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Chiesi di fendere con il suono e con la vista la nebbia che mi avvolgeva. Chiesi di essere liberato dalla mia prigionia. Chiesi a un ricordo di schiudere le labbra di lei, di lasciarmi udire le lacrime nei suoi occhi. Chiesi speranza.

Non udii altro che il sibilo indifferente della fontana. Ma poi avvenne qualcosa di nuovo, qualcosa di strano. Le maree del tempo cambiavano direzione. L’aria aveva ali di canto…

— Matthew — era la voce di John. — È solo un sogno. È finito.

Vedevo ancora il villaggio vicino ai tre picchi.

Sentivo ancora il suono magico dell’arpa.

Mi voltai verso il cantore di sogni, i cui occhi erano nascosti dalle folte sopracciglia bianche.

— Quel sogno era tuo o mio? — gli domandai.

— Mio, te l’ho già detto — rispose. — Ma forse anche tuo. Per quale motivo non possiamo trovare noi stessi nei sogni altrui?

Gli ultimi brandelli del sogno svanirono dalla mia mente. Le corde dell’arpa sospiravano nel vento, ma io sapevo che già da tempo avevano smesso di vibrare.

— Com’è finito? — gli chiesi. — Dove è finito? — Alla fine del sogno non ero più sicuro di quello che avevo visto, se fosse stato frutto della mia immaginazione o no.

Il cantore di sogni sollevò lo sguardo e vidi i suoi occhi. Erano viola scuro, il colore del cielo della sera. Erano umidi di lacrime e le pupille sembravano capocchie di spillo. Rimasi immobile, non provai a riprendermi da quello stato di intenso shock emotivo in cui mi aveva lasciato il sogno. In quel momento pensai di essere vicino alla morte.

— Lei era morta — disse semplicemente il cantore di sogni.

Nessuna ricompensa. Nessuna redenzione. Nessuna speranza. Nessun ritorno. Una sola direzione. USCITA dall’altra parte della porta.

— Era morta.

Quelle parole, pronunciate per la seconda volta, finalmente mi raggiunsero: barcollai in preda alle vertigini. I miei pensieri erano confusi, mescolati a strane emozioni e nuove implicazioni.

John mi abbracciò.

— Non l’hai visto? — gli chiesi.

— Ero lì.

— Era il mio sogno.

— Sì, lo so. Me lo ricordo.

— Era il mio sogno.

— Era anche il suo — disse John. — Non sei solo. Non c’è niente di nuovo.

— Non ci credo.

— No — disse — suppongo di no.

Il cantore di sogni rimase seduto, immobile come una statua di marmo, ancora un minuto. Poi il suo vecchio corpo parve semplicemente afflosciarsi. Le labbra tremarono, i fili bianchi della barba vibrarono come corde d’arpa. La schiena sussultò, mentre lunghi, dolorosi singhiozzi minacciavano di schiantare quelle vecchie ossa.

— Era morta — ripetei lentamente, e cominciai a capire.

21. Il mare di sangue

La torre si ergeva solitaria nell’oceano come un ago conficcato nella sonnolenta superficie di un mare color del vino. L’acqua, di un rosso cupo, rifletteva l’immagine di un cielo rossastro.

Le nuvole, simili a grandi chiazze marrone bruciato, si trascinavano stancamente per il cielo unendosi e staccandosi, e lasciavano nell’umida atmosfera una scia di perle rubiconde frutto della traspirazione aerea. Nella parte di cielo scoperta comparivano strisce e striature, macchie e chiazze di rosa tenue, di rosso acceso e di un bel rosso magenta. All’orizzonte la polvere sembrava un fastoso drappeggio che rifletteva la luce rossastra del cielo e delle nuvole.

Il mare pareva uno specchio di vetro fuso rosso ciliegia dai riflessi accesi, calmo e immobile come uno stagno. Non c’era vento a turbare la sua serenità, niente era visibile sotto la sua piatta distesa. Non galleggiavano alghe, né si vedevano guizzi di pesci argentati intorno alla base cilindrica della torre.

Rosso, rosso dappertutto; il cielo, le nuvole, la polvere. Persino la lucente torre d’acciaio risplendeva di rosso poiché non vi era altro colore da riflettere. Avevamo l’impressione di galleggiare in un liquido racchiuso in una boccia di cristallo rossa. Il mondo sembrava una ferita aperta che versava sangue arterioso.

Guardavamo increduli le pigre nuvole agitarsi nel cielo e urtarsi in una fuga frettolosa, come se un’improvvisa folata di vento le avesse sospinte e poi abbandonate all’improvviso. I vapori che si dileguavano dai contorni delle nuvole si dissolvevano come fumo, ma la massa delle nubi rimaneva inalterata.

Poi la superficie dell’oceano mostrò una certa turbolenza, e lentamente comparve un’increspatura, poi un’altra, e un’altra ancora… e il mare si risvegliò violentemente mentre il cielo riversava su di noi una pioggia di sangue. Le gocce offuscavano il paesaggio e lo trasformavano in uno scenario informe. A quella distanza ravvicinata riuscivamo a vedere attraverso la cortina di pioggia. Erano gocce d’acqua, non di sangue.

Mi voltai verso John, che stava accanto a me, mentre il cantore di sogni si era tenuto a una certa distanza lasciandoci soli a osservare.

— È reale? — domandai in generale, rivolgendomi poi al cantore di sogni. — O è un’altra delle tue illusioni?

— Tutte le mie illusioni sono reali — affermò il vecchio canuto.

— Ma siamo qui o tra qualche istante ci risveglieremo ritrovandoci sulla stessa collina?

— La collina è svanita — disse il cantore di sogni. — Siamo qui, in questo luogo.

— Allora anche tu puoi muoverti nel tempo?

— Non esiste più il tempo — mi rammentò John.

— Non lo so — confessai. — A volte una cosa sembra essere il tempo, altre volte sembra esserlo un’altra. Se il tempo non esiste, cosa cambia? Ma se il tempo esiste, perché non possiamo vedere i cambiamenti?

— È il caos, Matthew — rispose John. — Il tempo era solo “l’ordine” degli eventi, un’imposizione dell’uomo. Abbiamo sempre dovuto rendere artificiale il mondo per poterlo comprendere perché le nostre menti non sono in grado di accettare la realtà. Gli animali procedono per istinto, stimolo e reazione. Noi procediamo per il Tempo: la disposizione dei cambiamenti si adatta al nostro sistema artificiale chiamato logica, o ragione, o causa-effetto. La nostra percezione è mutata. Abbiamo visto troppo. Abbiamo visto cose che non possono adattarsi allo schema e la nostra mente lo ha abbandonato del tutto. Lo schema ha funzionato solo in modo parziale, all’interno di un campo assai ristretto. Gli altri viaggiatori nel tempo non si sono spinti abbastanza lontano, non hanno visto abbastanza. Che la tua vita sia di settanta o di duecentosettant’anni fa poca differenza. Abbiamo visto tutto, Matthew, dall’inizio alla fine, miliardi di anni. Siamo venuti per vedere, siamo venuti per cercare risposte, non per fuggire. Abbiamo perso il tempo. Per sempre.

Allora, mi domandai, come avremmo mai trovato quello che eravamo venuti a vedere? Se eravamo in balia del caos, come avremmo individuato un essere ben preciso? Prima di morire Joaz mi aveva dato una risposta: “Trova l’Uomo Futuro, lui porterà ordine nel caos. Alla fine del caos c’è un nuovo ordine, l’ordine di una percezione completamente nuova”.

Ma era vero? Come poteva saperlo Joaz?

John non lo sapeva. Era chiaro. Lui aveva sempre la sua fede, ma nulla di più. Il suo sogno si era dimostrato troppo grande per lui. Aveva lottato tanto per cercare di vedere e di capire, ma non vi era riuscito. Avrebbe rinunciato definitivamente se non fosse stato per la fede.

Come aveva detto John, eravamo venuti per cercare delle risposte, non per fuggire. Ma lo avevamo fatto? John aveva tentato di fuggire ma aveva fallito. Per molti anni anch’io avevo cercato una via di fuga interiore, non esteriore, dal sogno che il vecchio e la sua arpa mi avevano riportato alla mente e dalla sua tragica conclusione. Nessuno di noi due, credo, era venuto solo per trovare risposte.