Beau e Sevensee, che avevano smesso di passeggiare nervosamente e si erano fermati a mezza via tra il bar e il divano di controllo, si voltarono verso Erich. Sevensee parve d’improvviso un po’ troppo tarchiato per rassomigliare ai satiri dei libri di mitologia: pareva in effetti un cavallo tagliato a metà più che un fauno. Batté un colpo sul pavimento con gli zoccoli (colpo medio forte, avrei detto) e brontolò: — Ma vatti a fare una pera. — Mi aveva detto di avere imparato l’inglese da un Demone che aveva fatto lo scaricatore di porto e che nutriva simpatie anarcoidi. Erich rimase in silenzio per un istante, ma continuò a sorridere, con le mani sui fianchi.
Lili fece un cenno di assenso verso il satiro e si schiarì la gola; pareva spaventata. Non disse nulla, ma potevo vedere che stava pensando a qualcosa di triste: il suo viso aveva assunto un’espressione brutta e sofferente, come se fosse stata colpita da un Vento del Cambio che non fosse ancora giunto fino a me; fece una smorfia per ricacciare indietro le lacrime, ma qualcuna di esse le scivolò ugualmente lungo la guancia; quando infine parlò, la sua voce era scesa di un’ottava: ora aveva anche un accento newyorkese, e non soltanto londinese come prima.
— Non vi ho mai chiesto cosa abbiate provato durante la Resurrezione, compagni — disse — poiché sono nuova di qui e non mi piace fare domande, ma per me è stata una vera tortura e mi dispiace soltanto di non avere avuto il coraggio di dire a Suzaku: “Preferirei rimanere uno Zombie, se non vi dispiace. Preferisco gli incubi”. Invece accettai la Resurrezione, poiché mi hanno insegnato che bisogna comportarsi educatamente, e poiché in me c’era il Demone che mi è straniero e che desidera vivere; ma scoprii che mi sentivo ancora come uno Zombie, anche se potevo muovermi come volevo, e che avevo ancora gli incubi, anche se erano diventati molto più vividi.
“Ero di nuovo una donna giovane, diciassettenne, e suppongo che ogni donna desidererebbe riavere diciassette anni, ma non ero più diciassettenne nella mia testa: ero una donna morta di cirrosi a New York nel 1929, ed ero anche, poiché un Grande Cambio aveva spinto su una rotta diversa la mia linea di vita, una donna morta della stessa malattia in una Londra occupata dai nazisti, nel 1955, ma assai più lentamente: capirete, l’alcol era molto più scarso. Dovevo vivere con entrambe queste serie di ricordi, e il Mondo del Cambio non me le aveva cancellate più di quanto non le cancelli, a quanto mi si dice, a qualsiasi altro Demone, e, a differenza da ciò che speravo, non le ha neppure fatte arretrare nello sfondo.
“Quando un collega del Cambio mi dice: ‘Ehi, bellezza, perché non mi fai un sorriso?’, oppure: ‘Hai un bel vestito, sai?’, io mi ricordo all’ospedale Bellevue, intenta a fissare allo specchio la mia figura gonfia, in una luce che sembra venire da una massa di ghiaccio, o mi rivedo in quell’altra orribile camera da letto che puzza di gin, accanto a Phyllis che tossisce in modo straziante, o tutt’al più, per un istante, mi ritrovo bambina, nel Galles, davanti alla strada romana, a chiedermi quale meravigliosa vita mi attenda.”
(Lanciai un’occhiata verso Erich, ricordando che anche per lui, nel cosmo, c’era un lungo e orribile futuro. Aveva smesso di sorridere, e pensai che forse sarebbe divenuto più umile, scoprendo che non era il solo ad avere due di quei futuri, ma non ne ero molto convinta.)
— Perché, vedete — continuava a dire Lili, tesa — in tutt’e tre le mie vite sono sempre stata una ragazzina che s’innamorava di un giovane, grande poeta, senza mai incontrarlo: la voce della nuova gioventù e della gioventù di ogni tempo. Una ragazzina che disse la sua prima grande bugia per entrare nella Croce Rossa e andare in Francia per stargli più vicino: c’era del rischio, una sorta di malia e un cavaliere in armi, e lei immaginava di trovarlo ferito, ma soltanto in modo leggero, con una piccola fasciatura attorno alla testa; gli avrebbe acceso una sigaretta e gli avrebbe sorriso lievemente, senza lasciargli indovinare i propri sentimenti, cercando soltanto di essere se stessa per vedere se riusciva a farsi notare…
“E poi le mitragliatrici dei Kartopfen lo abbatterono a Passchendaele, e non ci sarebbero potute essere fasciature abbastanza grandi, e la ragazza rimase diciassettenne nel proprio cuore e non combinò mai nulla e cercò di andare controcorrente, anche se non valeva molto in queste cose, e di bere, cosa in cui era molto più abile, anche se uccidersi con l’alcol è meno facile di quanto non si creda comunemente, neppure con l’aiuto di una debolezza costituzionale di reni. Comunque, finì per riuscirci.
“Ma poi un gallo canta. La ragazza si sveglia con un lacerante scossone dai sogni grigi della morte che sommergono la sua linea di vita. È un’alba gelida. Si sente l’odore di una fattoria francese. La ragazza si tocca le caviglie, e non le trova più simili a due grossi stivali di gomma pieni d’acqua. Non sono affatto gonfie. Sotto caviglie giovani.
“C’è una piccola finestra e le cime di una fila di alberi che potrebbero essere pioppi con un po’ più di luce; la luce scarsa mostra molte brandine uguali alla sua, e teste coperte fino alle orecchie dalle lenzuola; le uniformi appese accanto alle brandine paiono grandi ombre; una delle ragazze sta russando. Si ode un rombo lontano, che fa tremare un poco la finestra. Poi la ragazza ricorda che lei e le altre sono infermiere della Croce Rossa, e che Passchendaele dista molti, molti chilometri, e che Bruce Marchant deve morire oggi all’alba.
“Tra pochi minuti s’arrampicherà sull’orlo della trincea, sotto il tiro di un mitragliere tedesco che si diverte a sparare raffiche qui e là. Lei, invece, non deve affatto morire oggi: deve morire nel 1929 e nel 1955.
“E proprio mentre sta per impazzire, sente uno scricchiolio, e dall’ombra, in punta di piedi, esce un giapponese con i capelli pettinati come una donna, la faccia bianchissima e le sopracciglia nere. Indossa un chimono rosa e ha come cintura una fascia nera, nella quale sono infilate due spade da samurai, ma stringe nella destra una strana pistola d’argento. Le sorride come se fossero contemporaneamente fratello e sorella, e amanti, e dice: ‘Voulez-vous vivre, mademoiselle?’ e lei lo fissa a occhi spalancati, e lui china il capo e ripete: ‘La signorina vuol vivere, no?’.”
(La mano di Sid strinse le mie, che tremavano. Mi commuovo sempre nell’ascoltare la descrizione della Resurrezione di qualcuno; la mia è stata ancora più pazza, ma anche lì c’erano di mezzo i Kartopfen, i tedeschi. Speravo che Lili non ci avrebbe ripetuto tutta la formula del Reclutamento, e fortunatamente non lo fece.)
— Cinque minuti dopo, lui è sceso per una scala ripida quasi come una scala a pioli, per aspettare al piano terreno, e la ragazza si sta preparando in fretta. I suoi abiti fanno un po’ di resistenza, come se fossero incollati all’attaccapanni e alle pareti sporche, e lei prova ripugnanza a toccarli. Si è fatto più chiaro, e la sua branda le dà l’impressione di ospitare ancora una persona dormiente, sebbene le appaia vuota, ma lei non la toccherebbe neppure se da quel gesto dipendesse tutta la sua nuova vita.
“Scende anche lei per la scala, e la lunga gonna non le dà fastidio, perché sa come reggerla. Suzaku la fa passare davanti a una sentinella che non riesce a vederli e accanto a un contadino dalla faccia rossa, con una tuta da lavoro, che continua a sputare e a tossire da spaccarsi i polmoni. Attraversano tutta l’aia della fattoria, che adesso è illuminata da una luce rosata, e lei vede che il sole è già sorto, e pensa che Bruce Marchant è già morto dissanguato.
“C’è un camion vuoto, col motore acceso, in attesa di qualcuno; ha delle grosse ruote sporche di fango, con raggi di legno, e un radiatore di ottone con la scritta Simplex. Ma Suzaku la conduce avanti, fino a un monticello di letame, e inchinandosi, come per chiederle scusa, la conduce attraverso una Porta.”
Udii Erich esclamare, rivolto agli altri del bar: — Davvero commovente! Adesso volete che vi racconti anche la mia? — Ma le sue parole non suscitarono alcuna ilarità.