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Vi erano individui degni di matrimonio e individui che non lo erano. Alcuni con le capacità mentali per governare, amministrare, giudicare e scegliere i malati da guarire e altri che non avevano tali capacità. Il concetto che tutti gli uomini fossero uguali, era stato da lungo tempo screditato.

I crudi fatti della vita dimostravano che il talento e le capacità mentali erano ereditari. Alcuni esseri umani erano più adatti di altri a giudicare che cosa fosse meglio per l’intera razza umana, ma con il matrimonio senza restrizioni, queste qualità superiori correvano i! grave rischio di indebolirsi.

Cercare di causare l’estinzione della gente comune sarebbe stato impossibile, il mare non si prosciuga con la carta assorbente. Ma era possibile costruire delle dighe.

Dalle ceneri e dalle fiamme del Ventunesimo Secolo, Il Messire aveva dato una risposta, e la Legge. La Legge era la diga che separava la gente comune dalle sorgenti costituite dalle famiglie.

Attraverso i suoi Profeti, Il Messire aveva ordinato le Prime Famiglie ed esse a loro volta ne avevano scelte delle altre. A tutte queste venne dato il sacramento del matrimonio e l’eredità del nome e delle proprietà per i loro figli. Per secoli, le famiglie si erano conservate; i loro componenti avevano sempre scelto mogli e mariti tra individui del loro stesso genere.

Non era necessario impedire al resto del popolo di avere figli. Il lavoro di tutti i giorni non richiedeva né talento né intelligenza superiore.

Da molti anni ormai non si era più resa necessaria l’applicazione forzata della Legge del Messire. Non che la gente fosse empia o eretica. Piuttosto, come esseri umani, erano inclini a commettere degli errori. Nelle loro menti non disciplinate, il significato e lo scopo della Legge a volte perdevano chiarezza.

Ma nonostante questa naturale condiscendenza, se il giovane Normandy fosse stato più sciocco e non avesse dato peso all’incidente, alcuni membri del popolo avrebbero potuto erroneamente essere indotti a ritenere che tale comportamento fosse ammissibile. Si sarebbe creato un precedente. E se in seguito dopo quello, si fosse lasciato impunito qualche altro errore, ci si sarebbe allontanati di un altro passo dalla Legge. E poi un altro passo ancora…

L’anarchia. E la diga sarebbe stata ulteriormente erosa.

Joyce guardò l’Imputata con aria torva. Avrebbe preferito che non fosse una ragazza.

Blanding finì di leggere i capi d’accusa e si fermò, rivolgendo un cenno a Joyce.

Joyce abbassò ancora lo sguardo sull’Imputata, in parte per studiarla con maggiore attenzione, ed in parte perché questo conferiva importanza al suo giudizio.

Il tremito della ragazza confermò la sua prima impressione. Non aveva senso andare per le lunghe. La conclusione più rapida era la migliore.

— Grazie, Giudice — disse a Blanding. Si rivolse all’Imputata.

— Ragazza, abbiamo sentito le accuse. Il Giudice Blanding ripeterà ora il cerimoniale del Processo, in modo che nella tua mente non rimangano dubbi riguardo ai tuoi diritti.

— Il Messire è tuo giudice — le disse Blanding in tono solenne. — Il verdetto che qui emetteremo non è definitivo. Se desideri appellarti, è a Lui che devi rivolgerti.

La folla si agitò, come sempre giunti a questo punto. Joyce vide molti toccare l’immagine che portavano al collo.

— Prenderemo una decisione sul tuo caso, e ognuno di noi valuterà separatamente il grado della tua colpevolezza. Quando avremo raggiunto un verdetto, le nostre opinioni individuali stabiliranno quale grado di appello terreno ti sarà concesso.

Joyce lanciò una rapida occhiata alla ragazza. Stava guardando Blanding, con le mani strette intorno alla ringhiera del suo banco, e con le braccia tese.

— Se il tuo caso è stato travisato di fronte a questa Corte, Il Messire interverrà in tuo favore. Se sei innocente, non hai nulla da temere.

Finita la sua esposizione, fece una pausa e guardò al di sopra delle teste della folla.

Joyce fece un passo indietro e vide che Pedersen e Kallimer stavano guardando le sue mani, nascoste alla vista della folla. Lui segnalò un verdetto di «Completamente Colpevole». Dare alla ragazza un’arma con cui difendersi sarebbe stato ridicolo. Se per caso le fosse riuscito di sparare, l’avrebbe senz’altro mancato, e magari avrebbe ferito qualcuno tra il pubblico. Era meglio liquidare il caso rapidamente, e con efficienza. La cosa doveva finire qui.

Con sua grande sorpresa, vide che Kallimer gli rispondeva con il segnale di «riesaminare».

Joyce lo guardò. Si sarebbe aspettato una cosa simile da Blanding, ma un uomo dell’intelligenza di Kallimer avrebbe dovuto trarre le giuste conclusioni.

Forse l’Associazione Forense aveva agito saggiamente assegnandogli questo processo invece di lasciare che fosse qualche giudice minore ad occuparsene. Aveva avuto dei dubbi, ma questo li cancellava.

Senza guardare Kallimer, ma mostrandogli chiaramente la sua rabbia con i muscoli della mascella contratti, Joyce segnalò «Categorico!».

Kallimer sospirò impercettibilmente, e la sua «acquiescenza» venne confermata dalle dita piegate, come se volesse trasmettere nel contempo la propria rassegnazione.

Ancora furioso, ma cercando di controllare la voce, Joyce tornò a guardare di fronte a sé.

— Giudice Blanding, avete raggiunto un verdetto? — Mosse leggermente la spalla sinistra.

Blanding, dal suo posto sulla tribuna, si voltò e vide il segnale.

— Riconosco l’Imputata completamente colpevole, signor Giudice — disse.

Nell’assoluto silenzio che sempre calava sulla piazza durante la proclamazione di un verdetto, Joyce si rivolse a Pedersen.

— Completamente colpevole, signor Giudice.

Joyce si voltò verso Kallimer.

Le labbra dell’uomo si contrassero in un debole sorriso sardonico. — Completamente colpevole, signor Giudice.

Joyce guardò l’Imputata. — Anch’io ti riconosco completamente colpevole, secondo l’accusa — disse. — Non ti sarà concessa un’arma con cui fare un appello terreno. Puoi solo rimetterti alla clemenza del Messire. Prego che il nostro verdetto sia giusto.

Fece un passo indietro, mentre un nuovo scroscio di applausi si levava dai palchi delle famiglie, lieto di aver fatto del suo meglio. Fino ad ora era stato un buon processo. Anche la ribellione di Kallimer era stata visibile solo sul palco. Per quello che ne sapeva la folla, l’unanimità e la maestà della giustizia erano state rispettate. Si voltò e scese adagio i gradini della piattaforma nel silenzio profondo che avvolgeva la piazza.

Era stato un buon processo. L’Associazione Forense l’avrebbe descritto minuziosamente e ne avrebbe sottolineato l’importanza negli Archivi Riservati e, a distanza di generazioni, i Giudici più anziani avrebbero letto il resoconto, notando come l’azione di Joyce avesse stroncato l’attacco incipiente a questa cultura e civiltà.

Ma non era questo il pensiero più importante nella mente di Joyce. Quello che avrebbero detto gli uomini a secoli di distanza, non aveva un grande significato per lui. Quello che faceva accelerare sempre più i suoi battiti mentre scendeva i gradini, girava intorno all’angolo del palco ed entrava nella piazza, era la consapevolezza che i suoi contemporanei (gli altri Giudici dell’Associazione Forense, uomini arrivati anch’essi al vertice e quindi consci del peso di quel fardello) avrebbero riconosciuto che lui non era venuto meno all’ideale.

Si fermò appena prima del Terreno del Processo e fece un gesto agli addetti intorno all’Imputata. Questi le tolsero i vestiti per accertarsi che non avesse un’armatura o un arma nascosta e poi si fecero da parte.

Joyce fece l’ultimo passo che lo portò sulla Pedana del Giudice, dove gli altoparlanti amplificarono la sua voce.