Rimasero seduti in silenzio, perplessi, riflettendo su quel particolare, finché non squillò il telefono sulla scrivania della reception. King andò a rispondere e tornò con un’espressione compiaciuta. «Era Harry Carrick» spiegò a Michelle «un giudice della Corte suprema di Giustizia ormai in pensione, che adesso fa l’avvocato in provincia. Ha un cliente accusato di un reato grave non meglio specificato e vuole il nostro aiuto. Non mi ha detto né di chi si tratta né che cosa ha fatto.»
Williams si alzò dalla sedia e si schiarì la gola. «Uhm, si tratterà di Junior Deaver.»
«Junior Deaver?» disse King.
«Già. Stava svolgendo un certo lavoro per i Battle. Non rientra nella mia giurisdizione. Al momento Junior è rinchiuso nella prigione della contea.»
«Che cosa avrebbe fatto?» domandò King.
«Questo dovrai chiederlo a Harry.» Williams si avviò verso la porta. «Farò intervenire anche la polizia di Stato. Loro sì che dispongono di veri detective della Omicidi.»
«Forse vorrà coinvolgere anche l’FBI» disse Michelle. «Se si tratta davvero di un serial killer, il VICAP può senz’altro fornire un profilo psicologico» aggiunse, facendo riferimento al Violent Criminal Apprehension Program dell’FBI, una sezione speciale di esperti per la cattura dei criminali più violenti.
«Non avrei mai pensato che sarei stato costretto a compilare un modulo di richiesta di intervento del VICAP qui a Wrightsburg.»
«Hanno semplificato moltissimo le procedure» fece notare Michelle in tono cortese.
Dopo che Williams se ne fu andato, Michelle si rivolse a King. «Mi dispiace per lui.»
«Faremo quel che possiamo per dargli una mano.»
Michelle si abbandonò contro lo schienale del divano. «Allora, chi sono Junior Deaver e i Battle?»
«Junior è un bravo ragazzo che è vissuto qui tutta la vita. Dalla parte sbagliata della città, si potrebbe dire. I Battle, tutt’altra faccenda. Sono la famiglia di gran lunga più facoltosa di questa regione. Rappresentano tutto ciò che ci si aspetterebbe di trovare in una buona, vecchia famiglia del Sud.»
«Con questo cosa intendi esattamente?»
«Voglio dire che, be’, sono affascinanti, un po’ strani… sai, un tantino eccentrici.»
«Vuoi dire matti?» suggerì Michelle.
«Be’…»
«Qualsiasi famiglia ha un pizzico di follia» lo interruppe la sua socia. «Certe lo dimostrano più apertamente di altre.»
«Penso che scoprirai presto che a questo riguardo i Battle sono al primo posto nella graduatoria.»
7
Harry Lee Carrick viveva in una vasta tenuta alla periferia orientale di Wrightsburg. Durante il tragitto in auto King ragguagliò Michelle sull’ex giudice che si era dedicato alla semplice avvocatura di provincia.
«Anni fa faceva l’avvocato qui a Wrightsburg, poi cominciò a indossare la toga di pubblico ministero nel giro dei tribunali locali, e infine trovò la propria collocazione come giudice della Corte suprema di Stato, carica che ha ricoperto per vent’anni. È stato lui a farmi prestare giuramento per entrare nell’ordine degli avvocati, dello Stato della Virginia. La sua famiglia esiste da parecchie generazioni. Sai, sono proprio quei Lee. Ha passato da un pezzo i settanta, ma è più lucido e sagace che mai. Dopo aver lasciato la Corte suprema, è tornato qui e si è stabilito definitivamente nella tenuta di famiglia.»
«Hai detto che Junior veniva dalla parte sbagliata della città.»
«Diciamo solo che di tanto in tanto si è posto al di fuori della legge. Ma da quel che ho sentito era da parecchio che non si metteva nei guai.»
«Finora, a quanto pare.»
Oltrepassarono una coppia di cancelli di ferro battuto sui quali campeggiava un emblema con la lettera C.
Michelle ammirò lo splendido parco intorno a sé. «Un posto magnifico.»
«Harry ha fatto una brillante carriera, e la sua famiglia non aveva certo problemi finanziari.»
«Sposato?»
«Sua moglie morì quand’era giovane. Non si è mai risposato e non ha eredi. Per quel che ne so, è l’ultimo dei Carrick.»
Ebbero la fugace visione di un grande palazzo di mattoni con un peristilio di colonne bianche circondato da alberi secolari. Però King si allontanò dalla strada che conduceva all’abitazione principale e imboccò un vialetto di ghiaia, andando a fermarsi davanti a una casetta di legno dipinta di bianco.
«E questo che cos’è?» domandò Michelle.
«L’opulento studio legale dell’Egregio Harry Lee Carrick.»
Bussarono alla porta e una voce dal tono cordiale rispose: «Avanti!».
L’uomo all’interno si alzò da dietro l’ampia scrivania di legno massiccio, porgendo affabilmente la mano. Harry Carrick sfiorava il metro e ottanta d’altezza, era magro e slanciato, con i capelli di un bellissimo color argenteo e la carnagione rubiconda. Indossava un paio di pantaloni grigi sportivi, un blazer blu, una camicia bianca con le punte del collo fermate da bottoncini e una cravatta a strisce bianche e rosse. I suoi occhi tendevano più al pervinca che all’azzurro intenso, decise Michelle, e brillavano piacevolmente anche di una luce birichina. Aveva sopracciglia folte e dello stesso color argento dei capelli. La sua stretta di mano era forte e decisa, e il melodioso accento strascicato del Sud suonava dolce e avvolgente. I suoi modi energici erano quelli di un uomo con vent’anni di meno. In breve, era la versione hollywoodiana di quel che dovrebbe sembrare un giudice.
Harry disse a Michelle: «Mi chiedevo quando Sean si sarebbe deciso a portarla con sé per farmela conoscere. Così che mi sentissi obbligato a prendere in mano personalmente la situazione, capisce?».
Li accompagnò verso tre sedie in un angolo della piccola stanza. Robusti scaffali carichi di libri rivestivano gran parte delle pareti. Tutti i mobili sembravano antichi e ben conservati. Nell’aria aleggiavano mollemente dei piccoli addensamenti di fumo di sigaro; Michelle notò di sfuggita una vecchia macchina da scrivere Remington su un tavolino laterale, sebbene sulla pregiata scrivania intarsiata di Harry ci fosse anche un PC e una stampante laser.
«Mi sono arreso completamente all’efficienza dell’età moderna» disse l’anziano ex giudice, incrociando lo sguardo incuriosito di Michelle. «Ho fatto resistenza ai computer fino all’ultimo, dopo di che mi sono gettato entusiasticamente nelle loro braccia. Riservo la Remington alla corrispondenza con certi amici di età avanzata, che considererebbero disdicevole ricevere una lettera su un foglio qualsiasi, e non su carta intestata di prima scelta, e con il tocco dei tasti di una macchina da scrivere, o al massimo con la mia tremolante grafia, la quale purtroppo diventa sempre più indecifrabile. Diventare vecchi è così dannatamente sgradevole, finché non si considera l’alternativa. Raccomanderei sempre di restare giovani e belli, come lei, Michelle.»
Michelle sorrise: l’ex giudice era proprio un gentiluomo d’altri tempi, e un ammaliatore.
Harry insistette per offrire loro del tè, che servì in delicate tazze di porcellana fine e antica, con tanto di piattini dello stesso servizio. Poi si accomodò con loro.
«Junior Deaver» suggerì King.
«E i Battle» precisò Harry.
«Sembra una strana accoppiata» osservò Michelle.
«La più strana che ci sia» convenne Harry. «Bobby Battle era un uomo brillante, e duro come un chiodo. Si è guadagnato una fortuna con il sudore della fronte e con il cervello. Sua moglie Remmy è una signora fine, di famiglia altolocata. E anche lei è fatta d’acciaio temprato. Come consorte di Bobby, doveva esserlo per forza.»
Michelle fissò Harry con curiosità. «Ha detto “era”. Bobby Battle è forse defunto?»
«No, ma di recente ha avuto un ictus cerebrale. Non molto tempo prima dell’incidente di cui Junior è accusato, in effetti. Non sono del tutto sicuro che possa rimettersi.»