Ma ormai erano rimaste solo risposte. E sogni. E fede.
— Non so perché il cielo è rosso — stava dicendo a John il cantore di sogni. — Non capisco. Eppure sono stato io a creare questo mondo. L’ho plasmato con la mia arpa.
— Allora è solo un altro sogno? — domandò John.
— Non lo so — confessò il vecchio. — A volte non sono sicuro di quello che creo.
John mi diede un’occhiata penetrante ed espressiva che però non riuscii a interpretare. Per evitare il suo sguardo mi voltai verso la finestra e osservai le enormi gocce cadere dalle nubi scure e velare con gli spruzzi la superficie dell’acqua. Cadevano sempre più veloci e sempre più fitte, come se il cielo cercasse di liberarsi in pochi minuti di un pesante fardello. E mentre guardavo, lentamente, cominciò a spiovere.
Il cielo e l’orizzonte ritornarono visibili ma non ben definiti, poiché il rosso non è un colore violento, ma ora li vedevo, non erano più confusi in tutto quello scompiglio. A qualche centinaio di metri dalla base della torre, una testa nera, tonda e lucente come quella di una foca, irruppe improvvisamente in quel mondo tutto rosso. Emerse dalle onde su un collo serico che, come quello di un serpente, sembrava non avere mai fine. Affiorò sempre di più finché finalmente la parte superiore del tronco affusolato del mostro marino si trovò fuor d’acqua. Il resto del corpo massiccio rimase nascosto sotto le onde rosse, mentre le piccole increspature sollevate dalle enormi pinne si diramavano tutto intorno.
— Ce n’è un altro — disse John, che intanto mi aveva raggiunto, quando l’apparire della creatura mi aveva lasciato senza fiato. Indicò un’altra testa nera che emergeva dal mare.
Le bestie sembravano sorridere in maniera stupida, avevano occhi minuscoli e piccole orecchie ai lati della testa. Nell’insieme assomigliavano alle foche e anche la loro pelliccia, liscia e lucente, era caratteristica di quella specie. Solo il lungo collo e la stazza imponente le rendevano diverse. Mi domandai se fossero i loro antenati. O forse i loro discendenti. O semplicemente il risultato di una coincidenza dovuta a un adattamento simile.
— Mi chiedo cosa siano — disse pensoso il cantore di sogni. A volte dava l’impressione di essere onnisciente, altre volte pareva un bambino stupito davanti a ogni cosa. Sembrava avere tante menti quante voci.
— I tuoi sudditi, creatore — rispose John. Non saprei dire perché avesse deciso di prendersi gioco del vecchio. Forse si erano detti altre cose mentre ero immerso nei miei pensieri.
Il cantore di sogni non gli badò e continuò tranquillamente a osservare gli animali.
John si studiò con attenzione il palmo della mano, forse pentito per ciò che aveva detto o forse per noia.
— La vita continuerà sempre a esistere nel mare — dissi guardando le bestie andarsi incontro nel mare rosso. — Anche se non ci sarà un Uomo Futuro, la discendenza non morirà. La razza umana diverrà semplicemente un ramo collaterale, un tentativo fallito. Dal mare uscirà qualcos’altro.
— Questo non dev’essere — affermò John.
— Perché no? La tua Confraternita predica l’umiltà e l’accettazione. La razza dell’Uomo non è l’inizio e la fine di tutto. Perché dovremmo rivendicare un posto nella linea principale? Non è vanità anche questa?
— Ma tutti quegli sforzi andati sprecati, quel potenziale inutilizzato!
— Niente è sprecato, John, perché il tempo è qualcosa di artificiale. Non è importante ai fini della strategia della vita — gli dissi con un atteggiamento vagamente trionfante per aver vinto quello scambio di battute.
Mi guardò di nuovo e i suoi occhi, sempre più infossati, sembravano accusarmi e insieme ammettere lo sbaglio. Per un attimo pensai di avere invaso il terreno della sua fede, ma non era questo che gli passava per la mente.
— Stai migliorando, Matthew — disse.
— Il malessere è scomparso dopo la cittadella della dea — dissi.
— Non è questo che intendo.
In effetti avevo immaginato che non si riferisse al mio stato di salute. Perché il ragazzo doveva sempre parlare per enigmi, come se la vita stessa non fosse già un dramma dai molteplici significati?
Il cantore di sogni osservava gli animali muoversi lentamente in ampi cerchi, come se si inseguissero a vicenda senza essere veramente intenzionati a raggiungersi. Muovevano le minuscole teste da una parte all’altra.
— Sai cosa stanno facendo? — domandò il vecchio all’improvviso.
Osservai la scia circolare per un istante. — No — risposi.
— Stanno facendo l’amore — disse, e ridacchiò sotto la barba. John sospirò.
Il cielo si era aperto rivelando l’occhio tondo e rosso del sole. Ma c’era ancora foschia e continuava a cadere una pioggerellina leggera. Un arcobaleno attraversava il cielo verso nord. Era un arcobaleno rosso, un arco gigantesco che faceva una promessa al Genere Umano morto da tempo. Sorrisi ironicamente a quell’ambasciatore del creatore di caos.
— Eccoci qui alla deriva nel sangue del mondo — disse il cantore di sogni pervaso da un nuova riflessione. — E per quel che ci importa, potrebbe anche essere acqua.
L’affermazione non mi sembrò molto divertente e non risi. C’era un legame che non potevo capire, tra il cantore di sogni e quel mondo. Forse lui e la sua arpa l’avevano davvero creato. Forse nel mondo non erano rimasti che lui e l’eco dei suoi sogni.
22. Il lago di luce
Dall’alta torre che si ergeva solitaria nel mare di sangue, John, il cantore di sogni e io giungemmo al lago di luce. Niente si frapponeva, eppure ebbi l’impressione di aver fatto molta strada, di aver scalato alte colline e attraversato folte foreste, e che il cantore di sogni avesse trasportato la sua arpa per molti chilometri. Cominciai a chiedermi se la memoria non mi giocasse brutti scherzi.
Avevo la sensazione di conoscere il cantore di sogni molto meglio di quello che la nostra breve conoscenza poteva far supporre. Riuscivo a richiamare alla mente immagini del suo vagare nel mondo (il nostro mondo, da cui eravamo partiti per questo folle pellegrinaggio) senza che nessuno osasse discutere il suo diritto di passarvi o mettesse in discussione la sua bizzarra comparsa. Riuscivo a vederlo camminare a grandi passi con l’arpa tra le braccia, arpa che però non gli pesava, anzi che pareva in qualche modo sostenerlo. Non soffriva mai la fame né la mancanza di un letto per la notte, ma non lo vidi mai maneggiare del denaro. Talvolta, in quelle sere che sembravano irreali, intonava melodie lente e gravi che parlavano di altri viaggiatori e di terre fantastiche. Ma c’era sempre un accenno di vissuto nelle sue parole, un’emozione così vera che avrebbe potuto essere la mia, un elemento di quotidiana banalità nel grottesco scenario dell’immaginazione. Quelle canzoni per me erano così reali che mi sforzavo di ricordare in quali tempi potevo averle già ascoltate.
Riflettei sulla possibilità che i miei ricordi fossero solo i sogni e che quei ricordi fantasma fossero reali… che non avessimo mai viaggiato nel tempo. Ma l’ipotesi non mi soddisfaceva. Mi pareva probabile che una parte del cantore di sogni filtrasse in me, che l’assorbimento di parti di altri uomini, di sogni di altri uomini fosse così grande che la personalità stessa e l’esistenza del vecchio fluivano lentamente in una sorta di scambio.
Mi domandai, soprattutto, se il cantore di sogni non potesse essere l’Uomo Futuro. Ma John non si espresse in proposito e io avevo paura ad azzardare una simile ipotesi. Una cosa era chiara: adesso era il cantore di sogni a guidarci. John, che era sempre stato la guida e lo stimolo, aveva assunto un ruolo secondario, lasciando che fosse l’altro a scegliere la via da seguire e a fornire la forza motrice.