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— In ogni caso — continuò Kallimer, — per quello che riguarda la ragazza, il figlio di Normandy era venuto a sapere alcune cose da lei. Molta agitazione a Nyack, chiacchiere, malcontento, cose di questo genere. Lo disse a suo padre.

«Non era l’unico luogo in cui sapevamo dell’esistenza di questi fermenti, ma era l’unica traccia in nostro possesso. Fu deciso che un processo, con un membro particolarmente discusso del popolo come Imputato, avrebbe fatto venire a galla il fenomeno, permettendoci così di valutarne l’importanza.

Si fermò e scosse il capo. — Ed è stato così. Non avevamo la più pallida idea che fosse così radicato e così vicino ad esplodere. È stato per pura fortuna che l’abbiamo scoperto.

Joyce fissò con fermezza Kallimer sperando che il suo viso risultasse calmo. — La ragazza non era colpevole.

Kallimer contrasse la bocca; — Non dell’imputazione per cui l’abbiamo processata, no. Il figlio di Normandy l’ha accusata per ordine del padre. Voi siete stato mandato a trattare il caso perché prevedevamo che ci avreste fornito il verdetto che volevamo. Io sono venuto come osservatore.

Joyce annuì lentamente. — Credo di capire, ora — disse.

Esattamente a mezzogiorno, Samson Joyce era ai piedi degli alti gradini dietro il banco di onice dei Giudici della Città di New York.

— Pronto, Giudice? — gli chiese Kallimer.

— Sì — rispose Joyce. Rimise la pistola da cerimonia nella fondina decorata.

Kallimer lo guardò di nuovo e scosse il capo. — Giudice, se non fossimo in pubblico, vi stringerei la mano. Avete toccato il fondo, ma siete risalito rapidamente.

Il labbro inferiore di Joyce si piegò di lato. — Grazie, Giudice — disse, e si preparò a salire i gradini con le gambe indolenzite.

Anche Emily era rimasta perplessa quel mattino, mentre lui stava per uscire.

— Sam, non ti capisco — aveva detto preoccupata, guardandolo mentre si rialzava con una smorfia di dolore dopo essersi infilato gli stivali.

Lui le sorrise, ignorando il dolore alle gambe. — Perché?

— Sono due notti che non dormi, ormai. So che ieri è successo qualcosa di nuovo.

Lui si chinò a baciarla, continuando a sorridere.

— Sam, che cosa c’è? — chiese, con le lacrime agli occhi. — Sei troppo calmo. E non vuoi parlarmi.

Lui scosse le spalle. — Forse te ne parlerò più tardi.

I gradini gli parvero incredibilmente alti, quel giorno, anche se era abituato a salirli spesso. Raggiunse finalmente il centro del banco e si appoggiò al parapetto. Guardando in basso vide gli Imputati in piedi davanti al banco. Erano stati dati loro nuovi vestiti, cercando di nascondere le fasciature. Erano un gruppo cupo e triste di uomini e di donne.

Guardò dall’altra parte della piazza verso i palchi delle Prime Famiglie, affollati dagli uomini di famiglia con le loro signore, affiancati dai palchi delle famiglie minori. La folla era numerosa come al solito, e vi era un duplice schieramento di Guardie Civili.

Gli Imputati, le Prime Famiglie, le famiglie minori, il popolo, ed anche alcune delle Guardie Civili stavano tutti guardando lui. Perché anche se oggi un numero maggiore di Giudici avrebbe condotto il Processo con il relativo rituale, Joyce era l’unico ad indossare l’Abito.

Quando era tornato da Emily la sera prima, guardando il suo viso calmo, lei gli aveva chiesto che cosa era successo.

— Sono stato alla Cappella, dopo l’udienza — le avevo detto, ed ora gli sembrava di essere di nuovo là.

Lowery, uno dei Giudici Aggiunti di Manhattan, cominciò a leggere i capi di accusa. Solo in quel momento Joyce si rese conto che c’erano stati gli applausi per lui e i suoi Giudici Aggiunti, e che aveva automaticamente dato ordine a Lowery di procedere.

Ascoltò l’eco solenne delle parole nella piazza.

Questo era il Processo. Ancora una volta, gli uomini stavano di fronte al Messire e, ancora una volta, i Giudici si sforzavano di agire come veri strumenti della Sua giustizia.

Trent’anni di processi l’avevano portato qui, con quell’Abito. In tutto questo periodo, il Messire aveva sempre avuto un’ottima opinione di lui.

Ma Kallimer e Normandy avevano piantato l’amaro seme del dubbio nella sua mente, benché lui li conoscesse per quelli che erano, tuttavia il dubbio rimaneva. Se la ragazza era innocente, perché gli era stato permesso di eseguire la sua ingiusta sentenza contro di lei?

Kallimer aveva dato una risposta, ma Kallimer gli aveva già dato fin troppo risposte. Fu solo quando si ritrovò nella Cappella, fra tutte quelle candele tremolanti, che capì quale sarebbe stata la prova.

Se non c’era nessun Messire (il pensiero lo sconvolgeva, ma vi si aggrappò per amor di ragionamento), allora ogni particella della sua vita era falsa, e l’ideale che aveva servito era solo polvere.

Se c’era un Giudice Supremo (e quante volte, in trent’anni allo scoccare di mezzogiorno aveva provato una sensazione di comunione con il suo Giudice), allora Joyce sapeva a chi rivolger il suo appello.

Guardò nella piazza, verso il palco di Joshua Normandy, e rifletté che Normandy non poteva nemmeno immaginare l’importanza di ciò che era sotto processo quel giorno.

Infilò una mano sotto l’abito e strinse il calcio della sua Grennell. Era la sua arma, Lo aveva servito, come lui aveva servito il Messire; con efficienza, senza domande.

Ora veniva la prova; qui, dove gli uomini pregavano il Messire per il supremo, infallibile giudizio.

Il Messire conosceva i colpevoli e gli innocenti; puniva gli uni e proteggeva gli altri. Joyce era solo il Suo strumento e il Processo l’occasione perché il Suo giudizio si manifestasse.

Sussurrò fra di sé: — Prego perché il mio verdetto sia giusto, ma se non lo fosse, prego affinché la giustizia prevalga in questo processo. — Estrasse la pistola.

Si voltò con gesto rapido e sparò in direzione di Kallimer. Sparò attraverso la piazza a Joshua Normandy. Poi cominciò a sparare a casaccio sui palchi delle Prime Famiglie, e vide Normandy cadere a terra, sentì il tonfo del corpo di Kallimer che ruzzolava lungo i gradini, sapendo che, avesse ragione o torto, e qualunque cosa fosse successa ora, il Messire almeno non aveva revocato il suo verdetto.

Questa era la Verità per cui era vissuto.