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La donna e il bambino dormivano placidamente e, apparentemente, senza paura, con la balestra accanto.

Io e John sedemmo davanti al fuoco e osservammo le fiamme. John era perso nella profondità dei suoi pensieri e io aspettai pazientemente che ritornasse in sé.

Solo dopo qualche tempo mi accorsi che nella capanna c’era una quinta persona, svegliatasi con il mio arrivo. Probabilmente era stata la sua presenza che aveva convinto la donna ad ammettere John al suo focolare, e certamente era sempre in virtù della sua presenza che questa dormiva senza temere vendette da parte della sua recente vittima.

Era Alvaro.

— Vi siete ulteriormente allontanato dal vostro percorso — dissi con un tono piuttosto freddo. Perché si trovava lì?

— Forse no — rispose. — Una certa idea mi ha fatto cambiare strada e vi ho seguito.

— Perché?

— Avevo previsto la delusione di vostro fratello.

— E allora?

Mi accovacciai accanto al fuoco per scaldarmi le mani e guardai Alvaro. Lui si avvicinò lentamente e si sedette accanto a me rivolgendo lo sguardo verso John, il quale si spostò silenziosamente per lasciarci spazio senza però interrompere la sua profonda meditazione.

— Immagino che sapevate già da molto tempo a quale delusione sarebbe andato incontro mio fratello — dissi lentamente.

La luce del fuoco riflessa sugli occhiali di Alvaro non mi permetteva di vedergli gli occhi e interpretarne l’espressione.

— Sì — disse. — Forse lo sapevo. Forse avrei dovuto saperlo.

— Non avete detto nulla. Avete discusso con lui, ma non gli avete detto che era impossibile.

— Lo so. Ho sbagliato?

— Come posso saperlo?

— Come posso saperlo io? — L’ometto allargò le dita tozze in un gesto di impotenza. — Non è facile avere a che fare con i sogni altrui. Avevo il diritto di intromettermi nelle sue illusioni? Avevo il dovere di infrangerle? Non lo so, e nemmeno voi lo sapete. Neppure lui può dire se avrei dovuto informarlo o no. Non l’ho fatto perché non volevo che soffrisse. Non sono coraggioso, Matthew, non come lui. Mi piace vostro fratello, Matthew. Mi piaceva vederlo pensare, conoscere i suoi sogni, mi piaceva la sua ricerca. È una ricerca rara, sapete, e non volevo distruggere niente di così raro. Ma adesso, se posso esservi di aiuto, non mi tiro indietro. Mi dispiace.

Sospirai. — E che genere di aiuto potreste offrire? — domandai.

— Non lo so.

— Potete fornirgli la droga che cerca?

— Non so nemmeno questo.

— Oggigiorno non ci sono molti viandanti — dissi.

— Pochissimi — ammise. Sapeva dove volevo arrivare.

— Non ci sono più molte persone a conoscenza delle cose o che raccolgono le informazioni — continuai. — E ce ne sono ancora meno che coltivano propositi per i quali tali informazioni siano utilizzabili. Eppure qualcuno ha dato un anello a uno storpio. Qualcuno si è interessato a lui. Qualcuno rifornisce di droghe solitari paesi di montagna. Ci sono uomini con il loro sole personale e uomini che vivono al crocevia del mondo. Non tutto è perduto, vero, Padre? Lo sappiamo bene, è un mondo soddisfatto di sé, la felicità e l’euforia sono dappertutto; ma è necessario un intervento esterno, non è così, Padre? Si deve mantenere la tranquillità. Qualcuno deve far girare le ruote in modo che il resto del mondo possa dormire tra due guanciali. Nessuno è inappagato o insoddisfatto. Siamo un popolo di bambini che possiede giocattoli meravigliosi. Chi fabbrica questi giocattoli, Padre Alvaro? Chi si occupa dei bambini?

— Come ben sapete siamo noi — disse pacatamente.

— Voi — ripetei con un tono di voce piatto, neutrale.

— La Confraternita dell’Uomo Futuro — rispose Alvaro, con lo stesso tono distaccato. — Prepariamo la via. L’unico scopo rimasto all’uomo sulla Terra è di preparare la via a quelli che verranno dopo di lui. Abbiamo un progetto e un destino. Facciamo quello che è necessario.

— Avete la droga che permetterebbe a John di viaggiare nel tempo?

— Abbiamo droghe che ampliano la percezione.

— Nel tempo?

— Sì.

— E cosa dobbiamo fare per procurarcela?

Alvaro scrollò le spalle. — Non spetta a me dirlo. Provate a venire alla Confraternita. Imparate da noi, imparate con noi. Comprendeteci, lasciate che vi comprendiamo.

— Non parlo di me, ma di John.

— Non penso che tra voi e John vi sia una gran differenza.

— Non entrerà nella vostra Confraternita, lo sapete. Non crede in voi.

— Non conoscete vostro fratello, Matthew. Lui crede. Non necessariamente in noi, ma crede. È già un inizio. Abbiamo bisogno di John, così come lui ha bisogno di noi. In quest’epoca noi siamo gli unici a essere impegnati in qualcosa, e lui ha terribilmente bisogno di impegnarsi in qualche progetto. Penso che in mancanza di meglio abbraccerà la nostra missione.

— E io? Voi non avete bisogno di me.

— John ha bisogno di voi.

— Per cosa? Non posso più fare nulla per lui, voi sì. Se c’è qualcuno di cui ha bisogno siete voi, non io.

Alvaro non rispose. Scrutai il viso di mio fratello attraverso la caligine che avvolgeva pigramente il fuoco. Non sembrava stesse ascoltando. Sapevo che, se voleva, riusciva a isolarsi completamente dal mondo, ma in qualche modo sentivo che quell’aria assente era una posa, che aveva udito ogni parola e stava riflettendo nonostante lo sguardo continuasse a rimanere fisso.

— Allora che devo fare? — chiesi ad Alvaro.

L’uomo scosse la testa. — Non sta a me dire cosa dovete fare.

— Poco fa me lo stavate dicendo.

Sorrise. — Era un punto di vista. Vi offro un modo di pensare, non un consiglio. Siete voi che dovete decidere, voi e John.

— È John che decide — dissi.

— Davvero. — Il tono dell’ometto era ironico.

— Io non ho bisogno di illusioni, non ho bisogno di missioni.

— Forse no.

— Lui sceglie la strada e io lo seguo. Qualcuno deve badare a lui, anche adesso.

Smettemmo di parlare e quella pausa si trasformò in minuti. Alvaro aveva detto quello che pensava e ora sembrava felice di non dover più continuare la conversazione. Forse era stanco del mio atteggiamento perennemente negativo. Dopo tutto era a John che si rivolgeva, non a me. Era John che voleva.

La Lucciola fissava ancora la danza delle fiamme. C’erano lacrime sulle sue guance, ma non credo che stesse piangendo. Era solo il fumo che gli irritava gli occhi.

PARTE SECONDA

Fuori dal dominio del tempo

12. Un’altra estate

Il giardino, cintato da un muricciolo, aveva dimensioni modeste. La Confraternita era parsimoniosa con lo spazio. I confratelli vivevano in minuscole camere con corridoi dal soffitto basso, e anche il loro giardino pareva fin troppo angusto, ma pieno di fiori di ogni colore incredibilmente profumati.

Era una limpida giornata di mezza estate. Da un mese a questa parte faceva molto caldo e il sole, il nettare e il ronzare delle api mi portavano costantemente alla mente i ricordi dell’estate precedente, quando io e John vagavamo per brughiere, deserti, valli e montagne in cerca dell’uomo che viaggiava nel tempo.

Trovavo i ricordi piacevoli, ma cominciavo a stancarmi della luce violenta del mezzogiorno. Uscivo meno di frequente adesso, preferendo al paesaggio esterno il giardino e la sua cinta monastica. C’era un po’ di frescura lì. forse più immaginaria che reale, che metteva in risalto l’ordine e la serenità del luogo e il profumo dei fiori.