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Era calva, con un cranio arrotondato che non mostrava tracce di saldature ossee. La bocca era storta e le orecchie una massa informe di argilla applicata male, come aggiunta per ripensamento. La statua era nuda e la pelle intorno all’inguine appariva perfettamente liscia. Non vi era traccia di peli pubici né di organi genitali o escretori.

La giudicai una scultura piuttosto misera, anche se possedeva qualche qualità che mi intrigava. — Che ne pensate? — domandai ad Alvaro.

— Qualcuno si è divertito a modellarla — rispose — altrimenti non avrebbe scelto di metterla in mostra sul ciglio della strada.

Guardai le colline circostanti. — Non vedo nessun villaggio — osservai.

— Il territorio è così accidentato e tortuoso che il primo villaggio potrebbe essere a un chilometro di distanza o forse meno — mi fece notare. — Non riusciamo a spaziare molto con lo sguardo.

C’era del vero nella sua affermazione: le regioni montuose potevano confondere viaggiatori non avvezzi alle loro particolarità. Era estremamente facile perdere i punti di riferimento. Noi stessi ci saremmo smarriti di continuo, se non ci fosse stata la strada che, presumibilmente, rappresentava il percorso più breve per giungere a destinazione.

— Penso che ce ne siano altre più su — disse John indicando davanti a sé. C’erano davvero altre sagome grigie e marroni, ma sembravano distese, non in posizione verticale come quella accanto a noi.

Risalimmo sul carro e ripartimmo. A circa un centinaio di metri dalla prima, trovammo i resti di una seconda statua che qualcuno aveva abbattuto e fatto a pezzi. Da quel che potevamo vedere, sembrava che questa fosse in tutto e per tutto simile alla prima.

Nei cinquecento metri successivi passammo accanto ad altre sette statue, due delle quali intere, mentre le altre presentavano danni più o meno gravi. Differivano nell’altezza e nelle posizioni: alcune erano in piedi, altre inginocchiate, altre correvano. Anche le braccia avevano pose diverse: erano stese, sollevate o conserte. Ma a tutte mancavano gli occhi e il sesso. Sembravano essere la rappresentazione di qualcosa di disumano e vagamente terrificante. Una era stata un enigma, ma nove lasciavano intendere che qualcuno ne era ossessionato.

Giungemmo infine a una capanna di legno circondata da pini. Era piccola ma ben costruita. Davanti alla porta sedeva un uomo enorme che plasmava una statua d’argilla simile a quelle che avevamo visto lungo la strada. Lavorava in silenzio, muovendo lentamente le mani, ma la figura che stava creando era ben delineata e già definita.

Per un istante restammo a guardarlo seduti sul carro uno accanto all’altro, senza sapere cosa fare o cosa dire. Il gigante, che doveva essere alto due metri e mezzo o poco meno, era pallido e magro in proporzione alla sua altezza. Forse non si era accorto della nostra presenza o forse gli era talmente indifferente da essere disposto a ignorarci senza nemmeno rivolgerci uno sguardo.

Alla fine prevalse la curiosità e smontai. Questa volta John mi seguì, aiutando prima Alvaro a scendere. Ci avvicinammo tutti e tre all’uomo seduto.

— Buongiorno — mi arrischiai a dire.

Il gigante non sollevò gli occhi. — Mostro — disse.

— Mostro? È il tuo nome o ti riferivi a me?

Il gigante continuò a lisciare la testa della sua opera per darle, con una ragionevole approssimazione, una forma ovale.

— Sei stato tu a mettere le statue lungo la strada? — chiesi anche se la domanda era piuttosto sciocca.

— Statue. — Il gigante sputò per terra. — Uomini.

— Sì, ho visto che sono uomini — dissi. — Alcuni sono caduti. Forseè stato il vento. — L’uomo restò impassibile. — Sono rotti — aggiunsi.

— Morti — commentò lui con una leggera scrollata di spalle, come per indicare che così andava il mondo e che non valeva la pena piangerci sopra.

— È un peccato — dissi tentando di portare avanti la conversazione.

— Gli uomini muoiono — rispose il gigante che era palesemente un fatalista e un uomo di poche parole.

— Ah, non sprechi fiato — osservai. — Non vorrai dirmi che un tempo quelle statue erano vive?

Finalmente il gigante sollevò lo sguardo. Aveva un viso da bambino e una schietta espressione di sorpresa.

— Gli uomini vivono — affermò.

— Le statue no — replicai.

Lui sbuffò. — Gli uomini sì — ripeté, come se questo chiudesse la questione, e ritornò al lavoro.

Confuso, mi voltai verso John e Alvaro. John pensava chiaramente che avessi scovato un altro pazzo e si stava godendo il nostro dialogo. Alvaro restava in disparte a guardare come se anche lui stesse aspettando. Deciso a non fare di nuovo la figura dello sciocco com’era accaduto con la faccenda dell’ombra, mi rivolsi ancora all’uomo. — Perché te ne stai seduto lì a fare uomini? — gli chiesi educatamente.

— Dio — rispose il gigante.

— Sei Dio? Chi te l’ha detto?

Il gigante mostrò un dito. — Anello.

Al medio della sinistra portava un anello con una grossa pietra di colore scialbo.

— State attento — mi avvertì Alvaro, mentre John si sporgeva incuriosito per osservare la gemma più da vicino. Diedi uno sguardo all’omino poi mi voltai verso John giusto in tempo per afferrarlo prima che cadesse a terra.

— Non guardare la pietra — disse Alvaro, venendo avanti per coprire con la mano l’enorme pugno del gigante. L’uomo sottrasse la mano, guardò l’anello senza subirne alcun effetto e ritornò a modellare il naso della statua.

John si accasciò tra le mie braccia. Lo feci scivolare a terra accovacciandomi accanto a lui perché potesse appoggiare meglio la testa e il tronco.

— Che gli è successo? — domandai ad Alvaro.

— Ipnotizzato — rispose lui brevemente. Aspettai che mi spiegasse come guardare un anello potesse mandare qualcuno in trance, ma lui non aggiunse nient’altro. John si mosse e bofonchiò qualcosa.

— C’è una luce… — cominciò a dire afferrandomi una spalla, come se quello che stava cercando di esprimere fosse estremamente importante. — …Una luce nella pietra… che gira… Ho visto tutto il mondo… un lampo… mi ha catturato… tutto il mondo. Sono stato per il mondo… nel mondo… in tutto… il mondo era puro… giovane… mio… il cielo era azzurro… un blu… intenso, intenso… intenso… cadevo in quell’azzurro… per molto tempo… precipitavo… la vita di tutto il mondo… la mia vita… nemmeno un uomo… e c’era… i campi erano verdi… tutti verdi… e le montagne intatte… e il mare pulito e trasparente… e il vento fresco… e il sole continuava a brillare… non c’era la notte… e gli arcobaleni danzavano… le gocce di pioggia erano trasparenti, come gemme… niente strade… niente villaggi… niente chiese… niente locande… niente case… niente guglie… niente luci… niente uomini… e si muoveva come volevo che si muovesse… tutto era in movimento… e c’era una voce… una vocina… una voce dal basso… da sotto… e diceva… creami… creami… ti servirò… sono nato per servire… creami… sei Dio… crea… crea…

— Sta uscendo dalla trance — disse Alvaro mentre John cominciava a muoversi di nuovo, a dimenarsi come durante un sonno agitato. La voce debole e impersonale con cui John aveva parlato scomparve.

— Non ci credo — disse John, deciso. Lo stato d’animo di poco prima era svanito quasi istantaneamente. John era di nuovo se stesso.

— Ecco perché le statue hanno quegli strani occhi — mormorai. John tossì, ancora stordito dal violento ritorno alla realtà.