«È roba da donna,» disse lei. «Gli venga un accidente, che bastardi! Uno specchio!» Lanciò l'oggetto dall'altra parte della stanza. «Naturalmente non riesco a sopravvivere un giorno senza guardarmi allo specchio. Al diavolo!» Lanciò tutto, tranne le paste, sapendo che avrebbe preso gli assorbenti e se li sarebbe messi sotto il materasso e li avrebbe usati, in caso di necessità, se fossero dovuti restare là per molto tempo, Dio ce ne scampi! Quanto sarebbe stato? Dieci giorni o di più? «Dio mio,» ripeté. Si alzò, raccolse tutto, mise lo specchio, il contenitore, la caraffa e le bucce di frutta dell'ultimo pasto su uno dei vassoi, che appoggiò vicino alla porta. «Rifiuti,» disse lei in voedeano. S'era appena accorta che la sua sfuriata era stata fatta in un'altra lingua, probabilmente la lingua di Alterra. «Hai una pallida idea,» disse, sedendosi di nuovo sul materasso, «di quanto rendete difficile a una donna essere una donna? Sareste capaci di convincere una signora a desiderare di cambiar sesso!»
«Penso che le loro intenzioni fossero buone,» disse Teyeo. Lei si accorse che non c'era la minima ombra di scherno o di divertimento nella sua voce. Se lui si stava divertendo della sua vergogna, si vergognava di mostrarlo. «Penso che siano dei principianti,» aggiunse.
Dopo un po' lei disse, «Ciò potrebbe essere un male».
«Forse,» disse lui. Teyeo si era seduto e si toccava il bernoccolo sulla testa. I suoi capelli duri e ruvidi erano tutti incrostati di sangue. «Rapimento,» aggiunse. «Richiesta di riscatto. Non sono assassini, non avevano delle pistole. Non sarebbero potuti entrare con le pistole. Anch'io ho dovuto cedere la mia.»
«Vuoi dire che non sono quelli contro cui eri stato avvertito?»
«Non lo so.» Le sue esplorazioni gli scatenarono un tremito di dolore, perciò desistette. «Abbiamo davvero poca acqua?»
Lei gli portò un'altra tazza piena. «Troppo poca per lavarsi. Cosa ce ne facciamo di quel maledetto stupido specchio quando quello che ci serve è l'acqua?»
Lui la ringraziò, bevve e si risedette, centellinando quello che era rimasto nella tazza. «Il loro piano non prevedeva la mia cattura,» disse.
Lei ci pensò su e annuì. «Avevano paura che li identificassi?»
«Se avessero un posto per me non mi metterebbero qui con una signora.» Parlava senza la minima ironia. «Questo buco era pronto per lei. Dovremmo trovarci da qualche parte della città.»
Solly annuì. «La scarrozzata in macchina è durata meno di mezz'ora, ma avevo la testa in un sacco.»
«Hanno mandato un messaggio al palazzo. Non hanno avuto risposta o forse ne hanno avuta una poco soddisfacente. Vogliono un messaggio da parte sua.»
«Per convincere il governo che mi hanno veramente? Perché hanno bisogno di convincerlo?»
Entrambi rimasero in silenzio.
«Mi dispiace,» disse lui. «Non riesco a pensare.» E si sdraiò. Sentendosi stanca e turbata dopo l'aumentata secrezione di adrenalina, Solly gli si sdraiò a fianco. Aveva fatto un cuscino con la gonna da dea. Lui non ne aveva. La coperta copriva le gambe di entrambi.
«Un cuscino,» disse lei, «più coperte e sapone. Che altro?»
«La chiave,» mormorò lui.
Rimasero distesi fianco a fianco nel silenzio e nella luce debole e costante.
Il giorno dopo, circa alle otto di mattina, secondo l'orologio di Solly, i patrioti tornarono nella stanza, in quattro. Due rimasero a guardia della porta con le pistole spianate, gli altri due stavano in piedi scomodamente in quel po' di spazio rimasto, guardando i loro prigionieri, entrambi seduti a gambe incrociate sul materasso. Il nuovo portavoce parlava il voedeano meglio degli altri. Disse che gli dispiaceva arrecare tanto disturbo alla signora, che avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per farla stare più comoda. Lei doveva essere tanto paziente da scrivere un messaggio autografo per il preteso re, spiegando che l'avrebbero lasciata libera e incolume appena il re avesse comandato al consiglio di rescindere il loro trattato con il Voe Deo.
«Non lo farà mai,» disse lei. «Non glielo lasceranno fare.»
«Per favore, non discuta,» disse l'uomo con tono secco e convulso. «Questo è il materiale per scrivere, questo è il messaggio,» e posò i fogli e la penna sul materasso, con un gesto nervoso, come se avesse paura di avvicinarsi a lei.
Solly era consapevole che Teyeo si teneva in disparte, seduto immobile con la testa china, gli occhi bassi. Gli uomini lo ignoravano.
«Se vi scrivo questo, voglio acqua, molta acqua, e sapone e coperte e carta igienica e cuscini e un dottore. E voglio che qualcuno venga subito appena busso a quella porta, e voglio dei vestiti decenti, vestiti caldi, vestiti da uomo.»
«Niente dottore,» disse l'uomo. «Scriva, per favore. Ora!» Era nervoso, irrequieto. Lei non osò insistere. Lesse il messaggio, lo copiò nella sua larga grafia infantile, perché scriveva a mano raramente, e lo consegnò al portavoce. Questi gli diede un'occhiata e senza una parola fece uscire gli altri uomini, poi chiusero la porta.
«Dovevo rifiutarmi?»
«Non penso,» disse Teyeo. Sì alzò, si stirò, poi si sedette di nuovo, in preda alle vertigini. «Sa trattare bene.»
«Vedremo quello che otterremo. Dio mio, cosa sta succedendo?»
«Forse il Gatay non ha intenzione di sottostare a queste richieste, ma quando il Voe Deo e il suo Ekumene lo scopriranno, faranno più pressione sul Gatay.»
«Vorrei che si sbrigassero, immagino che il Gatay sia terribilmente imbarazzato e cerchi di salvarsi la faccia coprendo l'intera faccenda. È possibile? Quanto possono tenerla nascosta? E la tua gente? Non ti cercheranno?»
«Certamente,» rispose Teyeo alla sua maniera gentile.
Era strano come il suo modo di fare così rigido, le sue maniere che l'avevano sempre tenuta lontana da lui, tagliata fuori, quaggiù avessero tutto un altro effetto. Il suo riserbo e il formalismo la rassicuravano sul fatto di fare ancora parte del mondo al di fuori di quella cella, il mondo da cui provenivano e a cui sarebbero tornati, un mondo dove la gente viveva una lunga vita.
Quanto importava una vita lunga? Non lo sapeva. Non ci aveva mai pensato prima. Ma questi giovani patrioti vivevano in un mondo di vite brevi. Bisogni e violenza, emergenza e morte. Per che cosa? Per fanatismo, odio, sete di potere.
«Quando se ne vanno,» disse lei sottovoce, «mi viene davvero paura.»
Teyeo si schiarì la gola e disse, «Anche a me».
Esercizi.
«Afferra… no, tieniti saldo! Non sono fatta di vetro! Adesso!»
«Ah!» fece lui con un sorriso eccitato, mentre Solly gli mostrava la mossa, e a sua volta lui la ripeté, staccandosi da lei.
«D'accordo. Ora tu aspetti qui.» Tunff. «Visto?»
«Ahi.»
«Scusa, mi dispiace, Teyeo, non pensavo alla tua testa, stai bene? Mi dispiace davvero.»
«Oh, Kamye,» si lamentò lui, sedendosi e tenendosi fra le mani la testa bruna e sottile. Respirò a fondo varie volte. Lei si inginocchiò, pentita e ansiosa.
«Non è…» disse lui e respirò ancora. «Non è leale.»
«No, è chiaro che non lo è. È aiji. Tutto è lecito in amore e in guerra, dicono su Terra. Davvero, mi dispiace, mi dispiace terribilmente. È stato così stupido da parte mia.»
Lui si mise a ridere, una risata disperata. Scosse la testa, la scosse di nuovo e disse, «Mostramelo, non capisco come hai fatto».
Esercizi.
«Cosa fai con la tua mente?»
«Niente.»
«La lasci solo vagare?»
«No. Siamo forse esseri diversi, io e la mia mente?»
«Allora non ti focalizzi su qualcosa? Vaghi soltanto?»
«No.»
«Allora non la lasci vagare.»