Выбрать главу

Me stesso. Vedevo il mondo come poteva vederlo un dio, ma non ero un dio… quel che vedevo significava qualcosa, sebbene non riuscissi a vedere quasi niente. C’era qualcosa di calmo e pacato nella vita… un conquistatore imperturbabile che si muoveva con una strategia sicura… sono venuto per conoscere intimamente la filosofia della vita.

“John. Non sei solo… Non vi è nulla di nuovo… Ma sono sempre stati i tuoi sogni, Matthew… li ho solo presi in prestito… ora puoi riaverli.”

L’evoluzione lavora sul giovane, non sul vecchio, sul maturo, sul definito, ma sul malleabile e sul mutevole, su ciò che deve ancora svilupparsi. Un uomo è un uomo, ma la gastrula che diventa uomo potrebbe, con un impercettibile cambiamento, divenire qualcosa di completamente diverso. Un adulto è un essere finito, non ha più la capacità per ulteriori cambiamenti. Una gallina è solo uno dei modi in cui un uovo può creare un altro uovo. L’uovo può scegliere, la gallina no.

L’evoluzione lavora sulle larve, sui bruchi, sulle meduse, sulle ninfe e sui girini.

È questo il segreto.

La metamorfosi.

Il cantore di sogni. È tutto parte di me, del mio sapere, dei miei ricordi, delle mie emozioni, delle mie molteplici forme. Sono tutti i miei pensieri espressi in un’entità singola, tutti i miei sogni realizzati. È il limite della mia creazione…

Come potresti saperlo? Come potresti sapere che c’era ancora una creazione di là da venire? Un bruco sa che diverrà una farfalla? Una ninfa sa che, prima di morire, per un solo giorno, sarà una crisopa?

Tu sei davvero l’Uomo Futuro, ma nemmeno tu sai di esserlo.

C’è una voce nella mia mente.

“Immagina una pozza d’acqua. Sta piovendo. Ogni minuto si formano centinaia di increspature che si allontanano accavallandosi l’una all’altra senza però intralciarsi il cammino. Ogni increspatura segue il suo corso attraverso il lago, ma in ogni istante centinaia di altre increspature la sfiorano.

“Gli universi sono increspature, i loro cerchi nell’acqua sono il cambiamento. Mentre un’onda si espande tocca altre onde e così il tempo cresce in estensione, ma non in maniera lineare. Dove gli universi s’incontrano, non interrompono il proprio corso. Ma ogni intersezione è il fuoco di percezioni multiple.

“Non capisco”.

Può un rettile capire un uomo…?

Mi sento straziato dagli opprimenti bendaggi dell’oscurità, strappato via con violenza e disperso nella notte senza vento. L’oppressiva prigione del mio corpo è scartata, gli angoli nascosti della mia mente schizzano nel vuoto. E io cresco, mi espando come un urugano, come un’onda d’urto. Mi espando come sfera di fuoco in un orgasmo di energia che si autoconsuma. Il guscio vuoto del mio universo viene rotto e gettato via, i punti saldi del mio modo di vivere vengono completamente dimenticati. La mia vita di essere subunivcrsale viene distrutta e lasciata alle fameliche onde che mi trasportano fuori e dentro, crescendo e crescendo, finché la mia mente abbandona le minuscole sfere per abbracciare il mio nuovo macrocosmo.

L’oscurità è invasa da aloni di luce, moltitudini di universi saldati dall’evoluzione in sottili anelli di squisita fattura che ruotano su un asse inclinato. Le stelle di questi universi, simili a schizzi di luce, brillano nella notte scura trasformando gli anelli, e il loro movimento rotatorio in vere e proprie girandole. Essi convergono e si allontanano, si uniscono e si dividono, si scontrano e si intersecano simultaneamente e singolarmente vorticando allegramente nella loro luce sfavillante.

E io continuo a crescere.

Ora vedo un’ombra, un’ombra gettata sull’oscurità dall’oscurità. Sta a significare potere e austerità. In questa esistenza senza dimensioni la vedo in alto, sopra di me, sotto di me, intorno a me, oltre e dentro di me.

Improvvisamente quei cerchi vorticosi entrano in me e cominciano a fremere insieme alla mia espansione senza forma. Il mio cuore pulsa seguendo il ritmo di quei molteplici universi che diventano un tutt’uno con il battito della mia anima. Essi palpitano più in fretta e con più brio, le loro innumerevoli faville scoppiano in singoli istanti di splendore e di luce per poi svanire nello stesso istante, un milione di scintille effimere che luccicano e si spengono.

E ora sono tutt’uno con questa vasta esistenza, tutt’uno con ciascun universo e tutt’uno con l’Infinito. Sono l’assoluto e l’eterno. Il Tempo si spegne come una candela e gli universi divengono immateriali.

Il grande buio irrompe con violenza nella mia mente inumana. Come un vapore caldo accorro a colmare tutta la mia esistenza. La mia mente conosce tutto quello che ho visto e ricorda tutto quello che vedrò.

E sorgo come un sole nascente.

Come una lucciola.

Con fierezza grido al tempo che non c’è, all’oscurità e a tutto quanto: — Io sono!

Sto ancora cullando il corpo di John tra le mie braccia. C’è un deserto disabitato tutto intorno a me. Sto morendo. Devo morire, poiché non posso vivere da solo e non è rimasto più nulla. Ma ho visto il trionfo dell’Uomo Futuro. Ho visto ciò che John era venuto a vedere e che conosceva solo mediante la fede. Ma è sufficiente?

“E sono Matthew e non John?” Mentre sorreggo la sua testa tra le mani sto ancora cercando di chiedere perché.

“Vorrei avere un sogno che mi tenga compagnia.”

Nota dell’autore

Questo romanzo è fondato su una serie di frammenti scritti tra il 1964 e il 1966; dieci di questi (inclusi alcuni scritti da Craig Mackintosh), furono assemblati nell’aprile del 1965 per formare un racconto lungo intitolato Beyond Time’s Aegis (Fuori dal dominio del Tempo) pubblicato nel novembre 1965 su “Science Fantasy” con lo pseudonimo “Brian Craig”. Fu la mia prima pubblicazione e quella che mi convinse, nonostante una serie di esperimenti fallimentari, che valeva la pena continuare a scrivere. Il racconto venne riscritto, e la seconda parte unita alla prima come seguito della storia, tra il gennaio e il febbraio 1971; fino a quel momento avevo pubblicato cinque romanzi, ma avevo fallito per due volte il tentativo di piazzarne altri due e sentivo di aver perso tutto il mio slancio creativo. La revisione non rappresentò l’intenzione di produrre qualcosa di commerciale, ma piuttosto un esercizio, un po’ eccentrico, di rivalutazione personale.

Ora, a oltre quarant’anni d’età, sono riuscito a cancellare quasi del tutto i ricordi dei miei anni giovanili, troppo imbarazzanti e umilianti per essere tollerabili.

Uno dei pochi ricordi che ho conservato riguarda una lezione di zoologia a cui avevo assistito alla Manchester Grammar School nel laboratorio dell’Old Rectory al piano terreno. Francis Minnis si stava prodigando in uno dei suoi eroici tentativi di enfatizzare quelle poche nozioni che cercava di trasmettere a un auditorio per lo più distratto.

“Le cellule del vostro corpo” diceva “vengono costantemente rimpiazzate. Fra otto anni, il vostro naso non sarà lo stesso di adesso, ma voi non avrete notato alcun cambiamento”.

Già sapevo, per aver letto un racconto di fantascienza che trattava questo argomento, che il processo al quale il mio professore si riferiva era stato in passato definito come “il paradosso della nave di Achille”.

È vero, ci rigeneriamo continuamente, molecola per molecola, cellula per cellula, conoscenza per conoscenza; la continuità della nostra storia personale è un’illusione. La persona che nel 1971 si è occupata della revisione di questo materiale non era la stessa che scrisse i frammenti originali, sebbene mostrasse ancora uno stretto legame con la vecchia persona; ecco perché Matthew (che prima del processo di revisione non esisteva) è così simile alla Lucciola protagonista di Fuori dal dominio del Tempo. La persona che nel 1992 ha scritto questa “Nota dell’autore” è così diversa da entrambe da trovare strano questo libro e del tutto estraneo. Esso non sembra avere alcun senso e mostra certe tendenze che lo scrittore di oggi non condivide affatto. Nonostante questo, l’opera conserva, per l’autore, un fascino ingenuo e una certa seduzione psicologica. Il ragazzo ridicolo, incompetente e introverso che scrisse alcune parti del libro e il giovane uomo ostile, incompetente e caustico che le ha messe assieme, desideravano entrambi produrre qualcosa di diverso da qualunque altro romanzo fosse stato scrìtto fino a quel momento. Attraverso il processo della scrittura volevano essere trasportati lontano dalla goffaggine della loro esistenza quotidiana; volevano andare “ovunque lontano dal mondo” e, più lontano era, meglio sarebbe stato. Volevano scrivere, produrre e fare esperienza di qualcosa di profondo, bizzarro e confortante. E ancora adesso provo e riprovo, seguendo uno stile più calibrato e, mi auguro, più efficace, a fare lo stesso.