— Certo, ed è giusto che lo sia — replicò Joyce.
Emily lo guardò, e annuì lentamente, poi proseguì: — Se io fossi quell’ingegnere ed avessi un po’ di buon senso, sarei sempre consapevole della differenza tra me e il mio protettore. Ricorderei ogni giorno a me stessa che egli è nato in una famiglia e che gli viene concesso il sacramento del matrimonio con una signora, se lo desidera. Capirei che gli ingegneri sono membri del popolo, mentre il mio protettore è un membro di una delle Prime Famiglie, oppure un Legislatore o un Giudice. Starei sempre molto attento a rispettare le nostre differenze, accettando il destino che mi ha fatto nascere tra il popolo, mentre lui in una famiglia.
Joyce corrugò la fronte. — Con questo sembra che tu consideri la nascita come un fatto puramente casuale.
Emily lo guardò senza parlare poi fece un profondo respiro. — Essendo una persona intelligente, io, come quell’ingegnere, attribuirei la mia posizione di nascita ai desideri del Messire. Non mi sentirai pronunciare eresie, Sam. — Si sporse, e gli prese la mano.
— Ecco perché ti ripeto che quella ragazza di Nyack è stata sciocca. Quello era il caso di Nyack, non è vero? Lei ha fatto quello che nessuno di noi, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, penserebbe mai di fare. Di sicuro ha fatto quello che io non farei mai, ma d’altra parte io sono più vecchia di lei. Ero più vecchia quando venni da te, o almeno lo presumo, dal momento che l’hai definita una ragazza.
Si morse le labbra nervosamente. — I giovani innamorati non sono necessariamente saggi, proprio come chi si arrabbia non agisce in modo logico. Chi può dire quale debba essere la loro punizione?
— Qualcuno c’è — rispose Joyce con decisione.
Emily annuì, guardandolo con espressione assorta. Poi disse all’improvviso: — Sam, ti sei mai guardato davvero allo specchio? Non per controllare se sei ben rasato o se la tua parrucca è a posto prima di un processo, ma solo per guardare te stesso.
Joyce non riuscì a capire questa nuova linea di pensiero.
— Lo sai che hai un viso molto giovane, Sam? Sotto quell’ombra scura della barba, senza quel cipiglio, hai il viso di un adolescente turbato. Hai imparato la dignità e ti sei appesantito, ma sei ancora un ragazzo che cerca la chiave che permetterà al mondo di girare per sempre con la stessa precisione. Forse credi di averla trovata? Tu credi in quello che fai. Tu credi che la giustizia sia la cosa più importante al mondo. Quello che fai lo intendi come una crociata. In te non c’è cattiveria gratuita o crudeltà. Non credo di averti mai visto fare qualcosa solamente per te stesso.
«Io ti amo per questo, Sam. Ma a parte qualche momento in cui sei con me, tu sei immerso completamente nel tuo ideale, e sei giunto ad ignorare completamente Sam Joyce. Tu sei in ogni momento il Signor Giudice Joyce.
Gli strinse la mano tra le sue. — Oggi pomeriggio è successo qualcosa, e temo si sia trattato di un fatto estremamente grave. Sei venuto da me dopo aver affrontato un Imputato disarmato, una ragazza, giovane e inesperta, ma c’è una fasciatura sul tuo braccio e, sotto di essa, probabilmente il foro di un proiettile. Io non so che cos’è succeso. Ma so che c’è il silenzio stampa sui fatti di Nyack.
«Sam, se il sistema è stato sfidato, allora tu sei in grave pericolo. Altri uomini non sono come te… Gli altri uomini, uomini del popolo e delle famiglie, agiscono per rabbia o paura, o amore. Se fanno a pezzi il tuo mondo e il tuo ideale…
— Fare a pezzi!
— … se fanno a pezzi quello a cui tu hai dedicato la tua vita, per te non ci sarà più nulla. Se il sistema crolla, porterà con sé il sangue del Giudice Joyce, e solo io so dove vive quel minuscolo frammento chiamato Sam Joyce. E non basterebbe.
— Emily, stai davvero esagerando.
Emily gli strinse la mano. Con sua enorme sorpresa, vide che lei aveva chiuso gli occhi per non piangere, ma lacrime silenziose le scorrevano ugualmente lungo le guance.
— Tu sei venuto da me in cerca di aiuto, ma anch’io faccio parte del mondo, e devo vivere secondo le regole. Dopo tutti questi anni, vuoi sapere se hai agito bene e dovrei essere io a dirtelo.
«Ti ho detto che per me quella ragazza è stata sciocca. Sam, io ti amo, ma non so darti una risposta. Te l’ho detto: da me non sentirai nessuna eresia.
La notte aveva lentamente lasciato il posto all’alba. Joyce rimase a fissarla attraverso la finestra accanto al letto. Non sapeva se Emily fosse davvero riuscita ad addormentarsi. Era sdraiata immobile, come lo era stata per tutta la notte.
A Joyce bruciavano gli occhi ed i corti capelli grigi erano bagnati di sudore. Non era riuscito a chiudere occhio per tutta la notte.
Il braccio andava molto meglio quella mattina, ma lui ricordava ancora l’impatto del proiettile.
Se, come era doveroso credere, Il Messire vedeva ogni azione umana, conosceva ogni pensiero ed era la causa di ogni evento umano, allora che cosa aveva voluto dire a Nyack?
Se la sentenza era giusta, perché Il Messire aveva permesso che lei sparasse quel colpo? Perché chi le aveva gettato l’arma non era stato fermato prima che potesse farlo? Se la sentenza era ingiusta, perché lei non lo aveva ucciso?
Forse Il Messire approvava Joyce ma non le basi su cui fondava il suo giudizio? Ma le sue basi erano la Legge ed era stato Il Messire a trasmettere la Legge!
O forse, come aveva detto Kallimer, Il Messire non era come Joyce lo concepiva?
Che cosa pensava Emily?
Ricordò a se stesso che quello che pensava Emily era irrilevante, come lei stessa si era più volte data la pena di ricordargli la sera precedente. Non era la sua opinione a determinare la falsità o la verità della giustizia. La giustizia era un valore assoluto; o era giusta, non importa quale fosse l’opinione del genere umano, o era inutile.
Forse, come Kallimer aveva detto malignamente, Il Messire stava cercando di fargli capire qualcosa?
Che cosa?
Che cosa aveva voluto dire a Nyack?
Joyce rimase sdraiato sul letto, sfinito, Si rendeva conto di pensare in maniera incoerente. Aveva riflettuto più volte sul problema, cercando un filo logico, ma non era approdato a nulla. Non era in grado di ragionare in modo corretto. Si augurava solo di potersi comportare saggiamente all’udienza di quel pomeriggio.
Scivolò con cautela fuori dal letto, fermandosi ad ogni fruscio delle lenzuola. Poi si vestì in fretta ed uscì dall’appartamento cercando di fare meno rumore possibile. Non voleva che Emily si svegliasse e lo vedesse in quelle condizioni.
Entrò nell’aula delle udienze con passo misurato, sperando che nessuno notasse il suo sconvolgimento interiore. Se un Giudice Capo mostrava agitazione, che cosa ci si poteva attendere dai Giudici minori?
Anche questo faceva parte del compito e il giovane ed ambizioso Giudice di Utica non l’aveva certo potuto immaginare, proprio come, durante la difficile ascesa ai vertici della professione, non avrebbe mai potuto intuire quanto sarebbe stato difficile un giorno varcare una soglia con passo fermo mentre le gambe e le caviglie indolenzite lo costringevano ad un’andatura strascicata.
Vide che la tensione agitava tutti i presenti. Nessuno sedeva tranquillo, in attesa che cominciasse l’udienza. Vi erano dappertutto capannelli di uomini che parlavano con vivacità, con continui spostamenti da un gruppo all’altro.
Joyce assunse un’espressione seccata, e fece un breve cenno del capo mentre tutte le teste si voltavano verso di lui. Si guardò intorno alla ricerca di Joshua Normandy, ma il Presidente dell’Associazione Forense non era ancora arrivato. Vide Kallimer in piedi in disparte, con il suo solito cipiglio, mentre stava conversando con Pedersen, pallidissimo in viso.