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Udivo i suoi singhiozzi lontani mentre, come in un sogno, mi voltavo.

Vidi la pioggia cadere in una sottile nebbia silenziosa. Vidi lei già lontana, dall’altra parte della radura, che correva verso le porte della cappella.

Te l’avevo detto che le avresti fatto del male.

Mi girai e guardai nelle ombre in fondo alla corsia.

«Tu non ci sei. Ho chiuso con te!» sussurrai.

La luce della candela ora la rendeva visibile, sebbene rimanesse all’estremità più lontana della camera. Stava ancora dondolando la gamba con la calza bianca, e il tacco della pantofola nera colpiva la gamba della sedia.

«Vattene», dissi nel tono più gentile che potei trovare. «È finita.»

C’erano lacrime che scorrevano sul mio volto, lacrime di sangue. Gretchen le aveva viste?

«Vattene», ripetei. «È finita e anch’io me ne sto andando.»

Sembrava sorridere, ma non sorrideva. Il suo volto divenne il ritratto dell’innocenza, il volto del medaglione del sogno. E nell’immobilità, mentre rimanevo a fissarla, incantato, l’intera immagine cessò del tutto di muoversi. Poi si dissolse.

Scorsi soltanto una sedia vuota.

Mi voltai verso la porta. Mi asciugai di nuovo le lacrime, odiandole, e misi via il fazzoletto.

Alcune mosche ronzavano contro la zanzariera. Com’era cristallina la pioggia che ora batteva con insistenza sulla terra. Poi giunse il dolce rumore della pioggia che aumentava d’intensità, come se il cielo avesse aperto la bocca per sospirare. Avevo dimenticato qualcosa. Cos’era? La candela, ah, già, spegnere la candela. Poteva scoppiare un incendio che avrebbe coinvolto quei piccini!

Guardai il bambinetto biondo sotto la tenda a ossigeno: le pieghe del telo di plastica luccicavano come se fossero tanti frammenti di luce. Come hai potuto essere così stupido da accendere una fiamma in questa camera?

Spensi la fiamma, stringendola tra le dita. Svuotai le tasche. Posai tutte le banconote sporche e accartocciate, centinaia e centinaia di dollari, e anche le poche monete che trovai.

Poi uscii, passando accanto alle porte aperte della cappella.

Attraverso il leggero scroscio della pioggia la udii pregare, sentii i suoi rapidi sussurri, poi la vidi inginocchiata davanti all’altare, e scorsi il fuoco arrossato di una candela tremolare dietro di lei, lei che teneva le braccia aperte e tese.

Volevo andarmene. Sembrava che, nelle profondità della mia anima ferita, io non volessi nient’altro. Eppure qualcosa mi tratteneva. Avevo fiutato l’intenso e inconfondibile odore del sangue fresco.

Proveniva dalla cappella, e non era il sangue che pompava dentro di lei, bensì quello che stava scorrendo da una ferita recente.

Mi avvicinai, attento a non fare il minimo rumore, fino a trovarmi sulla porta. L’odore divenne più intenso. E allora vidi il sangue che colava dalle sue mani protese. Lo vidi sul pavimento che scorreva in rivoli dai suoi piedi.

«Liberami dal male, o Signore, prendimi con te, Sacro Cuore di Gesù, prendimi tra le tue braccia…»

Non mi vide né mi udì mentre mi avvicinavo. Il suo volto era soffuso di una delicata luminosità, creata dalla luce tremolante della candela e dalla radiosità che lei stessa emanava e che aveva origine dal grande rapimento bruciante che l’aveva presa, sottraendola a tutto e a tutti, anche alla nera figura al suo fianco.

Guardai l’altare. Scorsi il grande crocifisso in alto e, sotto, il piccolo tabernacolo luccicante, e la candela accesa dietro il vetro rosso, a significare la presenza in quel luogo del Divino Sacramento. Una folata di vento entrò dalle porte aperte e andò a colpire la campana, facendone scaturire un debole suono metallico, appena udibile sopra il rumore del vento.

Abbassai lo sguardo su di lei, sul suo viso rivolto in alto, sugli occhi semichiusi, sulla bocca che pareva immobile, sebbene ne uscissero ancora alcune parole.

«Cristo, mio adorato Cristo, prendimi tra le tue braccia.»

E, attraverso la nebbia delle mie lacrime, guardai il sangue che sgorgava e scorreva rosso, denso e copioso dalle sue palme aperte.

D’un tratto udii voci soffocate. Porte che si aprivano e si chiudevano. Persone che correvano sul terreno compatto. Quando mi girai, vidi che, sulla porta, si erano raccolte alcune sagome scure: un grappolo di figure femminili angosciate. Udii sussurrare in francese una parola che significava «estraneo». E poi il grido smorzato: «È il Diavolo!»

Mi avviai lungo la navata, dritto verso di loro. Sebbene non osassi toccarle mai né rivolgere loro neppure uno sguardo, le donne si dispersero e io le superai in fretta, uscendo sotto la pioggia.

Poi guardai indietro. La vidi ancora inginocchiata davanti al tabernacolo, mentre le donne si raccoglievano intorno a lei, e udii le loro deboli, reverenti grida di: «Miracolo!» e: «Le stimmate!» Si facevano il segno della croce e cadevano in ginocchio intorno a lei, mentre dalle labbra di Gretchen, che sembrava in trance, continuavano a uscire preghiere. «E il Verbo era con Dio, e il Verbo era Dio, e il Verbo fu fatto carne.»

«Addio, Gretchen», mormorai.

E svanii, libero e solo, nel caldo abbraccio della notte selvaggia.

25

Sarei dovuto andare a Miami quella notte. Sapevo che David poteva avere bisogno di me. E naturalmente non avevo idea di dove fosse James.

Ma non avevo il coraggio di andare laggiù, ero troppo scosso. E, prima che facesse giorno, mi ritrovai a est della piccola Guyana Francese, ancora nella giungla affamata e tentacolare, assetato ma senza speranza di soddisfarmi.

Un’ora prima dell’alba giunsi sopra un antico tempio, un grande rettangolo di pietra butterata così invaso dalle liane e dalla vegetazione lussureggiante da risultare, pensai, del tutto invisibile persino ai mortali che vi passavano accanto. Poi mi resi conto che lì non c’erano strade e neppure piste e compresi che da secoli nessuno capitava lì. Quel luogo era un mio segreto.

Nessuno a parte le scimmie, ovviamente, che si erano appena svegliate. Un gruppo piuttosto consistente di quegli animali aveva cinto d’assedio il rozzo edificio, schiamazzando, strillando e sciamando sul lungo tetto piatto e sulle pareti inclinate. Con annoiata indifferenza, perfino sorridendo, le osservai mentre si dedicavano ai loro divertimenti idioti. L’intera giungla sembrava davvero rinascere. Il coro degli uccelli era molto più forte di quanto non fosse stato nelle ore di oscurità totale e, a mano a mano che il cielo diventava più chiaro, notavo miriadi di sfumature di verde tutto intorno a me. E mi resi conto, con un certo stupore, che non avrei visto il sole.

Quella sensazione mi sorprese un po’. Ma siamo figli dell’abitudine, no? E poi non era sufficiente quella prima luce? Era una pura gioia essere nel mio vecchio corpo… se non mi tornava in mente l’espressione di assoluta ripulsa sul volto di Gretchen.

Dal terreno della giungla si alzò una fitta nebbia, che catturava la preziosa luminosità e la diffondeva fin nei più piccoli anfratti, tra fiori e foglie vibranti.

La mia tristezza si fece più profonda mentre mi guardavo intorno o, più esattamente, mi sentivo messo a nudo, come se fossi stato spellato vivo. La parola «tristezza» è troppo dolce e delicata. Pensai e ripensai a Gretchen, ma soltanto con immagini silenziose. E quando tornai con la memoria a Claudia provai un senso di torpore, rammentando le parole che le avevo detto nei miei sogni deliranti per la febbre.

Il vecchio medico dai baffi macchiati: come un incubo. La bambina-bambola sulla sedia. No, non lì. Non lì. Non lì.

E anche se fossero stati lì? Non aveva importanza.

Sotto l’influsso di quelle emozioni estenuanti non mi sentivo infelice. Ed esserne consapevole era meraviglioso. Ah, sì, essere di nuovo me stesso!

Dovevo raccontare a David tutto di quella giungla… David doveva andare a Rio prima di tornare in Inghilterra. Forse sarei andato con lui.