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— Aspetterò in soggiorno — Joyce si voltò e uscì.

Camminò avanti e indietro sul tappeto, le labbra contratte, conscio ora del dolore al braccio.

Un’altra ferita. Un’altra obiezione da parte del Messire. Alla fine tutto era andato bene, ma pur sempre un’altra obiezione, e che cosa significava?

E l’Associazione Forense.

— Un’udienza! — borbottò. — Un’udienza generale domani!

Come se il suo rapporto non fosse stato sufficiente. Aveva raccontato quello che era successo, sarebbe dovuto bastare. Ma Kallimer, con le sue insinuazioni che dietro quell’incidente poteva esserci dell’altro…

Va bene, il giorno dopo si sarebbe occupato di Kallimer.

Emily entrò in soggiorno. — La cena è pronta, Sam. — Lei fece attenzione a controllare la voce e l’espressione del viso. Non voleva provocarlo di nuovo.

Era offesa e a lui non piaceva vederla così. All’improvviso, Joyce rise e le mise un braccio intorno alle spalle, stringendola. — Be’, mangiamo, eh, ragazza?

— Certo, Sam.

Insoddisfatto, lui corrugò la fronte. Ma non aveva senso cercare di aggiustare le cose, con il rischio di peggiorarle. Rimase in silenzio mentre entravano in sala da pranzo.

Mangiarono senza parlare. O meglio, per essere sincero con se stesso, Joyce osservò che lui mangiava mentre Emily si limitava a giocherellare con una piccola porzione, tenendogli compagnia per pura educazione.

Lo stare seduto per venti minuti gli calmò un poco i nervi. E gli fece apprezzare la cortesia di Emily. Spingendo da parte la tazza del caffè, la guardò e sorrise.

— Era molto buono. Grazie, Emily.

Lei fece un debole sorriso. — Grazie, Sam. Sono contenta che ti sia piaciuto. Purtroppo non era molto. Non avevo in programma… — si interruppe.

E così aveva continuato a porsi delle domande sulla sua visita di quella sera. Joyce sorrise gravemente. Ed ora pensava di averlo offeso di nuovo. Era stato piuttosto scontroso per tutta la serata.

Si sporse in avanti e le prese la mano. — Va tutto bene, Emily.

Dopo aver lavato i piatti, Emily venne a sedersi sul divano, dove lui era adagiato con i piedi su di un cuscino. I polpacci e le caviglie gli dolevano. Finché si muoveva tutto andava bene, ma ogni volta che si sedeva il dolore ricominciava. Le rivolse un pallido sorriso.

Sorridendo a sua volta, lei si chinò a massaggiargli in silenzio i polpacci, seguendo i muscoli con le dita.

— Emily…

— Sì, Sam?

— Se… niente, Emily. Non ha molto senso parlarne. — Si sentì combattuto tra il desiderio di parlare con qualcuno e la sensazione impellente che fosse meglio dimenticare quel pomeriggio. Fissò lo sguardo nel vuoto, al di là dei propri piedi. Forse c’era un modo per farle dire quello che lui voleva sapere, senza essere obbligato a raccontarle tutto.

Perché era tanto riluttante a parlare di quel pomeriggio? Non lo sapeva con precisione; ma non riusciva a decidersi proprio come non avrebbe potuto discutere di qualche difetto di carattere scoperto per caso in una signora o in un gentiluomo.

— Che altro hanno detto alla radio? — chiese senza enfasi particolare: — di Nyack.

— Niente, Sam, solo i risultati.

Lui grugnì deluso.

Forse c’era un sistema migliore per affrontare la cosa. — Emily, supponiamo… supponiamo che qualcuno ti parli di una causa riguardante una ragazza del popolo e un uomo di una famiglia. Supponi che questa ragazza si avvicini all’uomo in mezzo alla strada e gli si rivolga chiamandolo per nome.

Si interruppe, a disagio.

— Sì, Sam?

— Uh… be’, che cosa penseresti?

Le mani di Emily si fermarono per un attimo, poi ricominciarono a lavorare sui suoi polpacci.

— Che cosa dovrei pensare? — chiese a voce bassa guardando il pavimento. — Penserei che è stata molto sciocca.

Joyce fece una smorfia. Non era questo che voleva. Ma sapeva ciò che voleva da lei? Qual era la risposta che stava cercando? Provò di nuovo.

— Sì, certo. Ma a parte quello, che altro?

Vide che Emily si mordeva un labbro. — Ho paura di non capire cosa vuoi dire, Sam.

Una punta di rabbia riaffiorò nella voce di Joyce: — Tu non sei così poco intelligente, Emily.

Lei respirò profondamente e lo guardò. — Sam, qualcosa di molto grave è accaduto oggi, vero? Molto grave. Eri terribilmente agitato quando sei arrivato…

— Agitato? Non mi sembra — la interruppe lui in fretta.

— Sam, sono la tua amante da quindici anni.

Joyce sapeva che la sua espressione lo tradiva. Con quei suoi lampi di acutezza, lei riusciva sempre a colpire nel segno: metteva il dito esattamente sul punto vulnerabile, disarmandolo ed impedendogli di fingere.

Lui sospirò e allargò le braccia con un gesto rassegnato. — D’accordo, Emily. Sì, sono agitato. — L’irritazione riaffiorò. — È per questo che cerco il tuo aiuto, non essere evasiva.

Emily si raddrizzò, togliendo le mani dalle sue gambe doloranti e si girò, fissandolo direttamente negli occhi. Sostenne il suo sguardo senza esitare.

— Forse mi chiedi troppo. E forse no. Questo è importante, vero? Non ti ho mai visto così turbato.

Lui si accorse che era tesa. Tesa e apprensiva. Ma vide anche che aveva deciso di continuare, a dispetto dei propri dubbi.

— Sì — ammise lui, — è importante.

— Molto bene. Vuoi sapere che cosa ne penso della ragazza? Dimmi prima che cosa ne pensi tu. Credi che l’abbia fatto per disprezzo, per malizia o seguendo un impulso?

Joyce scosse il capo. — No di certo. Era innamorata di lui e si è dimenticata del proprio ruolo.

All’improvviso negli occhi di Emily apparve una traccia di lacrime. Joyce la fissò, sorpreso, per pochi secondi, prima che lei passasse una mano sugli occhi, con un gesto seccato.

— E allora? — chiese sottovoce.

— Ho paura di essere io a non capire, questa volta — disse lui dopo un attimo. Corrugò la fronte. Dove stava andando a parare?

— Che cosa mi distingue da quella ragazza, Sam? Qualche anno di più? Che cosa ti aspetti che io pensi?

— Non è affatto la stessa cosa, Emily! — ribatté lui con rabbia sincera. — Tu… Tu sei una donna matura. Noi siamo…

Non riusciva ad indicare la differenza, ma sapeva che c’era. Lei non aveva mai fatto o detto nulla…

— Emily, tu sai perfettamente che non faresti mai quello che ha fatto quella ragazza!

— Solo perché io sono più conscia delle regole — rispose lei a bassa voce. — Che differenza c’è in realtà tra me e quella ragazza? Forse perché si tratta di noi due, e non di altri, una delle tante coppie che conosciamo. Che cosa ci rende diversi ai tuoi occhi? Il fatto che non siamo un caso che tu devi giudicare?

— Emily, questo è ridicolo!

Lei scosse lentamente il capo. — Quella ragazza ha infranto la legge; io no. Ma non l’ho fatto perché fin dal principio ho capito che mi sarei ritrovata a camminare su di un filo per tutto il resto della nostra vita. Ora non potrei lasciarti per tornare tra il popolo; mi sono abituata a vivere così. Ma non sarò mai più ciò che ero quando sono nata.

«Supponiamo che io sia un membro del popolo, un meccanico, o forse anche un ingegnere, legato a qualche famiglia. Saprei che tutta la mia abilità ed il mio addestramento non mi servirebbero a nulla se venissi accusata di qualche crimine da un tribunale. Saprei che chiamare per nome in pubblico il mio protettore sarebbe un crimine… un crimine diverso da quello che commetterei se io fossi l’amante del mio protettore, certo, ma sempre un crimine. Poniamo il caso che, come ingegnere io non tenessi conto della volontà del mio protettore riguardo alle caratteristiche di un certo prodotto da lui fabbricato. O che io tentassi di modificare un prodotto o di svilupparne uno nuovo senza prima aver ottenuto la sua approvazione e i suoi suggerimenti; da un punto di vista legale questo sarebbe analogo a quello che ha fatto la ragazza, no?