Gli altri due parvero più riluttanti a confessare che la loro onniscienza e capacità di comprensione avevano dei limiti.
— Non so cosa sia successo — confessò Joaz — ma si trova tra noi e il nostro destino. Possiamo evitarlo nel tempo o attraversarlo nello spazio.
— Non può durare per sempre — aggiunse John.
Xavier si lasciò cadere a terra, pieno di gratitudine, quando John, dopo questo commento, fermò Joan per riposare un momento.
— Non fermatevi troppo per me — disse Xavier senza pensarlo veramente.
— No, certo — rispose John. — Siamo tutti stanchi e abbiamo bisogno di riposo.
— Vi sto facendo rallentare.
— No, non è vero. Usciremo presto da qui. Non dobbiamo farci prendere dal panico.
— Nemmeno a me piace — confessai. — Non so cosa sia. Mi fa paura.
— Lo so — disse John. — Siamo tutti spaventati, ma dobbiamo attraversare questo tratto e lo attraverseremo in un modo o nell’altro. Abbiate fede.
Borbottai qualcosa riguardo a quello che pensavo della fede, ma sapevo che per Joaz e per Xavier era una cosa importante, e non volevo che mi sentissero. Voltai loro le spalle perché non vedessero l’espressione di disapprovazione che mi attraversò il viso e mi misi a osservare il paesaggio.
Era come se si fosse ghiacciata una lacrima nella grande pupilla della Terra. Poco più in basso rispetto a dove ci trovavamo, a circa un chilometro e mezzo, c’era un grande vortice vitreo. Sembrava essersi bloccato di colpo, come se all’improvviso il tempo si fosse fermato lasciandolo in sospeso. Dal vortice si dipartiva un fiume di ghiaccio grigio che aveva arrestato il suo corso fissandolo in una cascatella ghiacciata, mentre le sue onde s’infrangevano in statici spruzzi bianchi. Il fiume scompariva nelle pieghe rocciose lungo la riva di un lago circolare. Proprio davanti a noi, un altro “fiume” scorreva lontano sull’epidermide silicea della pianura. Fin dove arrivavo con lo sguardo l’acqua grigia e ghiacciata del fiume era screziata d’oro e di blu. Più lontano, il fiume si divideva in centinaia di piccoli rivoli, ciascuno splendente come argento satinato e in argini color della ruggine e del nero della cenere di legna.
Tutto immobile. Una promessa di vita che niente lasciava pensare sarebbe stata mantenuta.
Ghiacciato e statico com’era, con quelle increspature imprigionate e trattenute, il fiume presentava una barriera invalicabile al nostro stanco cammino. Mantenere l’equilibrio su quella superficie, con le suole lisce dei nostri sandali, sarebbe stato assolutamente impossibile. Ma dovevamo attraversarlo. Sapevo che l’impresa non sarebbe stata spaventosa come pareva da lontano. Il ghiaccio si sarebbe rivelato resistente. Solo da quella distanza l’illusione che avremmo camminato sull’acqua poteva sembrare vera.
Tornai a guardare quel vortice solido inciso sulla superficie levigata di un ampio bacino che riceveva l’afflusso di una moltitudine di corsi d’acqua minori e trascinava le loro acque nella stasi vorticosa intorno al gorgo.
Striature rosse e arancioni, che scorrevano incerte nella fioca luce del sole e della luna, si univano a verdi rivoli cristallini per riversarsi al centro del lago. Scie vitree bianche e rosa ruotavano e si intersecavano formando nel centro del vortice spirali scintillanti. Bagliori di un blu acqueo risplendevano come vetri di bottiglia colorati nella mutevole luce o brillavano, con un colore turchese più tenue, all’interno di un blocco di ghiaccio scuro. E i gialli roteavano e abbagliavano… si mescolavano alle sfumature più chiare o ai contorni viola… poi prendevano a turbinare… finalmente in movimento…
Ma era solo illusione.
Mi strofinai gli occhi e asciugai il sudore dalla fronte e dalle tempie, stanco di seguire il vorticare di quelle strisce di luce colorata. Mi sedetti accanto a Xavier che respirava con grande affanno, a occhi chiusi, come se avesse rinunciato alla speranza di raggiungere un’altra parte della pianura e a continuare il tentativo di proseguire.
— Non è così terribile — gli dissi.
— No — rispose lui, lottando per trovare le forze. — È solo questo malessere. Fa vedere le cose molto peggiori di quello che sono. Sto tentando di andare avanti, di capire. Ma è tutto a posto. Ogni cosa passa. Ci sarà un nuovo giorno, lo so, solo è così difficile sentirlo.
— Il tempo si è davvero fermato? — domandai guardando in alto l’immobile sole.
— Uno squarcio nel tempo forse — propose Joaz. — Ma molto più probabilmente il problema è in noi. C’è qualcosa di sbagliato, ma lo troverò. Credetemi, lo troverò. Non resteremo bloccati qui per sempre.
— Ma a cosa serve continuare il cammino? — domandai. — Xavier non può più andare avanti.
— Dobbiamo farlo — disse John con determinazione. — Non possiamo fermarci. Anche se ci sembra di non andare da nessuna parte, di non combinare nulla, dobbiamo continuare. La droga dipende molto dal nostro stato mentale. Come dice Joaz, l’errore, se di errore si tratta, è in noi. Dobbiamo avere coraggio. E fede.
— Forse l’errore è solo in uno di noi — suggerii con l’amaro in bocca.
John scosse la testa.
— Siamo un tutt’uno, Matthew, per il nostro intento. Uno e uno solo. L’errore è in tutti noi. Siamo tutti l’uno nell’altro.
Chinai la testa per evitare il suo sguardo fisso su di me. Sapeva che non capivo ciò di cui stava parlando, ma per lui non aveva importanza. Forse, a modo suo, lui era tutti noi. Desiderai di avere un po’ di lui in me ad aiutarmi e a guidarmi.
Ora Joaz stava fissando lo stesso punto che fissavo io poco prima. Sembrava paralizzato, come del resto lo ero stato io.
Al centro di quel turbine di colori vi era una profonda depressione, di un nero intenso, che scintillava come ebano nella luce fioca. Il laghetto, nella sua confusa asimmetria, era disposto intorno a questo perno. Sebbene non riuscissi più a vedere la formazione di ghiaccio, continuavo ad avere nella mente immagini che si ravvivavano e svanivano seguendo il battito del mio cuore. Era come una ruota da preghiera le cui lodi erano colori. Era come uno specchio che rifletteva il mondo intero. Con uno sforzo di volontà cercai di liberarmi la mente. Le immagini vi si aggrapparono disperatamente, ma alla fine furono dissipate.
— Sembra — dissi — che guardare le cose richieda molte più energie di quanto dovrebbe, come se osservare significasse partecipare attivamente.
John mi sorrise, come se avessi detto qualcosa di grande importanza. — Hai ragione, Matthew. Hai ragione.
— Il sole non si muoverà più? — sussurrò Xavier.
Con due dita gli toccai la fronte. Era molto calda, troppo calda.
— Dobbiamo andare — disse John.
— No! — protestai. — Non puoi. Lo ucciderai.
— Moriremo tutti, se restiamo qui.
— È questione di poche ore, non può succedere niente.
— No! Può succedere eccome, e succederà. Dobbiamo andare. Quello che importa sono le nostre menti, non i nostri corpi. Coraggio, fede e speranza, è questo ciò che conta. Dobbiamo proseguire!
Ci ritrovammo di nuovo in marcia, sebbene non ricordo come fosse stata presa la decisione, ma non attraversammo il grande fiume, non ci dirigemmo neanche dove puntavamo prima di fermarci, cominciammo semplicemente a camminare.
Passammo vicino al lago.
Tutto intorno a quel gioiello grezzo, tranne dallo stretto sentiero che stavamo seguendo, si irradiavano i fili d’acqua che lo alimentavano e lo avevano creato e che un tempo ne avevano sostenuto la vitalità. Questi torrenti compivano il loro misterioso pellegrinaggio da ogni punto della superficie terrestre, per offrire ognuno il proprio dono di prosperità e lucentezza. L’essenza delle acque della Terra era concentrata lì per elargire ciò che avevano raggiunto, per creare una divinità, un dio dell’acqua generato in una valle lontana, eterno in un istante senza tempo.