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Detestava l'idea di lasciare quella stanza calda, ma la sporta era più pesante di quel che gradiva trasportare, e i tratti ghiacciati sulla strada sarebbero stati difficili da distinguere col calar del sole. Si accomiatò e attraversò di nuovo il villaggio per tornare alla passerella. Era più tardi di quel che avesse pensato. Il sole era piuttosto basso, nascosto dietro uno sbarramento di nubi in un cielo già cupo, come se lesinasse anche soltanto una mezz'ora di calore e di luce. Voleva tornare a casa al suo fuocherello, e così si avviò di buon passo.

Mentre teneva lo sguardo fisso davanti a sé per timore del ghiaccio, in un primo momento sentì soltanto la voce. La conosceva, e credette che Abberkam fosse impazzito di nuovo! Perché le stava correndo incontro tra le urla. Si fermò intimorita, ma lui stava gridando il suo nome. «Yoss! Yoss! È tutto a posto!» gridava andandole dritto incontro, un omone invasato, tutto sporco, infangato, ghiaccio e terra nei capelli grigi, le mani nere, e gli si riusciva a vedere persino il bianco degli occhi.

«Vattene,» gli disse, «stammi lontano, stai lontano da me!»

«D'accordo,» fece lui, «ma la casa, la casa…»

«Che casa?»

«Casa tua, è bruciata. L'ho vista, stavo venendo al villaggio quando ho visto il fumo in mezzo alle paludi…»

Lui proseguì a parlare, ma Yoss rimase come paralizzata, senza prestare più ascolto. Aveva chiuso la porta, lasciando cadere il saliscendi. Non aveva chiuso a chiave, ma il saliscendi era scattato, e Gubu non sarebbe mai riuscito a uscire. Era in casa. Chiuso dentro. Quegli occhi accesi, disperati, la vocetta che gridava…

Yoss scattò in avanti. Abberkam la bloccò.

«Lasciami passare,» gli disse. «Devo passare.» Poi posò la sporta e cominciò a correre.

Il Capo la prese per il braccio, Yoss fu bloccata quasi come da un'onda del mare, fu costretta a girarsi. Il corpo enorme e quella voce l'attorniavano. «Tutto a posto, il gattino sta bene, è a casa mia,» stava dicendo. «Yoss! La casa è andata a fuoco. Il gattino sta bene.»

«Cos'è successo?» disse lei, gridando infuriata. «Lasciami stare! Non capisco! Cos'è successo?»

«Per favore, calmati, per favore,» l'implorò lui, lasciandola andare. «Ci andiamo subito, così vedrai. Ma non è rimasto molto da vedere.»

Yoss camminò accanto a lui su gambe tremanti, mentre il Capo le raccontava cos'era successo. «Ma com'è cominciato?» gli chiese. «Com'è possibile?»

«Una scintilla. Hai lasciato il fuoco acceso? Certo, certo che sì, fa un tal freddo. Ma c'erano delle pietre mancanti dal camino, me ne sono accorto. Scintille, se c'era della legna nel fuoco… forse ha preso un'asse del pavimento, forse il canniccio. Poi ha preso fuoco tutto con questo clima secco, tutto è secco, niente piogge. Oh, Signore, Signore misericordioso, pensavo che fossi dentro. Pensavo fossi in casa. Ho visto il fuoco, ero sulla passerella… poi un attimo dopo sono arrivato alla porta, non so come, avrò volato, non so… ho spinto, era chiusa, allora ho aperto e ho visto tutta la parete in fondo e il soffitto che bruciavano, erano in fiamme. C'era tanto fumo che non ho capito se eri dentro, sono entrato, l'animaletto era rintanato in un angolo… ho pensato a quanto hai pianto quando è morto quell'altro, ho cercato di prenderlo, lui è uscito dalla porta come un razzo, e mi sono accorto che dentro non c'era più nessuno, così sono andato alla porta, poi è crollato il tetto.» Fece una risata selvaggia, trionfante. «M'ha beccato in testa, vedi?» Si chinò, ma lei non era lo stesso abbastanza alta da scorgergli la cima del capo. «Ho visto il tuo secchio, così ho cercato di gettare dell'acqua contro il muro per salvare qualcosa, poi ho capito che era una pazzia, stava bruciando tutto, non è rimasto niente. Quando mi sono avviato per il sentiero l'animaletto, il tuo micio, mi stava aspettando là, tutto tremante. Ha lasciato che lo prendessi in braccio, e non sapevo cosa farne, così sono tornato di corsa a casa mia e l'ho lasciato là. Ho chiuso la porta. Lì è al sicuro. Poi m'è venuto in mente che forse eri andata al villaggio, e sono tornato a cercarti.»

Erano arrivati al bivio. Yoss si spostò sul bordo della passerella per guardare in basso. Una chiazza di fumo, un monticello nero. Stecchi neri. Ghiaccio. Fu scossa da un brivido, e sentì una nausea tale che si dovette rannicchiare, inghiottendo saliva gelata. Il cielo e i canneti sfilavano da destra a sinistra, mulinando nei suoi occhi. Non riusciva a fermarli.

«Su, su, va tutto bene. Vieni con me.» Era consapevole della voce, delle mani e delle braccia, di un vasto calore che la sorreggeva. Gli camminò accanto a occhi chiusi. Dopo un po' li riuscì ad aprire per guardare con attenzione la strada.

«Oh, la mia sporta… l'ho lasciata là… è tutto quel che possiedo,» disse di colpo con una risatina, girandosi e quasi cadendo, perché quel movimento aveva di nuovo scatenato le vertigini.

«Ce l'ho io. Su, ormai ci siamo.» Portava la sua sporta in modo strano, nell'incavo del gomito. L'altro braccio era attorno a lei, per aiutarla a stare in piedi e camminare. Arrivarono alla casa del Capo, la casa scura sulla zattera. Era affacciata su uno spettacolare cielo giallo e arancio, con delle strisce rosa che salivano in cielo dal punto in cui il sole era tramontato. I capelli del sole, come li chiamavano quand'era bambina. Girarono le spalle a quello splendore, entrando nella casa buia.

«Gubu?» chiamò Yoss.

Ci misero del tempo a trovarlo. Era accucciato sotto il divano. Lo dovette tirar fuori a forza, perché non voleva saperne di uscire. Aveva il pelo pieno di polvere, che si sollevò mentre lo carezzava. Alla bocca aveva un filo di bava, e tremava ed era silenzioso tra le sue braccia. Yoss carezzò a lungo la schiena argentea picchiettata, i fianchi maculati, il pelo bianco e serico del ventre. Alla fine Gubu chiuse gli occhi, ma nell'istante stesso in cui Yoss si mosse appena, balzò giù, tornando a nascondersi sotto il divano.

Yoss si sedette e disse, «Scusami, scusami, Gubu, mi dispiace».

Sentendola parlare, il Capo rientrò nella stanza dal retrocucina. Si teneva le mani bagnate davanti al corpo, e lei si chiese perché mai non se le asciugava. «Sta bene?» le domandò.

«Ci metterà un po',» rispose Yoss. «L'incendio. E una casa sconosciuta. Sono… i gatti sono abitudinari. Non amano i posti strani.»

Non riusciva a coordinare pensieri o parole, uscivano a strappi, scollegati.

«È un gatto, allora?»

«Un gatto maculato, sì.»

«Questi animaletti appartenevano ai Boss, stavano nelle case dei Boss. Noi non ne avevamo.»

Lei lo prese per un rimprovero. «Sono arrivati da Werel coi Boss, certo. Come noi.» Appena quelle parole taglienti le furono uscite di bocca, le venne da pensare che forse lui l'aveva detto solo per giustificarsi della propria ignoranza.

Il Capo rimase immobile, con le mani protese. «Mi dispiace,» disse. «Credo che mi servano delle bende.»

Yoss mise a fuoco lentamente sulle mani.

«Te le sei ustionate,» gli disse.

«Non molto. Non saprei quando.»

«Fammi vedere.» Lui si avvicinò, girando le manone a palmo in su: una stria di vesciche rosso vivo sulla pelle azzurrina delle dita di una mano, e una ferita aperta e sanguinante alla base del pollice dell'altra.

«Me ne sono accorto solo mentre lavavo i piatti,» disse. «Non faceva male.»

«Fammi vedere la testa,» fece lei, ricordandosi di quel particolare. Lui s'inginocchiò, mostrandole una conformazione fuligginosa e irsuta tutta incrostata, con una bruciatura nera e rossa giusto in cima. «Ossignore,» esclamò Yoss.

Il nasone e gli occhi del Capo spuntarono da sotto quel viluppo grigiastro, vicini a lei, e la guardarono ansiosi. «So che m'è cascato addosso il tetto,» disse lui, e Yoss cominciò a ridere.