«Non lo so.»
«Ora non siamo più in guerra,» disse sua madre, con la sua voce sottile e dolce.
«No,» fece Teyeo. «Non siamo più in guerra.»
«Ce ne sarà mai un'altra? Che ne pensi?»
Lui si alzò, camminò avanti e indietro per la stanza, poi sedette di nuovo sul ripiano coperto di cuscini, di fianco alla donna. Entrambi stavano seduti eretti, fermi, immobili tranne che per il movimento lieve delle mani di lei che cuciva, mentre le mani di Teyeo erano appoggiate una sull'altra, come gli avevano insegnato da quando aveva due anni.
«Non lo so,» disse. «È strano. È come se non ci fosse mai stata una guerra, come se non fossimo mai stati su Yeowe… la colonia, le rivolte, tutto quanto. Non ne parlano. Non è successo. Noi non combattiamo guerre. Questa è una nuova èra, dicono spesso sulla rete, è l'età della pace, della fratellanza fra le stelle. Così, siamo in pace con Yeowe adesso, siamo in pace con il Gatay e il Bambur e con i Quaranta Stati? Siamo in pace con le nostre proprietà? Non mi sembra abbia senso. Non so quello che intendono, non so dove andrò a stare.» Anche la sua voce era ferma e tranquilla.
«Non penso ti fermerai qui, non ancora,» disse lei.
Dopo un po' lui disse, «Pensavo… ai bambini».
«Naturalmente, quando sarà il momento.» Gli sorrise. «Tu non riuscivi mai a stare fermo per più di mezz'ora… Aspetta, aspetta e vedrai.»
Sua madre aveva ragione, naturalmente, eppure quello che lui aveva visto sulla rete e in città sfidava la sua pazienza e il suo orgoglio. Ormai sembrava che fare il soldato fosse una disgrazia. I comunicati del governo, i notiziari, le analisi che costantemente definivano l'esercito e anche la classe dei veot come fossili di un lontano passato. Costavano molto ed erano inutili, erano l'ostacolo principale all'ammissione del Voe Deo nell'Ekumene. La sua stessa inutilità gli fu chiara quando, alla sua richiesta di assegnazione, risposero con un'estensione infinita del suo congedo a mezza paga. All'età di trentadue anni sembrava che gli dicessero che era ormai superato.
Prospettò di nuovo a sua madre la decisione di accettare quella situazione, di rassegnarsi e cercare una moglie. «Parla con tuo padre,» gli suggerì la donna, e lui così fece. Suo padre gli disse, «Naturalmente il tuo aiuto è benvenuto, ma io riesco a far andare avanti la fattoria abbastanza bene da solo per un altro po'. Tua madre pensa che faresti meglio ad andare alla capitale, presso il comando. Non possono ignorarti se sei là. Dopo tutto quel che è successo, dopo sette anni di combattimento… e con il tuo curriculum…»
Teyeo sapeva che quello non valeva più niente. Ma era chiaro che alla fattoria non avevano bisogno di lui, e probabilmente riusciva solo a dare sui nervi a suo padre con le sue idee di cambiamenti, e di questo e di quello. Avevano ragione, doveva andare nella capitale e scoprire da solo che parte poteva giocare nel nuovo mondo di pace.
I suoi primi sei mesi laggiù furono duri. Non conosceva nessuno al comando o in caserma, la sua generazione era morta o invalida, oppure congedata a mezza paga. Gli ufficiali più giovani, che non erano stati su Yeowe, gli sembravano una combriccola abbottonata, sempre impegnata a discutere di soldi e di politica. Piccoli affaristi, li giudicava in privato. Sapeva che avevano paura di lui, del suo curriculum, della sua reputazione. Che lo volesse o no, Teyeo ricordava loro che c'era stata una guerra che Werel aveva combattuto e perso, una guerra civile, la loro razza che combatteva contro se stessa, classe contro classe. Quelli volevano archiviare il caso come una baruffa senza significato su un altro mondo, che non aveva niente a che vedere con loro.
Teyeo si aggirava per le strade della capitale, guardava le migliaia di schiavi correre di qua e di là per seguire gli interessi dei possidenti, e si domandava che cosa stessero aspettando.
«L'Ekumene non interferisce con gli affari sociali, culturali ed economici della gente,» ripetevano i portavoce del governo e dell'ambasciata. «Il pieno diritto di appartenenza a ogni nazione o persona che lo desideri è condizionato all'assenza, o alla relativa rinuncia, di certi metodi specifici e strumenti bellici,» e seguiva la lista di armi terribili, la maggior parte delle quali per Teyeo erano meri nomi. Solo alcuni erano invenzione del suo stesso paese: la bio-bomba, come la chiamavano, e la neuronica.
Personalmente era d'accordo col giudizio dell'Ekumene su quegli strumenti. Apprezzava la loro pazienza nell'attesa che il Voe Deo e il resto di Werel dimostrassero non solo di rispettarne il bando ma accettassero anche il principio. Però detestava profondamente la loro condiscendenza. Si arrogavano l'autorità di giudicare su qualunque cosa riguardasse Werel, osservando dall'alto. Meno parlavano della divisione delle classi, e più chiara era la loro riprovazione. «La schiavitù è un fenomeno molto raro nei mondi dell'Ekumene,» dicevano i loro libri, «e sparisce del tutto con la partecipazione piena alla politica ecumenica». Era quello che l'ambasciata aliena stava veramente aspettando?
«Santo cielo!» disse un giovane ufficiale – molti di loro erano Tualiti, oltre che uomini d'affari. «Gli Alieni ammetteranno i polverosi prima di ammettere noi!» Stava borbottando indignato, come un vecchio rega paonazzo in volto di fronte a uno schiavo insolente. «Yeowe, un dannato pianeta di selvaggi, di tribù regredite nella barbarie… preferiscono quelli a noi!»
«Hanno combattuto da valorosi,» osservò Teyeo, sapendo che non avrebbe dovuto dire quello che aveva appena detto, ma non gli piaceva sentir dare del polveroso agli uomini e alle donne contro cui aveva combattuto. Ribelli, nemici, proprietà, questo sì.
Il giovane lo squadrò ben bene, e dopo un momento gli disse, «Suppongo che tu gli voglia bene, eh, ai polverosi?»
«Ne ho ammazzati più che potevo,» replicò Teyeo con voce cortese, poi cambiò discorso. Il giovane, anche se nominalmente superiore di Teyeo al comando generale, era un oga, il rango più basso dei veot, e sarebbe stato maleducato snobbarlo ulteriormente.
Quelli erano dei presuntuosi, e lui era permaloso. I bei tempi andati in amicizia e allegria erano un ricordo fievole. I capi del comando ascoltarono la sua richiesta di essere messo di nuovo in servizio attivo e lo schiaffarono da un dipartimento all'altro. Non poteva vivere in caserma, doveva trovare un appartamento, come un civile. La sua mezza paga non gli permetteva di indulgere nei piaceri costosi della città. Mentre aspettava di essere ricevuto da questo o da quell'ufficiale, passava le giornate nella biblioteca in rete dell'accademia degli ufficiali. Sapeva che la sua educazione era incompleta e superata. Se il suo paese si fosse unito all'Ekumene, per dimostrarsi utile doveva saperne di più sui sistemi di pensiero alieni e sulle nuove tecnologie. Poco sicuro di quello che doveva sapere, si muoveva a casaccio nel complesso della rete, meravigliato dalle infinite informazioni accessibili, sempre più consapevole di non essere un intellettuale o uno studioso, e che non avrebbe mai capito le menti aliene. Eppure, con testardaggine, si sforzava di farcela.
Un tale dell'ambasciata teneva sulla rete pubblica un corso introduttivo sulla storia dell'Ekumene. Teyeo si unì al gruppo e partecipò a otto o dieci lezioni e dibattiti, fermo e deciso, con le sole mani che si muovevano appena mentre prendeva appunti metodici. L'insegnante, originario di Hain, che traduceva il suo nome terribilmente lungo in lingua hainese come "Vecchia Musica", guardava spesso Teyeo e cercava di coinvolgerlo nella discussione. Alla fine gli chiese di trattenersi dopo la lezione. «Mi piacerebbe fare due chiacchiere con te, rega,» disse quando gli altri avevano già finito.
Si incontrarono in un caffè. Si incontrarono ancora. Teyeo non gradiva le maniere dell'Alieno, che trovava troppo espansive. Non si fidava della sua mente veloce e scaltra. Era convinto che Vecchia Musica si servisse di lui, che lo studiasse come un esemplare del veot, del soldato, probabilmente del barbaro. L'Alieno, sicuro della sua superiorità, era indifferente alla freddezza di Teyeo, ignorava la sua diffidenza, insisteva nell'aiutarlo con informazioni e consigli, e ripeteva spudoratamente le domande a cui Teyeo evitava di rispondere. Una di queste era, «Perché te ne stai qui a mezza paga?»