Remmy si rabbuiò in viso. «Era sopra un tavolino accostato alla finestra forzata. Si è rotta quando Junior si è intrufolato all’interno. Non l’ho ancora fatta aggiustare.»
King e Michelle fissarono il ritratto a matita di un bambino dentro la cornice rotta: era stato stracciato precisamente a metà.
«Che cos’è?» domandò King.
«Un ritratto di Bobby Jr. Non perdonerò mai a Junior di averlo distrutto.»
King rimise a posto il disegno. «Ho sentito che c’era una specie di cassetto segreto nel suo guardaroba, è così?»
Remmy annuì e li invitò a seguirla. Il suo guardaroba — una spaziosa cabina armadio — era completamente rivestita in mogano, e abiti, borse, calzature, cappelli e altri accessori erano sistemati con ordine maniacale.
King osservò la meticolosa disposizione con impassibile ammirazione. Egli stesso teneva i suoi effetti personali in perfetto ordine, un fatto ben noto a Michelle. La sua espressione di assoluta delizia ovviamente non le sfuggì; infatti, mentre Remmy si era distratta un momento, Michelle toccò il braccio al collega, finse un brivido orgasmico e poi fece la pantomima di una fumata dopo-sesso.
«Scusi la domanda, ma dov’era lo scomparto segreto?» disse King quando smise di guardare in modo severo la sua socia.
Remmy tirò fuori leggermente un cassetto e poi batté sulla parte anteriore di una mascherina piatta di legno proprio sotto al cassetto. Questa si aprì di scatto, rivelando un piccolo scomparto lungo sessanta centimetri e largo quarantacinque. «Un frontalino falso» spiegò Remmy. «Sembra un pezzo di legno di finitura della struttura dell’armadio, ma aprendo leggermente il cassetto appena sopra si arma una leva dietro il finto frontale. Poi battendo un colpo leggero sull’angolo superiore destro del frontalino si fa scattare la leva, e il cassetto segreto si apre.»
King esaminò da vicino e attentamente il meccanismo. «Molto ingegnoso.»
«Ho sempre desiderato uno scomparto segreto nel mio guardaroba» disse Remmy. «Fin da bambina.»
«Ma la persona che l’ha derubata non sapeva come aprirlo, vero?» disse Michelle.
«Junior Deaver non sapeva come aprirlo» la corresse Remmy. «Quasi tutti i cassetti del guardaroba sono stati forzati e depredati. Mi è costato una bella fortuna far risistemare tutto. Mi rifarò finanziariamente su Junior in sede civile. Statene certi e ditelo a Harry.»
«Ma, oltre a lei, chi mai poteva sapere che qui dentro c’era uno scomparto segreto?» volle sapere Michelle.
«Con gli anni posso essermi lasciata sfuggire l’informazione, ma non me ne sono preoccupata perché abbiamo sempre avuto quello che ritenevo un sistema d’allarme di prima qualità.»
«E l’impianto era stato attivato?» chiese King.
«Sì, solo che il secondo piano non è fornito di rilevatori e nemmeno le finestre sono collegate all’impianto. Abbiamo fatto installare l’antifurto anni fa dopo aver sfiorato una tragedia. Immagino che all’epoca fosse diffusa l’idea che i ladri che arrivavano al primo piano non si avventuravano al secondo.»
«Una tragedia sfiorata?» domandò King.
Remmy si rivolse a Sean. «Mio figlio Eddie venne rapito.»
«Non ne sapevo niente» osservò King.
«Accadde più di vent’anni fa, quando studiava ancora all’università.»
«Ma ovviamente tutto è finito bene, eh?» insistette King.
«Grazie al cielo, sì. Non fummo neppure costretti a pagare il riscatto di cinque milioni di dollari.»
«Perché no?» chiese Michelle.
«L’FBI rintracciò il rapitore e lo uccise in un conflitto a fuoco. Anzi, Chip Bailey, l’agente dell’FBI che salvò Eddie e uccise il rapitore, abita nei paraggi. Lavora ancora per l’FBI, a Charlottesville.»
King disse: «Così non c’era nessuno in casa quando è avvenuto il furto?».
Remmy si sedette sulla sponda del grande letto a baldacchino e tamburellò con le lunghe dita affusolate sulla colonnina di legno tornito. «Savannah era ancora al college. Si è laureata quest’inverno, ma ha deciso di restare là per spassarsela un po’ a studi conclusi. Sono sicura che tu stesso sai bene che la mia bambina adora divertirsi. Eddie e Dorothea erano fuori città. Mason, il nostro domestico, e Sally, la ragazza che si occupa delle scuderie, abitano nella dépendance a metà della tenuta. Non avrebbero notato nulla, comunque. Le finestre della mia camera danno sulla parte posteriore della proprietà.»
«Così lei vive da sola nella casa?» domandò Michelle.
«Ci viviamo Bobby e io!» esclamò Remmy in tono di sfida. «I figli sono grandi. Finché siamo stati in salute, abbiamo fatto più del necessario per dare ad amici e parenti un posto accogliente. Anni fa questa vecchia grande casa spesso e volentieri era piena di gente. Adesso è solo la nostra casa.»
«Ma la notte del furto la casa era vuota» disse King. «Mi pareva di aver capito che lei si trovava all’ospedale da Bobby, non è così?»
«Esatto, al Wrightsburg General Hospital.»
«Ma ci è stato detto che è rientrata solo alle cinque di mattina» intervenne Michelle. «Una visita in ospedale alquanto protratta, se mi permette.»
«Ho dormito là, in una camera privata in fondo al corridoio, messa a mia disposizione dall’ospedale» spiegò Remmy.
«Gentile da parte loro» commentò Michelle.
«Il nostro cognome è sulla targa dei benefattori dell’ospedale, tesoro» rimbeccò Remmy in un tono falsamente garbato. Poi, con fare molto più tagliente soggiunse: «A essere franca, per quindici milioni di dollari ho pensato che fosse il meno che potessero fare».
«Ah» esclamò Michelle con aria impacciata.
«La polizia mi ha detto che tutte le prove conducono a Junior, comprese le sue impronte digitali.»
«Ma lui stava lavorando qui» obiettò King. «Questo potrebbe spiegare le impronte.»
«Le hanno trovate all’esterno di uno dei vetri della finestra forzata» replicò Remmy. E aggiunse: «Ho pagato Junior perché lavorasse in camera mia, non fuori dalla mia dannata finestra».
«E ho sentito che anche nel guardaroba di Bobby sono spariti dei valori.»
«È stata forzata la porta.»
«E cosa hanno rubato?» chiese Michelle.
«Venite a vedere con i vostri occhi.»
Li accompagnò fuori della sua camera da letto, in fondo al corridoio, dove aprì un’altra porta. Si ritrovarono in una stanza che puzzava di sigari e di pipa. Era una camera spaziosa, intensamente mascolina, notò Michelle. Una rastrelliera per fucili era posta sopra il camino, sebbene fosse completamente sguarnita di armi. Un paio di spade antiche erano appese su un altro muro. Erano disposte in croce una sull’altra, e formavano una grande X. C’erano numerosi quadri a olio di magnifici cavalli. Appoggiata in un angolo, una rastrelliera conteneva diverse pipe consunte dall’uso. In un altro angolo troneggiava una scrivania da campo con la sua poltroncina imbottita. Il letto era piccolo e il comodino ingombro di riviste di pesca, caccia e scienze. Un’intera parete era dedicata a fotografie di Bobby Battle. Era un tipo alto e pettoruto, dai capelli scuri e ondulati, la mascella volitiva e tratti che sembravano fusi nel ferro. Nella maggior parte delle immagini stava pescando o cacciando, ma ce n’era una in cui si stava lanciando da un aereo con il paracadute e un’altra in cui era ai comandi di un elicottero.
Remmy agitò la mano davanti al naso. «Scusate per l’odore. L’abbiamo arieggiata per giorni e giorni, e c’è ancora puzza. Ormai deve avere impregnato la moquette e i mobili. Bobby adora i suoi sigari e le sue pipe.»
Mentre Michelle si guardava intorno nella tana di Robert E. Lee Battle, la personalità di quell’uomo parve emanare dalle fotografie: un orso d’uomo che affrontava la vita di petto e non faceva prigionieri. Che un uomo simile in quel momento giacesse in coma in un letto d’ospedale con la lugubre prospettiva di non uscirne mai più la deprimeva parecchio, anche se non l’aveva mai conosciuto ed era disgustata dalla sua fama di playboy.