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— Nella foresta.

— Sei sicuro? — chiese da parte sua Joaz.

— Sono sicuro.

Scrutarono gli alberi intorno a noi. Non si udivano rumori, niente si muoveva. Mi rendevo conto che Joaz e Xavier avevano assunto una posizione neutra: non erano scettici ma allo stesso tempo non mi credevano. Solo John era convinto che avessi visto davvero l’unicorno. Mi conosceva abbastanza bene da saper interpretare la mia voce.

— Come può una leggenda del passato diventare una realtà del futuro? — domandai.

John mi scrutò attentamente. — Qui, tu sei diverso — disse. — Al monastero, tra le montagne, e anche molto prima di allora, non facevi mai domande. Conoscevi già tutte le risposte che ti interessavano. Qui ti guardi continuamente intorno alla ricerca di qualcosa di nuovo, sempre in cerca di spiegazioni.

Era vero. Mi piaceva sapere dov’ero e cosa stavo facendo. Mi ero sentito a mio agio nel mio tempo, avevo conosciuto il mondo e ciò che conteneva. Non avevo mai dovuto sorprendermi né cambiare idee. Non mi ero mai sentito come ora, fin da quando ero bambino.

— Non è una risposta — gli feci notare.

— Ci sono molteplici realtà, Matthew — disse Joaz. — Forse nel tempo tutti i sogni possono avverarsi.

— Ma non c’è stato il tempo! — dissi. — Negli ultimi giorni ci siamo appena mossi, rispetto a quello che abbiamo visto nelle prime ore, quando il passato ci scorreva accanto. E anche a quella velocità la vita si evolveva lentamente.

— La vita — disse Joaz — ma non l’Uomo. La vita dell’Uomo era invisibile. Matthew, non sappiamo se le ere che abbiamo visto in poche ore sono trascorse più velocemente dei minuti che adesso pensiamo stiano scorrendo a una velocità normale. Il tempo non procede in modo costante, non te ne sei accorto? Dell’“adesso” non possiamo dire a quale distanza sia rispetto a quando siamo partiti, né che l’inizio del tempo sia molto più oltre. Il tempo non è distanza, Matthew. Non è una dimensione, una misura, una quantità fissa. È una percezione del tutto nuova. Non riesci a usare gli occhi e vederlo?

— No — confessai. — Non ne sono capace. Non ci riesco affatto. Non vedo altro che confusione e sconcerto.

— Povero Matthew — intervenne John. — Osservare con tanto impegno e vedere così poco.

Sorrise ironicamente. A un tratto mi sentii un bambino e lui era l’adulto che mi sorrideva dall’alto della sua esperienza e della sua sicurezza. Era così che gli apparivo, quand’era più giovane?

— Vorrei non essere mai venuto — dissi.

Era un’affermazione sacrilega che rattristò subito John. Sapevo che si sentiva responsabile della mia presenza. Sapevo anche che mi voleva lì, al suo fianco, per assistere alla realizzazione del suo sogno. Se mai il suo sogno si fosse realizzato.

— Mi dispiace — dissi. — Non volevo dirlo, ma è tutto così strano. Siete cambiati moltissimo, e ora siete molto più avanti di me. Non riuscirò mai a capire. Sono fuori posto. Non sono nel mio tipo di mondo. Sono un peso per voi.

— No — disse John. — Non un peso, ma una fonte di forza. Abbiamo tutti bisogno di qualcuno a cui appoggiarci, Matthew. Quanto più abbiamo delle necessità tanto più abbiamo bisogno dell’appoggio di qualcuno. Questa ricerca non può avere successo senza di te. Forse, alla fine, avremo bisogno dei tuoi occhi per sapere che ci siamo riusciti, e non dei nostri. Vediamo cose diverse, ma questo significa solo che insieme vediamo di più.

Era sincero. Avrei voluto potergli credere, ma sapevo che da lui avevo sempre tratto la mia forza. Era possibile che due persone traessero ciò di cui avevano bisogno l’una dall’altra? Da dove veniva tutta questa forza?

Non sapevo rispondere, non era il tipo di problemi per me. Non ero un pensatore, non nel modo in cui lo erano Joaz o Alvaro. Ero un uomo normale e tranquillo che viveva la sua vita, invece di cercarla.

Un tempo era John a essere perso nel mio mondo. Ora ero io a essere perso nel suo.

17. Altre terre, altri Signori

Il sole era una sfera cremisi nel cielo d’occidente. Una scia di nubi rosa e viola se ne stava immobile sotto il sole come un cuscino sul quale riposare. Nella penombra dell’est altri ciuffi di nuvole sorgevano dalle montagne schiudendosi come fiori. In alto il cielo era più limpido, interrotto solo dalla faccia argentea e sfregiata della luna al suo zenit. Era una luna assai più grande del normale, e a occhio nudo mostrava molti più dettagli della sua superficie inalterata nei secoli. L’uomo che sorrideva e la vecchia signora con il suo fardello di fascine che ero solito vedervi da bambino non erano più visibili. Sebbene le fattezze del satellite fossero le stesse, ora la sua vicinanza creava l’illusione di sinuosi dragoni cinesi che combattevano contro oscure figure blu incappucciate come monaci.

— Non è affatto quello che mi aspettavo — si lamentò Fra Xavier asciugandosi il sudore che gli colava sulle guance. Il viaggio iniziava a pesargli parecchio. Xavier non era in piena salute e cominciava a sembrare spaventato e riluttante. Mentre peggiorava, io mi ero acclimatato un poco, e ora provavo pena per lui.

— Altre terre — disse Fra Joaz, come se quella fosse una spiegazione sufficiente. John non fece alcun commento. Entrambi soffrivano per il caldo, ma non così tanto come il grassoccio Xavier.

— Forse è un’illusione, o forse no — commentai. — Non durerà per sempre. Ci dev’essere qualcosa al di là, qualcosa al di fuori.

Xavier restava in silenzio, risparmiando il fiato per camminare. Non appariva per nulla rassicurato. Aveva sul viso una smorfia di sofferenza, ma non chiese di riposare. Ci eravamo già fermati una volta in quella terra desolata che sembrava estendersi all’infinito nel tempo e nello spazio.

Anche con la luce del sole e della luna la Terra era poco illuminata. Il sole era molto fioco e la luna, nonostante la vicinanza, sembrava meno nitida e più rossastra. Una terza fonte di luce proveniva da sud, come una delicata e farinosa bufera di neve, da un’aurora scintillante sospesa sull’orizzonte come un’acconciatura fissata da un nastro. Non vi erano nuvole intorno, ma il cielo era macchiato di rosso e marrone, come se nell’aria vi fosse un pulviscolo o una rifrazione negli strati più alti dell’atmosfera.

Il terreno su cui camminavamo era scuro e solcato da mucchi cristallini simili a cera, infidi da attraversare, che mi facevano dolere gli occhi se li guardavo troppo a lungo. Non sapevo dire se la causa fosse la luce riflessa o una proprietà di quelle strane pietre. Grandi montagne, che sembravano avere la stessa composizione, cingevano l’orizzonte con massicci irregolari e creste frastagliate. Anch’esse scintillavano come per la neve, ma a quella distanza la luce era facilmente sopportabile. Le montagne sembravano mozziconi conici di candele consumate, e avevano spigoli arrotondati, come se fossero state levigate da un forte calore. Rivoli di roccia fusa si erano solidificati mentre scorrevano lungo i pendii e la pianura nero-rossa.

Il resto del terreno piatto era coperto di lava nera, cosparso qua e là da bianche incrostazioni di ghiaccio. Quei tratti, lo sapevamo per averli attraversati, erano duri ma friabili, cedevano sotto i piedi e rendevano più difficile il cammino. Dalla consistenza quella roba bianca sembrava sale, ma mi convinsi che fosse una sorta di cenere.

L’aridità e la desolazione erano di gran lunga la cosa peggiore che avessimo incontrato fino ad allora, e detestammo ogni istante trascorso in quel luogo, sebbene occasionalmente rimanessi colpito da formazioni di particolare bellezza e persino da una strana nostalgia. In genere, però, il paesaggio era solo malinconico.

— Non riesco a capire cosa abbia causato tutto questo — disse a un certo punto Xavier. — Non ho visto niente. E voi?

— Assolutamente niente — risposi. — Siamo arrivati troppo in fretta.