Lui ascoltò con attenzione, ma parlò dopo una lunga pausa. «Abbiamo imparato a serrare i ranghi… sempre. Hai ragione tu, immagino, è uno spreco di energia. Tu hai una mentalità aperta.»
Quelle parole gli saranno costate molto, pensò lei, non come le sue, che le erano uscite come se niente fosse. Lui parlava come se le frasi gli uscissero dal profondo delle ossa. Era una specie di complimento solenne che lei accettò con gratitudine, perché più i giorni passavano più lei si accorgeva occasionalmente di quanta fiducia avesse perso e continuava a perdere. Fiducia in se stessa. Fiducia nel fatto che sarebbero stati riscattati, salvati, che sarebbero usciti da quella cella, che ne sarebbero usciti vivi.
«La guerra era molto brutale?»
«Sì,» rispose lui, «non posso… non sono mai stato in grado di… di percepirla. È solo un lampo…» Teneva le mani alzate come per coprirsi gli occhi. Poi le lanciò un'occhiata sospettosa. Il suo autorispetto apparentemente incrollabile era vulnerabile in molti punti, e adesso lei lo capiva.
«Cose di Kheakh che non sapevo neanche di aver visto. Avvengono così,» disse lei dopo un po'. «Di notte. Per quanto tempo ci sei stato?»
«Sette anni.»
Lei sobbalzò. «Ti è andata bene?»
Era una domanda bizzarra, che non le era uscita nel modo in cui intendeva, ma lui rispose comunque. «Sì,» disse. «Sempre. Gli uomini con cui sono arrivato là sono morti. Quasi tutti nei primi anni. Abbiamo perso trecentomila uomini su Yeowe, non ne hanno mai parlato, due terzi dei veot del Voe Deo sono stati uccisi. Se sopravvivere si può considerare una fortuna, allora io sono stato fortunato.» Si guardò le mani strette sul proprio corpo. Dopo un po', Solly disse con voce suadente, «Spero che tu lo sia ancora».
Lui non rispose.
«Quanto è passato?» le chiese. E lei rispose, schiarendosi la gola, dopo un'occhiata automatica all'orologio, «Sessanta ore».
I loro rapitori non erano arrivati il giorno prima a quella che era ormai diventata l'ora classica, alle otto del mattino, e neppure quella mattina.
Senza più niente da mangiare e ormai privi d'acqua, erano diventati sempre più silenziosi e inerti. Erano passate delle ore senza che nessuno aprisse bocca. Lui aveva smesso di chiedere l'ora.
«È orribile,» disse lei «È così orribile. Continuo a pensare…»
«Non ti abbandoneranno,» disse lui. «Sentono la responsabilità.»
«Perché sono una donna?»
«In parte.»
«Merda.»
Lui si ricordò che in passato le sue volgarità lo offendevano.
«Sono stati presi, ammazzati, nessuno si è preoccupato di scoprire dove ci tenevano,» disse lei.
Avendo pensato la stessa cosa centinaia di volte, lui non replicò.
«Ma è un posto così orrendo in cui morire,» disse lei. «È sordido. Io puzzo, puzzo da venti giorni, ora mi sento la diarrea perché ho paura ma non riesco a cagare. Ho sete e non posso bere.»
«Solly,» disse Teyeo con tono fermo. Era la prima volta che la chiamava per nome. «Stai calma, tieniti salda.»
Lei lo guardò.
«Tieniti salda a che cosa?»
Lui non rispose subito, e lei disse, «Tu non ti fai nemmeno toccare!»
«Non intendevo a me,» disse lui.
«E allora a che cosa? Non c'è niente.» Lui temeva che sarebbe scoppiata in lacrime, ma invece Solly si alzò, prese il vassoio vuoto e lo sbatté contro la porta fino a che non si spaccò in tanti frammenti di vimini e polvere. «Venite, Dio vi maledica, venite, bastardi!» urlava. «Fateci uscire di qua!»
Dopodiché si sedette di nuovo sul materasso. «Bene,» disse.
«Ascolta,» disse Teyeo.
Avevano teso l'orecchio altre volte, ma nessun rumore di città era mai arrivato in quella cella, ovunque si trovasse. Stavolta era qualcosa di più grande. Esplosioni, pensarono entrambi.
La porta tremò. Erano entrambi in piedi quando si aprì, non con il solito fragore ma lentamente. Un uomo aspettò fuori, due entrarono, uno dei quali armati. Non l'avevano mai visto prima. L'altro, il giovane dalla faccia dura che chiamavano il "portavoce", sembrava che avesse corso o lottato, era tutto coperto di polvere, stremato, un po' confuso. Chiuse la porta. Aveva dei fogli in mano. I quattro si fissarono in silenzio per un istante.
«Acqua,» disse Solly. «Bastardi!»
«Signora,» disse il portavoce, «mi dispiace.» Non la stava nemmeno ascoltando. I suoi occhi non erano rivolti a lei, stavano guardando Teyeo per la prima volta. «Ci sono molti disordini,» disse lui.
«Chi sta combattendo?» chiese Teyeo, sentendosi scivolare nel tono uniforme dell'autorità, e il giovane gli rispose automaticamente, «Voe Deo, hanno mandato delle truppe, dopo il funerale hanno detto che avrebbero mandato truppe se non ci fossimo arresi. Sono arrivati ieri, attraversano la città uccidendo. Conoscono tutti i centri dei Vecchi Credenti, alcuni dei nostri». Aveva una sfumatura nella voce, come di accusa e di perplessità.
«Quale funerale?» disse Solly.
Quando lui non rispose Teyeo ripeté, «Quale funerale?»
«Il funerale della Signora, il vostro. Ecco, ho portato ritagli di giornale. Un funerale di stato, hanno detto che siete morti nell'esplosione.»
«Ma che esplosione?» fece Solly con la voce roca e secca, e questa volta l'uomo le rispose, «Alla festa. I Vecchi Credenti. Il fuoco di Tual. C'erano degli esplosivi, solo che sono saltati troppo presto. Noi conoscevamo i loro piani. L'abbiamo salvata, Signora,» disse il portavoce, girandosi d'improvviso verso di lei con quello stesso tono accusatorio.
«Salvata? Bastardo!» gridò lei, e le labbra secche di Teyeo si aprirono in una risata sbigottita che soffocò immediatamente.
«Dammi quella roba,» disse. Il giovane gli consegnò i fogli.
«Portaci dell'acqua,» disse Solly.
«State qui per favore, abbiamo bisogno di parlare,» disse Teyeo, facendo istintivamente leva sul suo ascendente. Si sedette sul materasso con i fogli di giornale in mano. Nel giro di pochi minuti lui e Solly si studiarono i resoconti della violenta sommossa del Giorno del Perdono: la morte dolorosa dell'inviato deH'Ekumene in seguito a un attentato terrorista perpetrato dal culto dei Vecchi Credenti, il breve accenno alla morte di una guardia dell'ambasciata del Voe Deo nell'esplosione che aveva ucciso oltre settanta tra preti e passanti, la lunga descrizione dei funerali di stato, i resoconti di disordini, terrorismo, rappresaglie, poi i comunicati del palazzo che accettava con gratitudine le offerte di assistenza da parte del Voe Deo per estirpare la mala pianta del terrorismo…
«Così,» disse alla fine, «non avete avuto risposta dal palazzo. Perché ci avete tenuti in vita?»
Solly aveva l'aspetto di chi trovava che quella domanda non fosse molto delicata, ma il portavoce rispose con la stessa indelicatezza, «Pensavamo che il vostro paese vi avrebbe riscattato».
«E lo faranno,» disse Teyeo, «solo che non hai informato il governo del fatto che siamo vivi. Se tu…»
«Aspetta,» disse Solly toccandogli la mano. «Aspetta un momento, voglio pensarci bene. È meglio non lasciare l'Ekumene fuori dalla discussione. Ma riuscire a contattarli è la parte più difficile.»
«Se ci sono truppe del Voe Deo nei paraggi, tutto quello di cui ho bisogno è fare arrivare un messaggio a qualcuno del mio comando o alle guardie dell'ambasciata.»
La mano di Solly era ancora appoggiata sulla sua, esercitando una cauta pressione. Il Nunzio agitò l'altra mano, rivolgendosi al portavoce col dito puntato. «Tu hai rapito l'inviato deH'Ekumene, bastardo, e adesso devi pensare a come sbrogliare tutto, e anch'io, perché non voglio essere eliminata dal tuo piccolo governo maledetto solo perché sono rimasta viva mettendoli in imbarazzo. Dove vi state nascondendo? C'è qualche possibilità, se non altro, di uscire da questa stanza?»