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Michelle indicò diverse foto di Bobby Battle al centro di folti gruppi di persone. «Chi sono?»

«Alcuni degli impiegati e dipendenti di Bobby. Era un ingegnere, trasformatosi in uomo d’affari. Detiene un centinaio di brevetti. A giudicare da questa stanza, verrebbe da pensare che mio marito amasse spassarsela e non abbia mai lavorato, ma Bobby è, sopra ogni altra cosa, un gran lavoratore. Tutte le sue invenzioni hanno reso una fortuna.»

«Quando vi siete conosciuti?» chiese Michelle. Poi si affrettò ad aggiungere: «So che è una domanda personale, ma sembra un uomo talmente affascinante…».

Remmy si concesse un sorriso. «Entrò di slancio nel negozio d’abbigliamento di mio padre a Birmingham, in Alabama, quarantacinque anni fa, e annunciò che mi aveva visto in diverse occasioni in società e che ero la ragazza più carina su cui avesse posato gli occhi in vita sua, e che aveva intenzione di sposarmi. E voleva solo che mio padre lo sapesse, anche se precisò subito che non stava chiedendo il suo permesso, una cosa che era, e sotto molti aspetti è ancora, usanza del Sud. Disse che ero io l’unica persona che doveva convincere delle sue buone intenzioni. Be’, ci si mise effettivamente d’impegno. Allora avevo solo diciotto anni e avevo ben poca esperienza della vita, ma non ero certo una facile conquista. Eppure alla fine mi convinse.»

«Un vero ciclone» disse King.

«Aveva dieci anni più di me. Quando ci sposammo non aveva ancora fatto fortuna, ma aveva cervello e iniziativa. Era speciale. Tuttavia voleva me.» Quest’ultima frase fu pronunciata con sorprendente umiltà.

«Be’, non è che lei non fosse un buon partito» disse King con franchezza.

«Suppongo che fossi una delle poche che gli tenevano testa» ribatté lei. Poi aggiunse con tranquillità: «Oh, abbiamo avuto i nostri alti e bassi, come la maggior parte delle coppie».

Remmy aprì una porta e li invitò a entrare. «Il guardaroba di Bobby.»

La cabina armadio era molto più piccola quella di sua moglie, ma era ugualmente arredata su misura.

Remmy spinse indietro alcuni pantaloni appesi agli appendiabiti e indicò il lato dove era stato spaccato un pannello di legno.

«Lì c’è un armadio segreto, con uno scomparto più o meno delle stesse dimensioni di quello che si trova in camera mia. Uno dei cassetti in questo grande armadio guardaroba non rientra fino in fondo, vedete. È una vera astuzia, perché standovi di fronte è quasi impossibile giudicare quanto siano profondi i cassetti. E non si vede il minuscolo buco della serratura sul lato, a meno che non se ne sia a conoscenza e non la si stia cercando. Sono stata qui dentro milioni di volte e non l’avevo mai notato.»

King le scoccò una rapida occhiata. «Allora non sapeva che Bobby aveva uno scomparto segreto?»

Remmy fece la faccia di chi si rende conto di aver parlato troppo.

«No, lo ignoravo» rispose.

«Che cosa è stato rubato?»

«Che importanza ha?» scattò Remmy. «So cosa è stato rubato dal mio.»

«Remmy, intende dire che non sapeva che cosa ci tenesse Bobby là dentro?» domandò King.

Remmy Battle non rispose per un lungo momento. Quando si decise a farlo, il suo tono era molto, molto più pacato.

«No, non lo sapevo.»

17

«D’accordo» disse Michelle non appena ebbero lasciato Casa Battle. «Uno psichiatra potrebbe scrivere un libro intero sul rapporto fra Savannah e Remmy.»

«Il non sapere cosa ci fosse nello scomparto segreto di Bobby dà a quella donna un fastidio tremendo» commentò King voltandosi a dare un’occhiata fugace alla grande casa.

«E mentre il suo guardaroba è stato tutto rovinato, quello di Bobby no. È significativo.»

«Esatto. Il ladro sapeva dov’era il nascondiglio segreto di Bobby ma non aveva la chiave per aprirlo.»

Prima di lasciare la tenuta parlarono con Mason e gli altri domestici. Le loro risposte furono incredibilmente coerenti: tutti si trovavano in un’altra parte della proprietà e non avevano visto né udito niente quando era avvenuto il furto.

King e Michelle salirono in auto, ma invece di andarsene King diresse la sua Lexus lungo la strada asfaltata che conduceva alla parte posteriore della proprietà.

«Dove stiamo andando?» domandò Michelle.

«L’anno scorso, a un concorso ippico, ho conosciuto per caso Sally Wainwright, la ragazza che si occupa delle scuderie. Vediamo se anche lei non ha visto né sentito niente quella notte.»

Sally era sui venticinque anni, carina, piccola ma vigorosa, con lunghi capelli castani che teneva legati a coda di cavallo. Stava pulendo una stalla quando King e Michelle sopraggiunsero. La ragazza si deterse il sudore dalla fronte con uno strofinaccio e si avvicinò all’auto.

«Probabilmente non ti ricordi di me» esordì King. «L’anno scorso abbiamo passato la giornata insieme al dressage di beneficenza di Charlottesville.»

Sally si profuse in un sorriso smagliante. «Certo che mi ricordo di te, Sean.» Lanciò un’occhiata di sufficienza a Michelle. «Tu e Miss Maxwell ora siete piuttosto famosi da queste parti.»

«O piuttosto famigerati» ribatté King. Si guardò intorno, osservando le scuderie e i cavalli. «E così sono ancora molti i Battle che vanno a cavallo?» domandò.

«Dorothea non è mai stata in sella. Eddie cavalca ancora un po’, di tanto in tanto. Partecipa alla tradizionale parata della Guerra di Secessione, perciò è costretto a tenersi in esercizio.»

«Partecipi anche tu?» chiese Michelle.

Sally se la rise di gusto. «Io sono dell’Arizona. Non potrebbe fregarmene di meno della Guerra di Secessione.»

«Ho visto che Savannah è tornata a casa» disse King. «Una volta partecipava alle gare di equitazione, giusto?»

Una lieve irritazione passò sul viso di Sally. «Una volta.» King attese speranzoso di vedere se la ragazza avrebbe concluso il commento con un definitivo punto esclamativo.

«È una splendida amazzone. Non troppo in gamba però a spalare letame, strigliare cavalli e trattare con la gente che non è cresciuta con i cucchiai d’argento.» Sally assunse improvvisamente un’espressione spaventata, come se avesse parlato a vanvera.

«Non preoccuparti, Sally» disse King in tono cordiale. «So esattamente cosa vuoi dire.» Si interruppe un istante e soggiunse: «Remmy Battle cavalca?».

«Sono al loro servizio da cinque anni, e in tutto questo tempo non è mai salita in sella una sola volta.» Sally si appoggiò al forcone da letame. «Vi ho visti arrivare, prima. Siete qui solo in visita?»

King le spiegò il motivo per cui erano lì, e Sally corrugò la fronte lanciando un’occhiata fugace, carica d’ansia, in direzione della villa.

«Io non so niente» dichiarò.

«E così ti trovavi nella dépendance con Mason e gli altri, e sei rimasta là per tutto il tempo, immagino.»

«Esatto» rispose Sally. «Vado a letto presto. Mi devo sempre alzare all’alba.»

«Ne sono certo. Be’, se per caso ti venisse in mente qualcosa, fammelo sapere.» King le porse uno dei suoi biglietti da visita. Sally non lo degnò neppure di uno sguardo.

«Non so proprio niente di niente, Sean, veramente.»

«Okay. Hai mai visto Junior Deaver qui intorno?»

Sally ebbe un attimo di esitazione, poi disse: «Qualche volta. Quando lavorava qui».

«Hai mai parlato con lui?»

«Forse una volta» rispose Sally evasivamente.

«Be’, buona giornata, Sally.»

I due soci ripartirono in macchina. King tenne d’occhio lo specchietto retrovisore, osservando una nervosissima Sally.

«Ci nasconde qualcosa» disse Michelle.

«Ci puoi giurare» ribatté King.