono un tavolo apparecchiato con tè, sia caldo che freddo, tartine e stuzzichini vari. Mason versò le bevande da loro prescelte e poi se ne andò, chiudendosi silenziosamente alle spalle le portefinestre. La temperatura era sui 25 gradi, con un sole abbastanza caldo e l’aria ancora un po’ afosa e umida a causa delle recenti piogge.