— Vuol dire che la strada sta diventando più larga — replicò con una logica perfetta. Scossi la testa senza nemmeno sapere perché.
Dopo altri tre chilometri insistei per fare sosta.
— Perché? — volle sapere John.
— Perché non vedo i margini della strada da molto tempo. Dubito persino che siamo ancora su una strada.
— Be’, non allontanarti. Non vorrei che ti perdessi. E comunque non abbiamo lasciato la strada.
John aveva ragione. A circa quindici metri alla mia destra c’era una linea irregolare che segnava il confine tra l’erba folta e la strada pietrosa.
— C’è una luce più avanti — gridò John, mentre osservavo il bordo chiedendomi di cosa mi stessi preoccupando.
Scrutai nella nebbia, ma non riuscii a scorgere niente. Udii solo il cigolio delle ruote che si rimettevano in movimento.
— Ehi! — urlai. — Aspettami.
Quando raggiunsi il carro, riuscii anch’io a vedere la luce che poi sbucò, come per magia, dalla grigia cortina di nebbia e si rivelò una lampada sorretta da un uomo alto e magro. Il suo vestito poteva essere considerato di grande eleganza sartoriale da queste parti. Lo sconosciuto si fermò e ci osservò, facendo oscillare oziosamente la lampada appesa al dito.
— Chi siete? — domandò. Aveva voce calda e piacevole. Sembrava contento di vederci.
— Siamo viaggiatori diretti a Hawkeyrie.
— Oh! — parve deluso. — Hawkeyrie.
— Non sapevamo che quaggiù vivesse qualcuno — dissi tanto per fare conversazione. — Mi chiamo Matthew, e questo è mio fratello John.
— Sono Conrad. La guida.
— La guida? Allora non vivete quaggiù?
— Sì, ci vivo.
— E allora chi guidate? — domandai.
— Chiunque voglia essere guidato.
Guardai la nebbia intorno a me. — Non dev’essere molto piacevole vivere qui — dissi. — Non avete mai voglia di vedere il sole?
— A volte. In quel caso vado a Hawkeyrie. Ma venite, non restiamo qui a parlare. Casa mia è vicina e senza dubbio avrete voglia di qualcosa di caldo.
Ne avevo veramente voglia, e John non saltò su a protestare, come forse avrebbe fatto in altre occasioni.
— Stiamo cercando un uomo capace di viaggiare nel tempo — disse John.
— Ah, “lui”. Sì, l’ho visto qualche tempo fa. È salito sul vecchio Tuono, però non sono certo che si sia diretto a Hawkeyrie. Ha parlato di un certo casino di caccia vicino alla vetta.
— Non ci dev’essere molto da cacciare lassù — commentai.
— Sul vecchio Tuono gli alberi crescono più alti che in qualsiasi altro posto qui intorno. Ci sono boschi su tutti i pendii e il paesaggio è bellissimo.
Mi ricordai che l’uomo non ci aveva ancora spiegato perché viveva lì, sebbene non mi avesse dato l’impressione di voler evitare la domanda.
— Di preciso che cosa fate qui? — domandai.
— Sono una guida — rispose con una calma esasperante. Non stava cercando di fare il difficile, lo vedevo. Credeva in quello che diceva.
— Eccoci arrivati — disse, mentre un’ombra alta si profilava nella nebbia. Ebbi appena il tempo di notarla e subito venimmo invitati a entrare.
La sua casa era linda come i suoi vestiti e tutto era in perfetto ordine. Era davvero la casa più accogliente che avessi mai visto in tanti anni di vagabondaggi.
Ci sedemmo sopra poltrone di epoca indefinibile, morbide e molleggiate, e sorseggiammo un buon tè da tazze che dovevano avere almeno cent’anni.
— Una cosa meravigliosa — dissi. — Ma perché quaggiù?
L’uomo rise. — E dove, altrimenti?
— In alto, sulle montagne. Se il Tuono è così bello come dite, perché non là?
— Perché questo è il crocevia del mondo. Io sono la guida e me ne prendo cura.
Ebbi un’intuizione improvvisa. — Quante strade si dipartono da qui?
— Sei.
— E quante altre attraversano la valle?
— Trenta.
— Trenta? Ma perché?
Conrad non sembrava avere nessuna risposta a questa domanda e la vacuità della sua espressione pareva dire semplicemente: “Perché no?”.
— Ma non portano in nessun luogo — dissi. — Si devono interrompere tutte ai margini della valle, sulle creste tra i picchi.
Parve un po’ sconcertato, come se avessi detto qualcosa di sconveniente che non poteva essere affrontato in una conversazione educata. — “Ora” non più — ammise. — Ma questo è sempre il crocevia del mondo.
— E voi dirigete il traffico?
— Esatto. Posso dirvi in quale direzione si trova qualsiasi città del mondo e quanto dista.
— Langley — dissi. Era la piccola cittadina dov’ero nato.
— Da quella parte. — Indicò con la mano la direzione. — Duecentosessantadue chilometri.
La distanza era del giusto ordine di grandezza e poteva essere precisa. Anche la direzione andava bene. Gli credetti.
— Parigi — dissi.
— Di là — annunciò sicuro di sé. — Seicentosessantun chilometri.
— Ma a che serve se le strade non vi arrivano più? — domandò John.
Conrad parve sofferente, come se gli avessero pestato la punta dei piedi. — È il mio lavoro — disse.
Non tanto un lavoro, decisi, quanto uno scopo di vita. Forse uno scopo preso a prestito, certamente futile, ma sufficiente per “sostenere” un uomo. Come un Dio che plasmava statue. Come un uomo che si definiva “il Sole”. Come il confratello dell’Uomo Futuro. Come un uomo con un fratello più giovane. Ma non come la Lucciola, che aveva solo un sogno.
— Da che parte è Hawkeyrie? — chiese John.
— Da quella parte — rispose l’uomo, felice di poter esserci utile. — Undici chilometri, non di più. E la strada ci arriva davvero — aggiunse con orgoglio. Senza dubbio, indirizzare sulla strada giusta due viandanti rendeva perfetta la sua giornata.
9. Il Picco Tonante
Raggiungemmo Hawkeyrie prima di notte, ma scoprimmo, con grande dispiacere di John, che Conrad aveva ragione: l’uomo che viaggiava nel tempo aveva proseguito inerpicandosi in direzione del Picco Tonante verso un rifugio di pietra in prossimità della vetta.
Così fummo costretti a passare un’altra notte insonne. Avendo dormito poco la notte precedente, John era già piuttosto irritabile, e poiché l’imminenza del confronto con il viaggiatore nel tempo minacciava di privarlo di un’altra notte di sonno, la sua irrequietezza divenne pressoché insopportabile. Dormimmo a sprazzi su due minuscole brande di una pensioncina. Hawkeyrie era un paese tranquillo, ma non aveva quell’aria lugubre della locanda dove avevamo trascorso la notte precedente.
Fui comunque felice quando ci lasciammo alle spalle il villaggio e ci ritrovammo nuovamente in marcia verso quella che ormai doveva essere l’ultima tappa del nostro viaggio.
La strada era ripida ma non eccessivamente difficile. Su entrambi i versanti il bosco e la vegetazione erano talmente fitti da sembrare innaturali, ma poi pensai che quel fianco del Picco Tonante era l’unico dei tre monti a essere esposto a sud.
La giornata era calda e l’aria piacevolmente carica dei profumi di fine estate.
Stavo già cominciando ad accantonare i ricordi del recente passato per godere nuovamente a pieno della vita, quando una freccia sbucò dal nulla e si conficcò nel cranio di Darling.
La vecchia giumenta si accasciò senza emettere alcun suono. Rimasi atterrito alla vista di quel cadavere immobile sorretto dalle stanghe del carro, e le redini mi scivolarono dalle mani.
Con un gesto rapido, senza nemmeno alzare la testa, John aveva sollevato la balestra caricandola con un movimento fluido, ma ci voleva talmente tanto tempo per tendere la corda di quel dannato arnese che comunque non avrebbe mai avuto modo di usarlo.