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Improvvisamente uno stormo di uccelli scuri attraversò velocemente il cielo e scomparve dietro gli edifici. Un minuscolo aeroplano di metallo scintillante entrò nel mio campo visivo mentale. Una forma piccola e scura stava scendendo lentamente. I miei occhi misero a fuoco una creatura dalle grandi ali che lentamente planava sulla città puntando verso il tetto del palazzo su cui eravamo noi. Al primo sguardo mi parve un grosso uccello, ma presto mi resi conto che aveva le sembianze di un uomo alato, come Raon il Reietto della città della notte. Per un istante pensai che potesse essere Raon, che John inserisse nuovi incontri in vecchi sogni, ma non era Raon, era molto più robusto.

Volava in posizione verticale, braccia conserte sul petto, e perdeva lentamente quota come una foglia d’autunno. Aveva scorto qualcosa nella città e parve guardare dritto verso di me. Mi chiesi se fossi visibile ai suoi occhi quanto lui lo era ai miei.

Nel cielo abbagliante, molto più in alto dell’uomo-uccello in planata, vidi un secondo puntino nero muoversi con decisione sopra le torri a pinnacolo.

In quello stesso momento i quattro spettatori si accorsero di me: evidentemente avevano seguito la direzione dello sguardo dell’uomo-uccello. Ero visibile: una piccola misera figura sul tetto di un palazzo di una città perfetta. Di sicuro ero parso loro incredibilmente strano nei miei vestiti sporchi per il viaggio. Ma era questo ciò che vedevano? Non ne potevo essere certo. Forse videro tutti noi quattro. Per un attimo parvero eccitati, poi tornarono a guardare il cielo e cominciarono a mostrare segni di agitazione.

Il puntino nero più in alto si abbassò permettendoci di vedere che si trattava di un altro uomo alato. Questo si mise a girare in tondo e poi, per un istante, indugiò nell’aria allineandosi alla mia posizione e a quella del primo uomo volante. Quest’ultimo si avvicinò a me sbattendo le ali con indifferenza, come per verificare più da vicino quella strana visione.

Vidi il suo corpo nudo, le gambe deboli e magre con tre dita per piede, le mani dalle dita sottili e affusolate e le braccia muscolose e potenti. Vidi le protuberanze delle scapole dove le grandi ali coperte di lucide penne si estendevano dal corpo, e i muscoli eccezionalmente sviluppati del torso e della zona lombare dell’uomo.

Il secondo uomo-uccello ripiegò le ali in modo che le alule si toccassero e le primarie s’inclinassero orizzontalmente rispetto al corpo, e scese a perpendicolo come un sasso.

L’uomo rimasto sospeso in cielo mi guardò con espressione confusa. Aveva occhi piccoli e scuri che scintillavano di curiosità e la fronte increspata da minuscole pieghe. Le ali, aperte e piegate, battevano piano, ritmicamente, per sostenerlo meglio.

I quattro al balcone osservavano affascinati, e i loro occhi sembravano brillare per l’emozione.

Volevo urlare un avvertimento ma non avevo voce.

Il secondo uomo alato sopraggiunse. Allargò di scatto le ali per frenare la picchiata poi, avvicinandosi all’altro uomo-uccello, cominciò a sbatterle freneticamente proprio sopra quest’ultimo. Con dita munite (lo notai all’improvviso) di artigli d’acciaio artificiali cominciò a graffiargli la schiena.

L’uomo colpito protese indietro e in alto la testa e contrasse i potenti muscoli. Il cacciatore risalì con movimenti circolari e vibrò gli artigli affilati, squarciando la gola indifesa della preda. Dal collo sgorgò a fiotti sangue arterioso, di un rosso brillante. Le membra del ferito furono percorse da uno spasmo e il suo corpo cominciò a precipitare. L’altro completò con una picchiata la manovra e afferrò abilmente per le ascelle la vittima; poi, battendo le ali anche più velocemente, inondato dal sangue che gli si riversava addosso, cominciò a planare verso i quattro falconieri in attesa.

E la scena terminò.

Seguì un lungo silenzio, mentre le onde lambivano la roccia sempre più in alto. Sporgendomi dallo spuntone di roccia riuscii a immergere le dita nell’acqua. Cercai di vedere cosa vi fosse sotto la superficie, ma la luce era scarsa e l’acqua densa e oleosa.

John si sedette accanto a me.

— All’inizio ho pensato che fosse un tuo sogno — dissi.

— Anch’io — rispose. Aveva le labbra raggrinzite, come per un gusto cattivo in bocca.

Il vecchio si stava risvegliando lentamente dalla trance. Mi inginocchiai accanto a lui e lo aiutai ad alzarsi. Si sorresse appoggiandosi all’arpa, poi la spostò fuori portata delle onde. Senza dire nulla, iniziò di nuovo a suonare. Suonava lentamente e pacatamente, con aumenti e riduzioni di tono, ma qui e là una sorta di crescendo, che veniva però coperto dall’insieme del ritmo e svaniva al suo culmine.

Era il mare, mi resi conto a un tratto. Il vecchio suonava al mare. E così parve, poiché le onde smisero di incresparsi nel vento e cominciarono a muoversi a tempo con la musica. Sapevo che la musica dell’arpa poteva piegare la natura, ma non mi era mai capitato di assistere a un tale prodigio così da vicino. E il mare… il mare era vasto, grigio, meditabondo. Il cantore di sogni, minuscolo e fragile.

Le acque si levarono alla sua chiamata, come se il vecchio subentrasse all’incessante forza d’attrazione della luna sulla marea. Mi resi conto che l’energia era già lì. Il vecchio si limitava a usarla.

L’acqua si sollevò sopra di noi in un grande cilindro ora nero nel chiaro di luna. E in quella grande torre nera comparve una porta, una cavità d’aria che conduceva all’interno del colosso trattenuto dal suono dell’arpa.

Il cantore di sogni ci fece cenno di entrare, ma il nostro nuovo compagno aveva paura e scosse la testa. John si alzò immediatamente e dal cornicione passò sulla soglia. Ansimai e cercai di tirarlo indietro, ma lui ormai era fuori portata, si era addentrato di qualche passo nelle fauci spalancate della galleria. John si fermò e fu come se si trovasse su una scala intagliata nella pietra, perché la colonna d’acqua lo sosteneva senza difficoltà.

Rassicurato, l’uomo bruno lo seguì e io mi precipitai dietro di lui, non perché volessi entrare, ma perché non volevo lasciare mio fratello. Ero completamente sopraffatto dal terrore, ma non accadde nulla. Il cantore di sogni lasciò l’arpa e mi seguì. Mi aspettavo che la torre crollasse e ci schiacciasse, ma l’arpa continuò a suonare.

Cominciammo a scendere nelle viscere dell’oceano, senza badare alle alte pareti della colonna.

Trovavamo senza difficoltà l’appoggio e non aveva importanza se posavamo i piedi sulla liscia parete d’acqua oppure nel vuoto, visto che a volte il tunnel era verticale. Eravamo sempre trattenuti, in perfetto equilibrio, dalla musica dell’arpa.

Il viaggio fu lungo. I miei piedi seguivano automaticamente il lungo percorso. Non c’era luce, ma sapevo che gli altri tre erano a pochi passi da me.

Poi il cantore di sogni disse: — Siamo arrivati.

All’improvviso ci fu luce, luce abbagliante, in tale profusione che mi piegai in due per la sofferenza causata dal calore. Risuonò un grido disperato, probabilmente del nostro compagno, poiché non era la voce di John.

C’erano anche altri suoni: bisbigli e sussurri ammaliatori simili al richiamo di una voce lontana. C’era una risata lieve, che sapevo appartenere al cantore di sogni, e il tintinnio di una campanella.

Mi sforzai di aprire gli occhi, così da vedere la provenienza delle voci, ma questi non mi ubbidirono. L’esplosione di luce li aveva sigillati per proteggere le mie retine delicate.

Poi ci fu un rumore simile a una raffica di vento durante la tempesta e fui afferrato e trascinato in alto come una foglia secca. In un primo tempo pensai che l’acqua avesse ceduto, ma poi udii la melodia della musica oceanica dell’arpa che ora aveva assunto un ritmo veloce, quasi frenetico.

Durante quell’ascesa violenta andai a sbattere contro un altro corpo. Il solo contatto con della pelle e dei vestiti mi rassicurò sul fatto che non ero solo.