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Eravamo entrambi molto stanchi e poco lucidi.

Anche John provò a spingere la porta, poi scrollò le spalle e bussò con forza. Per alcuni secondi ci guardammo, incerti su cosa fare: quella non era una taverna né una locanda per viaggiatori. Poi una faccia smunta emerse dall’oscurità e ci scrutò con occhi assonnati.

— Accidenti a me — disse l’uomo. — Stranieri, perdio. Ebbene? — La sua voce era roca e sibilante per la mancanza di alcuni denti.

— Scusateci — cominciai a dire. — Volevamo una stanza per la notte e abbiamo scambiato casa vostra per una locanda.

— Eh? — disse l’altro in tono interrogativo. Non riuscivo a capire se non aveva sentito o se era soltanto stupido.

— Una stanza per la notte — disse John. — Ce l’avete?

Le palpebre si abbassarono ulteriormente e la porta cominciò a chiudersi. Poi il vecchio, come se avesse cambiato idea, la riaprì. — Nome? — s’informò.

— John, la Lucciola.

— Eh?

— La Lucciola. Lui è Matthew, mio fratello.

— Oh!

Seguì una lunga pausa, durante la quale cercammo di capire che cosa potesse ancora richiedere il vecchio.

— Ah! — esclamò costui alla fine, come se avesse preso una decisione. — Volete evasione?

John rispose di sì, forse perché la interpretò come una domanda riguardo al suo desiderio di fuga dal mondo.

— Tipo prudente — commentò il vecchio. — Non ti ho mai visto prima. Non so chi vi ha mandati. Dentro!

Spalancò la porta. Ero sicuro che ormai il nostro dialogo generasse solo equivoci; ma John era già entrato in casa e allora lo imitai.

La porta sbatté alle mie spalle ed entrambi i chiavistelli si chiusero minacciosamente. Per un attimo mi domandai chi o che cosa intendessero tenere fuori… o dentro.

Si accese una lampada e quel vecchiaccio ci guardò sfoderando un bel ghigno che mostrò tre molari marci e gengive consumate. Ebbi un sussulto e desiderai che non fossimo mai entrati.

— Accomodatevi — ci disse come se fossimo suoi amici di vecchia data. — Abbiamo già cominciato. Proprio quello che fa per voi. — Si fermò improvvisamente. — Potete pagare, vero?

— Per la stanza? — domandò John.

L’altro sorrise nuovamente. — Tutto compreso — disse.

— Tutto cosa?

— Tutto? Tutto? — borbottò il vecchio in maniera quasi incomprensibile. — Cristo, amico. Vuoi evasione o no?

John si illuminò sentendo parlare per la seconda volta di evasione, e la sua mente ritornò alla solita idea fissa. — Potete portarmi indietro nel tempo?

— Indietro nel tempo, avanti nel tempo, dall’altra parte del tempo. Qui, là o dovunque vogliate. Avete i soldi?

— Potete provare quello che dite? — chiese John. Eravamo entrambi sconcertati. Ovviamente non era l’uomo che viaggiava nel tempo, però sembrava offrirci una fuga nel tempo. Alla richiesta di una prova, il nanerottolo parve confuso. John si voltò verso di me e sollevò una mano per indicare la porta sprangata. Di colpo l’altro si agitò.

— Pagherete più tardi — disse. — Non andatevene.

— Più tardi? — ripeté John incredulo. — Volete dire dopo?

— Usciamo di qui — dissi.

Ma il nano coprì le mie parole. — D’accordo, va bene. Dopo, più tardi, quando avete finito.

John era perplesso, ma profondamente incuriosito.

— Potrò andare ovunque vorrò? — chiese.

— “Ovunque” — sottolineò il nano. — Ci puoi portare anche il tuo maledetto cavallo, per quel che me ne importa.

— Fateci strada — disse John.

— No! — protestai.

— Oh, via — disse John. — Sei il doppio di lui. Cosa potrà farci?

Per quel che ne sapevo poteva avere cinquanta fratelli al piano di sopra. Mi ricordai della luce alle finestre. Stava accadendo “qualcosa”, ma la curiosità non mi avrebbe spinto in trappola.

— No — dissi.

John mi afferrò per un braccio e mi tirò, ma io feci resistenza.

— Senti — disse. — Cosa può succedere? Non vuoi saperlo?

— No.

— E va bene. Andrò da solo.

Il nano, con la lampada in mano, si era incamminato lungo il corridoio e, saliti i primi tre gradini di una scala, si era voltato per aspettarci. John gli andò dietro e io lo seguii pieno di paura per quel che poteva accadere.

Rimpiansi che John non avesse con sé la balestra, per quanto quell’aggeggio poco maneggevole difficilmente ci sarebbe stato utile lì dentro. Le chiazze di umidità sul soffitto gocciolavano, scarafaggi e millepiedi, spaventati dalla luce, tornavano a nascondersi strisciando nelle fessure. Passammo davanti a parecchie stanze dalle cui porte filtrava una pallida luce. Fui felice di notare che le porte non avevano né serrature né chiavistelli esterni.

Finalmente, dopo circa tre piani, il nano aprì una porta e ci introdusse in una stanza quadrata e, a parte due letti, senza mobilio. Tirai un respiro di sollievo. Dopotutto era possibile che la strana creatura ci stesse semplicemente offrendo un letto per la notte? Alla luce fioca della lanterna mi accorsi che John era vagamente deluso.

Il nano posò la lampada sul pavimento e uscì dalla stanza. Chiusi la porta.

— Bene — dissi. — Che ne pensi?

— Non ti stanchi mai di fare sempre la stessa domanda? — rispose John, seccato. — Sai esattamente quello che so io!

— Ma eri tu che parlavi con lui — protestai. — Devi esserti fatto un’opinione a proposito di quello che intendeva fare. Diavolo, è stata una tua decisione!

John alzò le spalle. — Non ne ho la minima idea — ammise. — Ma non c’è niente di sbagliato a volerlo scoprire.

— Oh, no! — dissi. — Proprio niente. Ci accolgono così ovunque andiamo. Dove altro potremmo mai trovare dei letti per la notte?

— Ah, ah — rispose per nulla divertito.

— E cos’era tutto quel parlare di fuga?

— Non lo so. Sei sicuro che abbia detto “fuga”?

— Se sono sicuro? Sei tu quello che voleva…

— Oh, sta’ zitto! — disse, e si lasciò cadere su uno dei letti. Lo tastò con sospetto. — Be’ — annunciò — forse non sarà pulito, ma non c’è niente che striscia. Sembra che la gente di montagna usi il sapone. Sono stanco.

Rinunciai a discutere, mi sedetti sull’altro letto e lo guardai. John finse di non badare a me e fece di tutto per farmi credere che si stava preparando per dormire. Imprecai silenziosamente e mi sdraiai osservando il soffitto dipinto, tentando ancora di capire cos’era successo.

— Spengo la lampada? — mi chiese John.

— No! — risposi con una sorta di grugnito rammentandomi delle luci che risplendevano in tutte le altre stanze. Mi misi nuovamente a sedere.

Il nano rientrò nella stanza, con la sua andatura dinoccolata, tenendo in mano qualcosa. Non riuscii a vedere cosa fosse perché si mise davanti alla luce restando in ombra.

— Sta’ fermo — disse, e mi trafisse.

Impiegai un tempo irragionevolmente lungo a capire che cos’era accaduto: il nano mi aveva conficcato nel braccio qualcosa di appuntito. Ma l’atteggiamento dell’uomo era insolito per un assassino. Il nano si comportava come se avesse fatto una cosa normalissima. Si voltò e si diresse verso l’altro letto. Passarono cinque o sei secondi prima che reagissi.

— Ehi! — urlai. Poi, rivolgendomi a John: — Sta’ attento!