— Il limite? — domandò John amaramente. — Non potrà esserci altro? Sei vecchio, ma non stai per morire.
— Non ho più tempo.
— No — disse John con un accenno di rassegnazione.
Rimasi in silenzio, seguendo le infinite rotondità della città.
— Non sei l’Uomo Futuro, vero? — continuò John. Ora aveva un tono triste, non accusatorio. Aveva smesso di prendersela con il cantore di sogni per ciò che non era. — Sei solo un’altra tappa sul cammino. Sei più di noi ma non sei ancora abbastanza.
— Le cose non cambiano così in fretta, John — gli ricordai. — Ci vuole tempo.
— Non c’è tempo. Tutti i cambiamenti sono qui.
— Ma ci sono ancora delle tappe, dei livelli intermedi. L’Uomo Futuro deve svilupparsi, John.
— Ma è qui, da qualche parte.
Mi chiesi se lo fosse veramente.
Guardai il cantore di sogni che avvolgeva le sue dita contorte intorno all’arpa e la stringeva a sé. E se lui fosse davvero divenuto l’Uomo Futuro, cosa sarebbe accaduto adesso?
Proprio così, cosa sarebbe accaduto?
— Mi dispiace — disse il cantore di sogni risvegliando le corde dell’arpa e riempiendo con una melodia maestosa e trionfale quel silenzio opprimente. — Sono solo quello che sono.
23. L’ultimo uomo
L’uomo risalì la collina e ci venne incontro. Il cantore di sogni canterellava a bocca chiusa, seguendo la dolce melodia dell’arpa, ma senza mai distogliere lo sguardo dallo straniero. L’uomo alto, bruno, cadaverico aveva capelli corti e braccia anormalmente lunghe.
— Io ti conosco — disse al cantore di sogni.
Il vecchio fermò le corde dell’arpa. — Sono il cantore di sogni.
— E io sono l’ultimo uomo — sentenziò lo straniero con pretenziosità. Mi guardò come per sfidarmi a contraddirlo, e io non riuscii a sostenere il suo sguardo. John invece lo sostenne, ma non aprì bocca.
— Cosa vuoi da me? — gli domandò il cantore di sogni.
— Voglio viaggiare con te per un po’. Penso che tu mi possa portare là dove devo andare.
— Hai una meta? — chiese il vecchio appoggiandosi all’arpa. — Di quale meta può aver bisogno l’ultimo uomo? Dov’è questo posto in cui devi andare?
Gli occhi scuri dell’uomo si chiusero. — Allora non mi ci condurrai?
Il cantore di sogni rise sommessamente. — Ma certo.
— Ma certo — gli fece eco l’altro. — Non puoi dirmi di no, vero?
— Perché dovrei farlo? Sono vecchio, ho vissuto novecento anni e in me vivono e scorrono innumerevoli secoli precedenti. E ora tu sei l’ultimo uomo, a parte i viaggiatori nel tempo. Ti porterò ovunque tu voglia andare.
L’ultimo uomo scosse lentamente la testa. — Novecento anni — ripeté, ma non lo disse con reverenza, come aveva fatto il cantore di sogni, né con soggezione, come avrei potuto dirlo io, ma con tono neutro, come se la semplice menzione del tempo avesse perso significato. E forse era davvero così. Mi chiesi se sarebbe rimasto impressionato sapendo quanti anni avevamo visto scorrere io e John. Probabilmente no.
— Dove vuoi andare? — domandò ancora il cantore di sogni.
— Dove solo l’arpa può condurmi.
Il vecchio annuì. Senza altre parole prese l’arpa e cominciò a discendere la collina. In quel punto il mare era nascosto da un’altura, ma sapevo che eravamo a un centinaio di metri dalla spiaggia. John aveva seguito il vecchio, e sembrava ancora contento di seguirlo, anche se ormai aveva abbandonato l’idea che forse avevamo trovato l’Uomo Futuro.
L’ultimo uomo camminò accanto a me per alcuni minuti, poi raggiunse il cantore di sogni e si pose a fianco a lui.
Dinanzi a noi c’era il gigantesco occhio del sole: ma ogni volta che lo guardavamo sembrava emanare sempre meno luce. Adesso era rosso scuro. Alle nostre spalle c’erano montagne e foreste. Eravamo giunti in una terra che assomigliava a quella che avevano abbandonato, e qui non c’era nulla che non avessimo già visto nel nostro tempo. Il caos era composto di frammenti di ogni luogo e non tutto era stato riplasmato da creatori come il cantore di sogni.
In quel punto la costa era una lunga linea continua di scogli neri. Non vi erano spiagge ma solo piccole insenature dove si depositava la sabbia. Giungemmo a una cornice di roccia. In basso le fosche onde lambivano senza vita la parete butterata della scogliera. Il cantore di sogni posò l’arpa e si sedette, fissando tristemente l’acqua torbida e opaca. Mi disposi ad aspettare, facendo come sempre affidamento su John che di certo sapeva quel che faceva perché quello era il suo pellegrinaggio.
Lo spilungone non si dimostrò altrettanto paziente. — Cosa stiamo aspettando?
— La marea — rispose il vecchio. Teneva il mento appoggiato sulla mano segnata da cicatrici, e la sua voce parve soffocata dall’intricata massa della barba.
— Nonostante il potere dell’arpa dobbiamo sottostare alla marea? — domandò con disprezzo e con un pizzico di acredine l’ultimo uomo, ma alla fine accettò la situazione.
— Suona, mentre aspettiamo — disse John. Forse per questo seguiva ancora il vecchio. Pensava che il segreto potesse risiedere nei sogni che riecheggiavano dalla mente del cantore.
Il cantore di sogni sistemò l’arpa tra le ginocchia e allungò le dita sulle corde. Le sfiorò delicatamente e quelle sussultarono emettendo la loro melodia. Le molteplici voci del vecchio si unirono alla musica e il rumore del mare svanì completamente.
Ero appollaiato su un edificio di una città di vetro e d’argento. Torri enormi, guglie e minareti si innalzavano, collegati da lunghi filamenti d’argento che avvampavano e pulsavano nel sole di mezzogiorno. Era il vecchio sole: il sole giallo e luminoso. Nella piazza sottostante, ornata di statue di cristallo, c’era un laghetto limpido. Il terreno era simile alla fluida trasparenza del vetro azzurrino. Le cime degli alti grattacieli splendevano e luccicavano come gemme dalle numerose sfaccettature. E ovunque c’era luce, non esisteva il buio, né angoli d’ombra perché quella città emanava una luce propria.
Questo era un sogno di John, era ovvio. Il suo vecchio sogno, il sogno che ancora covava da qualche parte nella mente, l’Età dell’Oro, l’Epoca delle Conquiste dell’Uomo.
Su uno dei grattacieli vicini quattro persone affacciate al balcone guardavano il cielo blu e luminoso. Erano vestite in modo sfarzoso, con fluenti abiti bianchi e porpora, con braccialetti d’oro e colletti di trine. Calzavano sandali cristallini e portavano brache di seta iridescente. Avevano addosso numerosi ninnoli e gioielli. L’unica donna del gruppo portava enormi orecchini di brillanti e anelli con ametiste, rubini e zirconi. Sul capo portava una tiara scintillante tempestata di diamanti.
Anche gli uomini avevano anelli di lucide pietre preziose, ma portavano corone d’oro e d’argento intrecciati a spirale. Avevano al collo opalescenti catene luccicanti. Si sporgevano all’indietro per guardare in alto e con le loro mani, forti e sottili, stringevano la ringhiera del balcone. Avevano tutti lineamenti piacevoli, viso ben abbronzato, occhi splendenti come i loro gioielli, labbra carnose e rosse come rubini, sopracciglia scure e aggrottate, capelli neri come l’ebano… quelli degli uomini arrivavano fino alle spalle, quelli della donna ricadevano in trecce lucenti lungo la schiena. Ogni loro atteggiamento esprimeva freschezza e vitalità.
“Oh, John” pensai “perché il tuo sogno deve essere così impossibile? Non poteva esistere un’età trionfale senza questi ornamenti e questa esagerata perfezione? È troppo vuota, John, troppo lontana.”