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Non avevo voglia di cercare di capire dove voleva arrivare con i suoi discorsi. Mi accontentai di non capire. Quel continuo dialogo metafisico mi stava logorando. Che importava perché stavamo insieme finché vi restavamo? Di certo quella era l’unica cosa che contava, fino a quando uno di noi non si fosse ritrovato da solo e in difficoltà, impossibilitato a ritornare dai compagni. Con un po’ di esitazione feci qualche passo, impaurito all’idea di poter scivolare nel tempo, sebbene sia Joaz sia John si muovessero con una certa libertà. Poi, preso coraggio, mi incamminai per la salita. — Niente in contrario se vado su e do un’occhiata intorno finché c’è luce? — domandai.

Mi ero rivolto a Joaz, che sembrava quello più a suo agio, ma fu John a rispondermi. — Qualche minuto — disse. — Non di più. E resta in vista. — Mi avviai verso la sommità della collina, affrettandomi per arrivare prima che la luce del tramonto svanisse.

Raggiunta la cima vidi, sull’altro versante, due figure che se ne stavano immobili mentre i loro vestiti fluttuavano nel vento. Esitai domandandomi se chiamare gli altri a dare un’occhiata, ma da un semplice sguardo mi resi conto che né Xavier né John sarebbero stati interessati, mentre Joaz mi dava le spalle. Mi voltai nuovamente a guardare trattenendo il respiro, ma non mi avvicinai.

Le due figure fissavano intensamente qualcosa che non riuscivo a vedere, non perché fosse nascosto, ma semplicemente perché non c’era. I due non parlavano… osservavano solamente. Erano rivolti quasi nella direzione opposta alla mia e ovviamente non potevano vedermi.

Dopo qualche istante dall’erba umida cominciò a salire, lenta e irregolare, una nebbiolina iridescente. Strisciava pian piano, come fumo vivo, incurante del vento. Si levò proprio dal punto dove i due guardavano, a riprova del fatto che lo stavano aspettando.

Gradatamente l’iridescenza formò un pergolato di vividi colori.

Non riuscivo nemmeno a immaginare che tipo di sostanza fosse. Sembrava trarre energia da qualche parte, ma non avrei saputo dire se dall’aria o dal suolo. Cominciò a espandersi in modo uniforme fino a circa due metri d’altezza. Poi smise di crescere e iniziò a ruotare sul suo asse verticale. Non si riusciva ancora a scorgere una forma ben definita, anche se la rotazione imponeva alle particelle, sempre ammesso che si trattasse di particelle, una distribuzione discoidale.

Senza smettere di vorticare, l’aria colorata cominciò a danzare. Volteggiando in modo ritmico e armonioso, dava l’impressione di seguire una melodia.

Una delle figure, alle quali finora avevo prestato ben poca attenzione, era una donna vestita di pizzo nero. Era immobile, fredda e irraggiungibile, e guardava con apparente indifferenza la nebbia colorata. Non riuscivo a vedere i suoi occhi, ma il petto era proteso fieramente in avanti e la testa leggermente inclinata all’indietro, come se la donna cercasse di guardare dall’alto quella luce danzante. Teneva le braccia abbandonate lungo il corpo. Aveva un certo atteggiamento aristocratico.

La seconda figura, appena dietro alla donna, era un uomo. Teneva le braccia incrociate sul petto. Era più basso di lei e vestito tutto di nero. Non riuscii a capire se fosse un suo compagno, un servo o una guardia.

Cominciai a spostarmi un poco, cercando un punto di vista migliore per osservare la coppia, ma ricordai l’ammonimento di John. Mi voltai a dare un’occhiata. Dietro a me Joaz stava salendo lentamente la collina. Riuscii a incrociare il suo sguardo e lo chiamai con un gesto. Joaz annuì ma non affrettò il passo.

Il disco iridescente cambiò sagoma allungandosi e arrotondandosi per poi ondeggiare e tremolare assumendo un aspetto più intricato. Lo osservai con attenzione, tentando di cogliere le complessità di quella nuova forma vagamente umanoide, ma il turbinio dei colori rendeva difficile individuare dei tratti precisi.

Joaz mi raggiunse, guardò la scena e si voltò verso di me. — Che cos’è? — domandò.

— È uscita dal terreno. La stavano aspettando. Non so perché.

Joaz ritornò a guardare la nube danzante che ora si muoveva più lentamente, mentre i suoi colori parevano protendersi e pizzicare qualcosa nella mia mente.

— Mi fa male — dissi, e mi accorsi che non riuscivo a distogliere lo sguardo dalla cosa. Provai un improvviso brivido di paura e cominciai a pensare che quella cosa mi provocasse, che ci fosse un che di osceno nel modo in cui si muoveva. Sapevo che anche Joaz ne era affascinato. Più che vedere o sentire, percepivo la sua immobilità.

— Mi fa male — ripetei, felice di riuscire finalmente a parlare.

— Fa male anche a lei — disse Joaz, senza la minima emozione.

Era come se fosse iniziata una battaglia. La donna aveva stretto i pugni, continuava a serrarli. Il vento le premeva addosso il vestito e riuscii a vedere in risalto contro la stoffa sottile i muscoli della schiena irrigiditi.

Il buio stava calando in fretta e ora quella luce vivente era la sola fonte di illuminazione. Le stelle erano coperte da una spessa coltre di nubi. Sapevo che ormai John e Xavier dovevano essersi accorti della luce, ma non riuscivo a sentirli. Avrei voluto voltarmi per vedere se stavano salendo.

Il ritmo della danza accelerò nuovamente.

Sentii la bocca tirarsi in una smorfia, ma era come se fossero stati i colori a farlo, non i miei muscoli. Sentivo la pelle pizzicarmi come per il freddo, e avevo la sensazione che gli occhi fossero stati trasformati in due palle di ghiaccio.

Sembrava che i colori stessero sottraendo calore al mio corpo.

Sentii una mano sulla spalla, una mano che gentilmente, ma fermamente, mi voltò la testa. Non feci resistenza. La mia visuale passò dalla luce al viso di John.

La testa mi ronzava e tutte le sensazioni svanirono.

— Non guardarla più — disse John. Ma lui guardava da sopra la mia spalla. Ora era lui a fissare la luce. Cercai di mettergli la mano davanti agli occhi, ma John mi guardò dritto in viso e la scostò.

— Va tutto bene — disse. — Non mi farà niente.

— Che cos’è? — domandai.

— Uno sciame di mosche.

— Lucciole! — Risi in modo isterico, con un suono breve, stizzoso.

— Non lo so — rispose. — Non sono come quelle che conoscevo.

Mi chiesi come facesse a saperlo. — Riesci a distinguerle? — domandai. — Una per una intendo, non tutte insieme.

— Sì — rispose annuendo. Diedi un’occhiata furtiva a Joaz. Stava ancora guardando e sembrava pietrificato. Xavier era accanto a lui e con la mano si riparava gli occhi, sbirciando di tanto in tanto tra le dita. Tirai Joaz per la manica.

— Sta bene — mi assicurò John.

— Voglio guardare — dissi.

— D’accordo, ma riparati gli occhi — rispose.

Mi misi il palmo della mano sul viso e mi voltai. La figura infuocata si muoveva lentamente sulla brughiera e si avvicinava con decisione ai due in un modo che a me parve minaccioso. Sottili lingue di fuoco e lampi improvvisi guizzavano e tornavano nella massa che procedeva in modo irregolare. Ora che sapevo cos’era cominciai a scorgere le singole luci. Erano davvero solo lucciole.

La donna sollevò a mezz’aria le mani e schiuse i pugni per scacciare gli insetti. Ma lo sciame colorato ondeggiò e turbinò e la donna lo mancò. Poi fu avvolta dalla nube iridescente; e con lei, il suo compagno. Ma mentre lui rimase perfettamente immobile in un alone di colorì cangianti, lei si voltò e iniziò a correre.

Fu allora che vidi il suo viso terreo e spaventato. Gli occhi erano come scaglie di ghiaccio che scintillavano riflettendo la luce delle lucciole. La donna cadde al suolo inciampando nel lungo vestito.