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Non aveva previsto che il makil si sarebbe presentato con ancora indosso gli abiti da donna, ma era così che si vestiva anche fuori dalla scena, non in modo sfarzoso bensì con eleganza nei materiali delicati e fluenti e nelle sfumature scure che le donne svenevoli indossavano nella commedia. E poi rende alquanto piccante il mio costume da uomo, pensò Solly. Batikam non era bello quanto il maggiore, che era un uomo incredibilmente attraente finché non apriva bocca. Ma il makil possedeva una personalità magnetica, bastava guardarlo. Era di un bruno grigiastro, non del nero azzurrino di cui i possidenti andavano così fieri (nonostante ci fossero molte proprietà nere, come aveva già notato Solly, ed era ovvio, visto che ogni donna schiava era anche serva sessuale del proprio padrone). Un'intelligenza intensa e vivace e una grande sensibilità brillavano sul suo viso attraverso il trucco nero e stellare del makil, mentre Batikam si guardava intorno con una risata amabile e lenta, rivolta a lei, a San e al maggiore che stava in piedi vicino alla porta. Batikam rideva come una donna, un gorgoglio caldo, non la risata di un uomo. Tese le mani verso Solly. Lei si fece avanti e gliele strinse. «Ti ringrazio per essere venuto, Batikam.» E lui rispose, «Grazie per avermi invitato, inviato alieno».

«San, credo che qui ci debba essere la tua uscita di scena,» fece lei.

Solo l'indecisione sul da farsi avrebbe potuto frenare San finché lei parlava. Esitò un momento, quindi sorrise mellifluo e disse, «Sì, scusate. Le auguro un'ottima serata, Nunzio. A mezzogiorno di domani nell'Ufficio Miniere, vero?» Camminando all'indietro, andò a sbattere proprio contro il maggiore fermo come un palo sull'entrata. Lei gli diede un'occhiata, pronta a ordinargli di uscire alla svelta. Come si era permesso di ritornare dentro! Poi vide l'espressione sul suo viso. Per la prima volta la sua maschera imperturbabile si era incrinata, e quello che rivelava era disprezzo, disprezzo incredulo e disgustato, come se fosse stato obbligato a guardare qualcuno mentre mangiava un pezzo di merda.

«Esci!» gli disse, voltando le spalle a entrambi. «Andiamo, Batikam, l'unica intimità che mi resta è qui dentro,» aggiunse mentre guidava il makil nella sua stanza da letto.

Era nato dove i suoi antenati erano nati prima di lui, in una casa vecchia e fredda nelle colline sopra Noeha. Sua madre non aveva gridato nel darlo alla luce, essendo la moglie di un soldato e adesso la madre di un soldato. Lui era stato chiamato in quel modo in onore di un prozio ucciso quand'era di servizio su Sosa. Era cresciuto nella rigida disciplina di una famiglia povera di puro lignaggio veot. Suo padre, nei periodi di congedo, gli insegnava le arti che un soldato deve conoscere. Quando invece era in servizio, ci pensava il vecchio schiavo-sergente Habbakam a continuare le lezioni che iniziavano alle cinque del mattino, estate o inverno, con la preghiera, l'addestramento nel pugnale e la corsa campestre. Sua madre e sua nonna gli avevano insegnato le altre arti che un uomo deve conoscere, a cominciare dalle buone maniere prima che avesse due anni, passando poi dopo il secondo compleanno alla storia, alla poesia e allo stare seduti immobili senza parlare.

La giornata del bambino era piena di lezioni e scandita dalle materie di studio. Ma la giornata di un bambino è molto lunga. C'era spazio e tempo per la libertà, libertà nell'aia della fattoria e sulle colline. C'era la compagnia di animali domestici, volpini, cani da corsa, gatti maculati, gatti da caccia e il bestiame e i cavalli della fattoria. Non c'era molta altra compagnia. Le proprietà della famiglia, a parte Habbakam e le due domestiche, erano schiavi che lavoravano a mezzadria la terra dura della collina su cui loro, e i loro proprietari, erano vissuti da sempre. I loro bambini erano di pelle chiara, timidi e già rassegnati al lavoro di tutta una vita, ignari di tutto tranne che dei campi e delle colline. A volte nuotavano con Teyeo, d'estate, nelle pozze del fiume. A volte ne raccoglieva un paio per giocarci al soldato. Erano goffi, sgraziati, con un sorriso incerto quando lui gridava, «Carica!» e correva contro un nemico invisibile. «Seguitemi!» urlava con voce stridula, e loro gli andavano appresso goffamente, facendo fuoco con le pistole di legno, a casaccio, «Bang, bang». Il più delle volte andava da solo, sulla sua brava giumenta Tasi o a piedi con un gatto da caccia che gli trotterellava al fianco.

Saltuariamente c'erano degli ospiti nella proprietà, parenti o ufficiali colleghi del padre di Teyeo, che si portavano dietro i bambini e i servi. Teyeo, silenzioso e compito, faceva gli onori di casa ai bambini ospiti, mostrandogli gli animali e portandoli in giro a cavallo. Silenziosi e compiti, lui e suo cugino Gemat cominciarono a odiarsi. All'età di quattordici anni si picchiarono per un'ora intera in una radura dietro casa, seguendo puntigliosamente le regole della lotta libera, facendosi male spietatamente, sempre più sanguinanti, stanchi e disperati, fino a quando, per tacito consenso, smisero per tornare in silenzio verso la casa dove tutti si stavano radunando per la cena. Tutti li guardarono e non dissero nulla. Si lavarono in fretta, e in fretta andarono a tavola. Il naso di Gemat continuò a sanguinare per tutta la cena, la mascella di Teyeo era così dolorante che non riusciva neppure ad aprirla per mangiare. Nessuno fece alcun commento.

Silenziosi e compiti, quando ebbero entrambi quindici anni, Teyeo e la figlia di Rega Toebawe si innamorarono. L'ultimo giorno della visita di lei scapparono per tacito accordo e cavalcarono fianco a fianco per ore, troppo timidi per parlare. Lui le aveva dato da montare Tasi. Scesero di sella per abbeverare e far riposare i cavalli in una valletta selvaggia tra le colline. Si sedettero vicini, ma non troppo, accanto al ruscello silenzioso. «Ti amo,» disse Teyeo. «Ti amo,» disse Emdu, chinando la sua lustra faccia nera. Non si toccarono e neppure si guardarono. Cavalcarono di nuovo verso casa, oltre le colline, gioiosi, in silenzio.

All'età di sedici anni Teyeo fu mandato all'accademia ufficiali nel capoluogo della sua provincia. Là continuò a imparare e a praticare le arti della guerra e le arti della pace. La sua provincia era la più rurale del Voe Deo, i suoi costumi erano conservatori, la sua istruzione per certi versi anacronistica. Naturalmente gli furono insegnate le tecniche di guerra più moderne, che lo resero un pilota di velivolo aerodinamico di prima categoria e un esperto in telericognizione. Non gli furono però insegnate le idee moderne che accompagnavano le tecnologie in altre accademie. Apprese la poesia e la storia del Voe Deo, non la storia e la politica dell'Ekumene. La presenza aliena su Werel per lui rimaneva remota, teorica. La sua realtà era la vecchia realtà della classe veot, i cui uomini si ritenevano distinti da tutti gli uomini che non fossero soldati, e vicini, anzi fraterni, con tutti i soldati, che fossero possidenti, proprietà o nemici. Per quanto riguardava le donne, Teyeo riteneva assoluti i suoi diritti su di loro, e questo lo costringeva in modo inflessibile a una cavalleria responsabile verso le donne della sua classe e a un trattamento protettivo e compassionevole nei confronti delle donne schiave. Credeva che tutti gli stranieri fossero fondamentalmente nemici, dei miscredenti sleali, onorava Madonna Tual ma venerava il Signore Iddio Kamye. Non si aspettava giustizia, non cercava una ricompensa, i valori più alti per lui erano la competenza, il coraggio e il rispetto di sé. Sotto certi aspetti era completamente inadatto al mondo in cui stava per entrare, sotto altri ben preparato, visto che stava per passare sette anni su Yeowe combattendo una guerra in cui non c'era giustizia, nessuna ricompensa e neanche l'illusione di una vittoria finale.

Il rango, fra gli ufficiali veot, era ereditario. Teyeo entrò in servizio attivo come rega, il più alto dei tre gradi. Nessun livello di inettitudine o distinzione poteva abbassare o alzare il suo stato o la sua paga. L'ambizione materiale non serviva a nulla a un veot. Onore e responsabilità occorreva guadagnarseli, e lui li guadagnò in fretta. Amava il servizio militare, amava la vita e sapeva di essere bravo nel suo lavoro, obbediente con intelligenza ed efficiente nel comando. Era uscito dall'accademia con le lettere di raccomandazione più lusinghiere, ed essendo stato comandato nella capitale fu notato sia come ufficiale promettente che come giovane di bell'aspetto. All'età di ventiquattro anni era in perfetta forma, il suo corpo avrebbe fatto qualsiasi cosa gli avesse chiesto. La sua educazione austera gli aveva dato poco gusto per l'indulgenza ma un intenso apprezzamento del piacere, quindi i peccati e i divertimenti della capitale furono per lui una gradevole scoperta. Era riservato e alquanto timido, ma un compagno retto e allegro. Giovane e bello, insieme ad altri giovani come lui per un anno capì cosa voleva dire vivere una vita assolutamente privilegiata di divertimento sfrenato. L'intensità luminosa di quel divertimento contrastava con lo sfondo oscuro della guerra su Yeowe, con la rivolta degli schiavi sul pianeta Colon, che era in corso da quand'era nato e adesso si stava intensificando. Senza quello sfondo lui non sarebbe potuto essere così felice. Una vita intera di giochi e distrazioni non gli interessava. Quando giunsero gli ordini che lo assegnavano come pilota e comandante di divisione su Yeowe, la sua felicità fu pressoché completa.