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— Già, proprio “eppure”… — annuii.

Qualcuno doveva avere aperto una Porta ed essere uscito dal Locale con l’apparecchio. Eravamo certi che non fosse più nel Locale. La nostra ricerca era stata qualcosa di epico. Non è facile nascondere una cosa grossa come una macchina per scrivere portatile, e avevamo guardato nell’interno di ogni possibile contenitore, dal pianoforte di Beau ai serbatoi del Ristoratore.

Avevamo perfino esaminato tutti ai raggi X, anche se la cosa aveva fatto contorcere Illy come una scatola di vermi (com’egli stesso ci aveva avvertito, del resto); disse che gli faceva un solletico pazzo, e io, poi, insistetti per accarezzargli il mantello per cinque minuti.

Alcune zone, come il bar, la cucina e i Depositi, richiesero molto tempo, ma preferimmo esaminarle tutte nel modo più completo. Kaby aiutò Doc a controllare in Ambulatorio: dopo la sua ultima visita al Locale, Kaby era rimasta a lungo in un Ospedale da Campo (in effetti, i Ragni se ne servono davvero come quartier generale per organizzare le operazioni belliche!) e aveva appreso alcuni curiosi trucchetti.

Comunque, Doc eseguì onestamente la sua parte di ricerca, anche se, per sicurezza, ogni posto veniva esaminato da altre tre persone, senza contare Bruce e Lili. Non appena ci eravamo accorti della sparizione del Mantenitore, Doc era uscito dalla sua sbronza in un modo che mi avrebbe sorpreso, se non gliel’avessi già visto fare varie volte, ma quando, terminato l’Ambulatorio, cominciammo a esaminare la Galleria d’Arte, mi accorsi che cercava deliberatamente di andare per le lunghe: infine gli vidi aprire il pastrano, chinare la testa, prendere una bottiglia e berne una lunga sorsata. Pochi istanti dopo, era già sulla buona strada verso un’altra sbornia.

Anche la Galleria d’Arte aveva richiesto molto tempo, perché è un enorme guazzabuglio di oggetti strampalati; provai un tuffo al cuore quando Kaby prese l’ascia e fece a pezzi una bellissima scultura in legno azzurro, raffigurante una medusa venusiana, per il semplice fatto che, anche se la sua superficie polita non rivelava tracce di manomissione, aveva dimensioni abbastanza grandi, secondo lei. Doc pianse un poco, e, quando ce ne andammo, era intento a cercare di rimettere insieme i pezzi e a fissare con aria assorta gli altri oggetti d’arte.

Una volta esaminato tutto il resto, Marcus insistette perché frugassimo anche sotto il pavimento. Tanto Beau quanto Sid cercarono di fargli capire che è un Locale ad accesso singolo, che non c’è niente, proprio niente, sotto il pavimento; esso, semplicemente, diventa molto più duro dei diamanti che lo ricoprono, non appena si raggiunga la profondità di mezzo centimetro: si tratta dell’equivalente solido del Vuoto. Ma Marcus era testardo (come tutti i romani, mi assicurò Sid, parlandomi all’orecchio), e dovette consumare quattro punte elicoidali di superdiamante prima di cedere.

Oltre a possibili nascondigli a sorpresa, rimaneva soltanto il Vuoto, ma gli oggetti non svaniscono affatto, quando li gettate nel Vuoto: essi rimangono lì indefinitamente, mezzo fusi e mezzo congelati, sempre che non riusciate a ripescarli. Dietro il Ristoratore, più o meno all’altezza della mia testa, ci sono tre noci di cocco venusiane, scagliate da un energumeno hittita nel corso di una baruffa tremenda. Io cerco di non guardarle mai, perché mi ricordano le teste mummificate e mi fanno venire i brividi. Le zone del Locale immediatamente vicine al Vuoto hanno delle strane proprietà geometriche, e uno dei marchingegni dell’Ambulatorio sfrutta tali proprietà in un modo che mi dà dei brividi ancora più forti, ma la cosa esula dall’argomento.

Nel corso della ricerca, Kaby ed Erich avevano cercato di servirsi dei loro Comunicatori come bussole, per individuare la direzione del Mantenitore, come fanno nel cosmo per trovare la direzione della Porta (e so che lo si fa anche nell’interno dei Locali più grandi). Ma i Comunicatori erano impazziti — come quando l’ago della bussola continua a girare senza fermarsi in alcuna direzione — e nessuno riusciva a spiegarsene il motivo.

I possibili nascondigli a sorpresa erano il Piccolo Mantenitore (idea divertente, ma è grande quanto il Maggiore e anch’esso ha le sue misteriose interiora, e, ovviamente, aveva continuato a svolgere con precisione il proprio lavoro, cosicché ritenemmo di poterlo escludere a ragione), e il baule della bomba, ma ci pareva impossibile che qualcuno lo avesse aperto, sempre che conoscesse la giusta combinazione della serratura, prima che Erich, saltandovi sopra, facesse convergere su di esso ogni luce della ribalta. Ma quando avete escluso tutte le altre possibilità, la parola impossibile cambia significato.

Poiché il viaggio nel tempo è il nostro ramo, potreste pensare a ogni sorta di trucchi per spedire il Mantenitore nel passato o nel futuro, in modo permanente o temporaneo. Ma il Locale si mantiene rigorosamente nel Grande Tempo, e ogni persona competente mi ha sempre detto che il viaggio nel tempo lungo il Grande Tempo è impossibile. La cosa sta nei seguenti termini: il Grande Tempo è come un treno, e il Piccolo Tempo è la regione in cui viaggia il treno. Noi rimaniamo sul treno, a meno che non usciamo da una Porta, e, come potrebbe dire Gertrude Stein, non puoi viaggiare nel tempo lungo il tempo in cui viaggi nel tempo quando viaggi nel tempo.

Mi ero anche gingillata al pensiero di qualche nascondiglio estremamente ovvio, magari una cosa che diverse persone potevano passarsi l’un l’altra, cioè avevo pensato a una cospirazione, e una volta che supponiate l’esistenza di una cospirazione abbastanza grande, potete spiegare con essa qualsiasi cosa, compresa l’origine dell’universo. In particolare, i tre colbacchi degli ussari neri mi avevano fatto sospettare una sorta di gioco delle tre carte e dell’ombrello: non fui soddisfatta finché non li allineai tutt’e tre uno accanto all’altro e non ne controllai l’interno con una singola occhiata.

— Sveglia, Greta, prendi qualcosa. Non posso rimanere qui in eterno. — Maud aveva portato in giro alcuni vassoi con dei tramezzini racimolati qui e là, e confesso che erano decisamente invitanti; Maud ha il tocco per queste cose.

Studiai il vassoio e dissi: — Sid, preferirei un hot dog.

— E io un pasticcio di cinghiale! Che tu debba piantare sempre delle grane, ficcanaso pedante, ronzinaccia puntigliosa, capricciosa e tirannica pupattola?

Afferrato qualche tramezzino, tornai a rannicchiarmi contro di lui.

— Avanti, Sid, continua a insultarmi — lo incoraggiai. — Ma mettici qualche vera parolaccia, altrimenti non mi diverto.

10

Il mio pensiero, in cui l’assassino ancora non è che immaginato. A tal punto scuote il mio equilibrio di uomo, che l’attività della mente Soffoca nelle congetture, e nulla esiste Se non ciò che non è.
Macbeth
I MOVENTI E LE OCCASIONI

Il mio grosso scugnizzo di King’s Lynn si era messo il vassoio sulle ginocchia e stava ancora divorando tramezzini come un lupo. Tutti gli altri avevano ormai terminato di mangiare. Erich, Marcus e Kaby discutevano animatamente, all’altro capo del bar, accanto al baule della bomba, a proposito di non so che: non riuscivo a intendere le parole a quella distanza. Illy, tutto largo sul piano, simile a un polpo della Terra, li ascoltava.

Beau e Sevensee passeggiavano avanti e indietro, vicino al divano di comando, e di tanto in tanto si scambiavano qualche parola. Dietro di loro, seduti sul divano diametralmente opposto al nostro, Bruce e Lili stavano parlando tranquillamente tra loro. Maud si era seduta all’altra estremità del bar e stava lavorando a maglia: si tratta di una di quelle abitudini, come gli scacchi, l’ubriacarsi pian piano, o l’imparare a parlare con una scatola fonica come quella di Illy, a cui ricorriamo per far passare il tempo nei lunghi intervalli tra un party e l’altro. Doc gironzolava per la Galleria, prendeva in mano gli oggetti e poi li rimetteva a posto, e comunque riusciva ancora a tenersi in piedi.