— Perché è tutto falso. È tutto irreale.
— Cosa non lo è? — udii dire il nano.
John mi stese sul letto e dormii.
Senza sogni, immagino.
8. Il crocevia del mondo
Quando mi svegliai era di nuovo giorno, ma la lampada in mezzo alla stanza era ancora accesa. Alla luce del sole la camera sembrava anche più squallida rispetto alla sera precedente. Le pareti erano macchiate e gli angoli incrostati di sporcizia e ragnatele. Il vecchio battiscopa era incrinato e curvo e si staccava dalle pareti. I letti, incavati al centro, avevano coperte vecchie e sporche.
John era sdraiato sul letto a fianco a me, la testa accanto ai miei piedi, mentre i suoi penzolavano a qualche centimetro dal pavimento. Stava dormendo. Mi misi a sedere lentamente e John si svegliò all’improvviso con un sobbalzo e si guardò intorno.
— Mi dispiace — disse. — Non volevo addormentarmi.
— Poco male — risposi. Mi tastai il braccio. Sentivo ancora una vaga sensazione di dolore e mi arrotolai la manica per esaminare la ferita. Vidi un livido arrossato e un leggero gonfiore, ma avevo temuto di peggio.
— Spero solo che l’ago fosse pulito — borbottai.
— Vuoi restare qui un po’ per accertarti di stare bene? — domandò John.
— Qui? — dissi guardandomi attorno con teatrale disgusto.
— Nel paese — si corresse John.
Lo guardai attentamente. Era sincero. Oggi, o al più tardi domani, saremmo giunti a Hawkeyrie, eppure John voleva aspettare un altro giorno.
— No — risposi. — Sto bene.
— Sicuro?
— Sicuro. E ora andiamocene da qui.
Mi alzai con cautela, ma non risentivo di postumi della droga. Avevo mente lucida e movimenti normali.
Anche John si alzò e mi aprì la porta: uscii dalla stanza sul pianerottolo. Anche lì le lampade erano ancora accese, ma erano necessarie, perché il corridoio non aveva finestre.
Scendemmo cercando di non far rumore. Gli scalini scricchiolarono e gemettero sotto il nostro peso, e quando arrivammo ai piedi della scala trovammo ad aspettarci il nano. Anche lui aveva un aspetto peggiore alla luce del giorno: era meno spaventoso, ma nauseante. Aveva la faccia storta e teneva la testa inclinata in modo singolare. Le labbra erano grosse e unte, gli occhi ravvicinati e sempre in movimento.
— Pagate, sì? — sussurrò, col tono di chi non ci conta troppo. Gli passai accanto e aprii i chiavistelli della porta.
Mi voltai giusto in tempo per vedere John sputare per terra.
— Eccoti pagato! — esclamò. Aveva gli occhi infocati e sembrava essere sul punto di commettere un omicidio.
— Andiamo — dissi con calma.
John diede al nano un’ultima occhiata di disprezzo, poi varcammo insieme la porta.
Darling ci guardò con rimprovero, come per ricordarci che l’avevamo costretta a rimanere attaccata al carro tutta la notte.
— Mi occupo io di lei — disse John. — Tu dà un’occhiata in giro, se vuoi.
Il sole era sorto da poco e il paese non si era ancora risvegliato. In realtà sembrava quasi disabitato. Tutte le case cadevano in rovina, le finestre erano a pezzi, murate o chiuse con assi. La vernice si staccava dalle porte e praticamente a ogni tetto mancava qualche pezzo della copertura. Mi chiesi di cosa mai vivessero. Di sicuro non dei raccolti. Senza dubbio c’erano capre e pecore sui pascoli, e legna un po’ più in basso, sempre che si prendessero la briga di trasportarla fin lì dalla zona boschiva. Ma a parte questo, cos’altro? E perché?
Mi allontanai dal paese e mi avviai lungo una salita da dove speravo di scorgere, al di là del Picco delle Tempeste, la valle triangolare attraversata dalla strada. Non riuscii a vedere nient’altro se non la nebbia di cui mi avevano già parlato.
Deluso, mi sedetti sulla cresta e cominciai a lanciare pietre giù per il pendio mirando ai tetti ai piedi della discesa. Le prime quattro mancarono il bersaglio e rimbalzarono sul fianco della montagna, mentre la quinta colpì un tetto e ruppe tre assicelle. Invaso da un gran senso di colpa, smisi immediatamente.
Riuscivo a vedere John che ritornava con Darling dall’abbeveratoio. Lo guardai prepararle il cibo e sedersi dietro di lei ad aspettare che mangiasse, con una pazienza insolita per lui.
Sospirai e cominciai a ridiscendere.
Partimmo in tarda mattinata, ma nessuno badò a noi mentre avanzavamo rumorosamente lungo la strada. La gente ora era visibile e il silenzio aveva lasciato il posto a un insieme discontinuo di rumori familiari, ma neppure adesso si poteva dire che il villaggio si fosse risvegliato. In verità, suppongo che non fosse molto diverso da un qualunque altro villaggio, ma la malinconia e l’indolenza vi avevano assunto una connotazione così negativa da renderlo unico rispetto a qualsiasi altro posto al mondo. Era un luogo ripugnante.
Mi sentii veramente felice quando superammo il valico tra il Picco delle Tempeste e il Picco Tonante e il villaggio non fu più visibile.
La nebbia ci avvolse quasi immediatamente. Avevamo visibilità solo per pochi metri da ambo i lati. La strada era invisibile e fui costretto ad andare avanti per guidare la vecchia giumenta perché non mi sentivo sicuro del percorso che avrebbe scelto.
Dopo circa venti minuti di assoluta monotonia giungemmo a un ponte a schiena d’asino. Fermai il cavallo e andai a verificarne la solidità nel caso fosse stato troppo vecchio per sopportare il peso del carro.
Scrutai da sopra la spalletta di pietra, ma non riuscii a scorgere niente di quello che c’era sotto. Raccolsi una pietra e la lanciai al di là del parapetto aspettandomi di sentire un rumore di acqua. Si sentì invece distintamente il rumore di una superficie solida.
— È strano — dissi abbastanza forte perché sentisse anche John.
— Che cosa?
— Non c’è acqua laggiù. Il ponte non passa sopra un corso d’acqua.
— Il torrente può essersi prosciugato.
— No, era roccia. La pietra ha colpito qualcosa di duro. Non l’hai sentito? — John lanciò una pietra che raccolse accanto al carro. Quando anche questa toccò una superficie solida anziché acqua, mi raggiunse.
— Ha importanza? — chiese.
— Non è molto alto. Voglio dare un’occhiata.
— Non saltare — disse.
Naturalmente non avevo nessuna intenzione di saltare. Girai intorno al bordo del ponte e scesi in equilibrio precario lungo il ripido pendio. Quando arrivai in fondo guardai in alto. Riuscivo appena a scorgere la sagoma scura della testa e delle spalle di John che si sporgeva dal parapetto del ponte.
— Allora?
— È un’altra strada — spiegai.
— Ah — disse lui, come se fossimo stati degli stupidi a non pensarci. — È tutto a posto allora.
— Forse — dissi. — Ma perché qui c’è un’altra strada? Ci sono solo Hawkeyrie e il nord, e noi stiamo percorrendo la strada principale. Questa via non porta da nessuna parte, e nasce anche dal nulla, se è per questo.
— Quindi è una vecchia strada — disse John con un pizzico di irritazione. — E allora? Proseguiamo.
Mi arrampicai per la scarpata e raggiunsi il ponte.
Facemmo attraversare il ponte a Darling senza causare il benché minimo problema alla struttura, e continuammo per la nostra strada, tenendoci uno a destra e uno a sinistra della giumenta.
Dopo mezzo chilometro domandai a John: — Riesci a vedere il ciglio della strada?
— No — rispose lui senza fermarsi.
— Nemmeno io.
— E allora?
— Cinque minuti fa vedevo entrambi i lati.