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Poi aprì gli occhi e il sorriso gli morì sulle labbra.

Una terrificante figura con un cappuccio nero lo fissava di rimando oltre il parabrezza. Attraverso la spessa condensa del loro fiato sul vetro vide spuntare la canna di un fucile. Fece per scrollarsi di dosso la ragazza, pensando istintivamente di avviare il motore e di levarsi di torno. Non ne ebbe il tempo. Il vetro del parabrezza esplose verso l’interno. L’impatto dei pallettoni nella schiena della ragazza la scaraventò contro di lui, ma il suo corpo gli fece da scudo. Però la collisione con la sua testa gli ruppe il naso, facendolo quasi svenire. Inondato dal sangue della sua amica, eppure non ferito in modo letale, strinse a sé il corpo morto, avvinghiandosi a esso come fosse una cara, tenera coperta di Linus, una sicurezza affettiva, capace di proteggerlo e respingere il folle assassino. Avrebbe voluto urlare, ma non ci riuscì. Finalmente lasciò andare la ragazza e scivolò verso il posto di guida. I suoi movimenti erano maldestri, la sua mente offuscata. Era stato colpito da una pallottola? Non lo sapeva, ma era in preda allo shock. La sua pressione sanguigna aumentava e diminuiva rapidamente, con picchi tremendi, sottoponendo ogni parte del corpo a livelli di stress pressoché intollerabili.

Girò una prima volta la chiave di accensione proprio quando la portiera dal lato del conducente si spalancò e comparve di nuovo il cappuccio nero. Mentre fissava impotente il suo aggressore, la canna del fucile ondeggiò adagio verso di lui come il serpente più velenoso del mondo. Il ragazzo iniziò a implorare e poi a piangere a calde lacrime, con il sangue che gli colava dal naso fratturato. Terrorizzato, si ritrasse adagio dall’uomo armato, finché non urtò il corpo della ragazza. «Pietà!» uggiolò come un cucciolo. «No! Dio mio, no!»

I nove pallettoni della cartuccia esplosa dal fucile lo colpirono a rosa alla testa con la forza di un maglio, e cadde all’indietro a fianco della ragazza. La parte anteriore del corpo di lei non recava alcun segno; la schiena però era devastata. Guardandola semplicemente distesa supina era impossibile dire che cosa l’avesse uccisa. La causa della morte del suo ragazzo era di gran lunga più evidente, considerando che non aveva più una faccia.

L’assassino appoggiò il fucile alla fiancata dell’auto, dal lato del passeggero, aprì la portiera e si chinò all’interno. Allacciò un orologio al polso del ragazzo, allungandogli il braccio e appoggiandolo al cruscotto dell’auto, incastrandolo infine tra il cruscotto e la portiera in modo che puntasse verso l’alto. Poi armeggiò con l’orologio che la ragazza indossava già; infine le sfilò dal dito un dozzinale anellino con ametista e se lo mise in tasca. Levò la catenina con la medaglietta di san Cristoforo dal collo del giovane e ripose anche quella in tasca.

Chino sul cadavere del ragazzo, disse: «Mi dispiace. Non sei colpevole personalmente, ma eri parte del peccato originale. Non sei morto invano. Hai rimediato a uno sbaglio da troppo tempo in attesa di riparazione. Trai conforto da questo».

Non si scomodò a pregare per la ragazza. Estrasse un oggetto da una tasca e lo depose sul pavimento dell’auto, chiuse la portiera e si incamminò con passo pesante. Mentre la pioggia entrava attraverso il parabrezza infranto, i due giovani nudi e morti sembravano stringersi l’uno all’altra.

Sul pavimento dell’auto c’era l’oggetto lasciato dall’assassino.

Era un collare per cani.

6

Il capo della polizia Williams si fermò davanti alla sede della Maxwell King, situata in una villetta a schiera di mattoni a due piani nel cuore della piccola eppure lussuosa zona centrale di Wrightsburg. L’ufficio aveva ospitato lo studio legale di King prima che lui appendesse al chiodo la toga da avvocato. Williams si sedette con il cappello in grembo, gli occhi gonfi e la faccia tirata di chi non ha chiuso occhio, e mise al corrente King e Michelle del macabro duplice omicidio.

«Avevo lasciato la polizia di Norfolk per non dover più avere a che fare con questo genere di efferatezze» attaccò Williams. «La mia ex moglie mi costrinse a trasferirmi qui per amore della pace e della tranquillità. Dannazione, quanto si sbagliava! Non c’è da meravigliarsi che abbiamo divorziato.»

King gli offrì una tazza di caffè e poi gli si sedette di fronte, mentre Michelle rimase appollaiata sul bordo di un divano di pelle. «Aspettate che le redazioni dei giornali lo vengano a sapere. E povera Sylvia. Aveva appena concluso l’autopsia della ragazza trovata nel bosco e ha dovuto rimboccarsi le maniche ed eseguirne altre due a tamburo battente.»

«Chi erano?» domandò King.

«Due studenti della Wrightsburg High Schooclass="underline" Steve Canney e Janice Pembroke. A lei ha sparato alla schiena; a lui invece in piena faccia. Fucile caricato a pallettoni. Aprire la portiera mi è costato la colazione. Diavolo, me li sognerò per mesi.»

«Nessun testimone?»

«Non che io sappia. Era una notte di pioggia. Le tracce dei pneumatici della loro auto sono le uniche lassù.»

Michelle si sporse in avanti per intervenire. «Giusto, diluviava. Perciò, se non avete trovato altre tracce di gomme d’auto, l’assassino deve aver raggiunto a piedi l’auto posteggiata. Non avete trovato nessuna impronta?»

«Quasi tutto è stato dilavato dal violento temporale. Sul pavimento dell’auto c’erano più di due dita d’acqua mista a sangue. Al liceo Steve Canney era uno degli studenti più popolari, una stella del football, bel ragazzo e tutto il resto.»

«E la ragazza?» domandò Michelle.

Williams ebbe un attimo di esitazione. «Janice Pembroke aveva una certa reputazione fra i maschietti.»

«Come ragazza… facile?» chiese King.

«Sì.»

«Mancava nulla nell’auto? Non potrebbe essere stato un omicidio a scopo di rapina?»

«Improbabile, benché manchino due oggetti: un anellino da due soldi che la Pembroke portava sempre al dito e la catenina con la medaglietta di san Cristoforo di Canney. Non sappiamo se li abbia presi l’omicida o meno.»

«Lei ha detto che Sylvia ha già eseguito le autopsie. Ne deduco che vi ha assistito personalmente.»

Williams assunse un’espressione imbarazzata. «A metà dissezione della sconosciuta ritrovata nel bosco sono stato colto da un piccolo malore, e mentre Sylvia eseguiva le altre avevo degli impegni» disse. Poi si affrettò ad aggiungere: «Aspetto che mi mandi i referti da un momento all’altro. Nella squadra locale non disponiamo di un investigatore della Omicidi ufficiale, perciò ho pensato che rivolgermi a voi e assoldare i vostri cervelli non sarebbe stata una cattiva idea».

«Nessun indizio?» chiese Michelle.

«Del primo omicidio no. E non l’abbiamo nemmeno identificata, anche se siamo riusciti a prenderle le impronte digitali e ci stiamo lavorando. Ora abbiamo anche una ricostruzione computerizzata del volto, che stiamo facendo circolare.»

«Non c’è nessun motivo di credere che gli omicidi siano collegati tra loro?» domandò Michelle.

Williams scosse la testa. «Probabilmente verrà fuori che la Pembroke e Canney sono vittime di un triangolo sentimentale. I giovani d’oggi non ci pensano due volte ad ammazzarti in una frazione di secondo e non provano alcun rimorso. Tutta colpa della spazzatura che vedono in TV.»

King e Michelle si scambiarono un’occhiata d’intesa, dopo di che King disse: «Nel primo omicidio l’assassino ha attirato la donna nel bosco o l’ha costretta a seguirlo. Oppure l’ha uccisa da qualche altra parte e poi l’ha portata in spalla nel bosco».