«Stai perdendo tempo, Lestat.»
«Oh, ma bisogna metterci del tempo, David. Questa è l’ultima volta in cui il tempo ha davvero importanza.»
Mi avvicinai a lui, lasciando deliberatamente che il suo odore mi riempisse le narici e che mi arrivasse il profumo del suo sangue, risvegliando in me quel desiderio al quale poco importava chi fosse lui o cosa fossi io. Era soltanto la fame pungente di lui, una fame che voleva soltanto la sua morte. La sete si contorse e schioccò dentro di me come una grande frusta.
Arretrò. Vidi la paura nei suoi occhi.
«No, non avere paura. Pensi che ti farei del male? Come avrei potuto sconfiggere quel piccolo, stupido Ladro di Corpi se non fosse stato per te?»
Tutto il suo volto s’indurì, gli occhi si fecero piccoli, la sua bocca si contorse in quello che sembrava un ghigno. Appariva così orribile, così diverso da quello che era. In nome di Dio, cosa gli stava passando per la mente? Quel momento, quella decisione… Era tutto sbagliato! Non c’era gioia, non c’era intimità. Era tutto sbagliato.
«Apriti a me!» sussurrai.
Scosse la testa, stringendo ancora gli occhi fiammeggianti. «Non accadrà quando il sangue prenderà a fluire?»
Com’era fragile, la sua voce!
«Dammi un’immagine, Lestat, un’immagine da tenere in mente. Un’immagine da opporre alla paura.»
Ero confuso. Non ero sicuro di capire che cosa volesse.
«Vuoi che pensi a te e a come sei splendido?» disse con tenerezza. «Vuoi che pensi che staremo insieme per sempre? Mi porteranno oltre, questi pensieri?»
«Pensa all’India», sussurrai. «Pensa alla foresta di mangrovie e a quand’eri più felice…»
Volevo dire di più, volevo dire no, non a quello, ma non sapevo perché! In me crebbe la fame e, mescolata a essa, mi prese una bruciante solitudine. Ancora una volta vidi Gretchen, vidi l’orrore sul suo volto. Mi avvicinai a lui. David, infine David… Fallo! e smetti di parlare, cosa importano le immagini, fallo! Cosa c’è che non va, perché hai paura di farlo?
Lo strinsi saldamente tra le braccia.
Ecco tornare la sua paura, uno spasmo… Ma non mi oppose resistenza e per un momento la assaporai, quell’intimità fisica, stringendo il suo corpo alto e regale. Passai le labbra sui suoi capelli grigi, respirandone la fragranza familiare; lasciai che le mie dita sostenessero il suo capo. Poi i miei denti penetrarono la superficie della pelle prima ancora che ne avessi l’intenzione e il caldo sangue salato sgorgò sulla mia lingua, riempiendomi la bocca.
David. David, finalmente.
Le immagini giunsero, torrenziali: le grandi foreste dell’India e il rimbombo al passaggio dei grandi elefanti grigi, le goffe zampe sollevate, le gigantesche teste che si agitavano, le piccole orecchie che si muovevano come foglie nell’aria. La luce del sole che colpiva la foresta. Dov’è la tigre? Oh, buon Dio, Lestat, sei tu la tigre! Sei stato tu a farglielo! Ecco perché non volevi che pensasse a questo! E in un lampo lo vidi: mi fissava nel chiarore del sole, il David di tanti anni prima, nella sua splendida giovinezza, sorridente… Improvvisamente, però, per una frazione di secondo, sovrapposta all’immagine o forse sbocciata da essa come un fiore, apparve un’altra sagoma, un altro uomo. Era una creatura magra, emaciata, dai capelli bianchi e dallo sguardo astuto. E, prima che tornasse a confondersi con l’immagine incerta e senza vita di David, io seppi che era James!
L’uomo tra le mie braccia era James!
Lo scagliai all’indietro, con la mano alzata per asciugarmi il sangue che stava cadendo sulle mie labbra.
«James !» ruggii.
Cadde contro il bordo del letto. Aveva lo sguardo annebbiato, mentre il sangue gli gocciolava sul colletto e tendeva una mano contro di me. «Non essere precipitoso!» gridò nella sua familiare cadenza, ansimante, col volto lucido di sudore.
«Va’ all’inferno», ruggii di nuovo, fissando quei lucidi occhi eccitati sul volto di David.
Mi lanciai contro di lui. E lui proruppe in un riso folle e disperato, gridando: «Stupido! È il corpo di Talbot! Non vorrai fare del male al suo…»
Ma era troppo tardi. Cercai di fermarmi, ma la mia mano si era chiusa sulla sua gola e avevo già scagliato il corpo contro la parete!
Con orrore lo vidi schiantarsi contro l’intonaco. Vidi il sangue spargersi dalla sua nuca, sentii l’orribile schianto del muro che si rompeva dietro di lui e, quando mi protesi per afferrarlo, mi cadde tra le braccia. Mi fissò con gli occhi spalancati in uno sguardo ottuso, mentre la sua bocca si apriva e lui cercava disperatamente di parlare.
«Guarda cos’hai fatto, stupido idiota. Guarda cosa… guarda cosa…»
«Rimani in quel corpo, mostriciattolo!» sibilai. «Tienilo in vita!»
Boccheggiava. Un rivoletto di sangue gli colava dal naso nella bocca. I suoi occhi si rovesciarono all’indietro. Lo sostenni, ma i suoi piedi penzolavano, come se fosse paralizzato. «Tu… idiota… chiama mia madre, chiamala… Madre, Madre, Raglan ha bisogno di te… Non chiamare Sarah. Non dirlo a Sarah. Chiama mia madre…» Poi perse conoscenza e la testa gli ricadde in avanti. Lo sostenni, stendendolo poi sul letto.
Ero in preda all’isteria. Cosa dovevo fare? Potevo guarire le sue ferite col mio sangue? No, la ferita era interna, nella sua testa, nel suo cervello! Ah, mio Dio! Il cervello. Il cervello di David!
Afferrai il telefono, dissi balbettando il numero della camera e spiegai che c’era un’emergenza. Un uomo era gravemente ferito. Era caduto. Aveva avuto un collasso! Dovevano far venire subito un’ambulanza a prenderlo.
Poi riagganciai e tornai da lui. Il corpo di David giaceva lì sul letto, inerme! Le sue palpebre si muovevano e la mano sinistra continuava ad aprirsi e a richiudersi. «Madre», mormorava. «Fai venire mia madre. Dille che Raglan ha bisogno di lei… Madre.»
«Sta arrivando!» gridai. «Devi aspettarla!» Delicatamente gli girai la testa di lato. Ma in realtà che importava? Che se ne volasse via, fuori di lì, se poteva! Quel corpo non si sarebbe rimesso! Quel corpo non sarebbe mai più stato in grado di ospitare David!
E David? Dov’era David?
II sangue si stava spargendo sul copriletto. Mi morsi il polso. Lasciai cadere le gocce sulle punture del collo. Forse qualche goccia sulle labbra sarebbe servita a qualcosa. Ma cosa potevo fare per il cervello? Oh, mio Dio, come avevo potuto farlo…
«Stupido…» mormorò. «Ah, così stupido… Madre!»
La mano sinistra prese a muoversi di qua e di là sul letto. Poi vidi che l’intero braccio sinistro si muoveva a scatti e che, addirittura, il lato sinistro della bocca continuava a contrarsi, mentre i suoi occhi guardavano fissi in alto e le pupille cessavano di muoversi. Il sangue continuava a scorrere dal naso sulla bocca e sui denti bianchi.
«Oh, David, non volevo farlo», mormorai. «Oh, Signore Iddio, sta morendo!»
Credo che lui abbia pronunciato ancora una volta la parola «Madre».
Ma ormai sentivo le sirene che ululavano su Ocean Drive. Qualcuno stava battendo sulla porta. Scivolai di lato quando essa si spalancò e saettai fuori della stanza. Altri mortali stavano accorrendo lungo le scale. Non videro altro che un’ombra fugace, quando li oltrepassai. Feci una sosta nell’atrio e osservai gli impiegati che si affrettavano. L’orribile ululato della sirena divenne più forte. Mi voltai e, quasi incespicando, oltrepassai le porte e uscii in strada.
«Oh, Signore Iddio, David, che cosa ho fatto?»
Un clacson mi fece trasalire. Un secondo mi fece uscire dal mio stato di trance. Ero nel bel mezzo del traffico. Mi diressi alla spiaggia.
Improvvisamente una grande e tozza ambulanza bianca si fermò proprio di fronte all’albergo. Un giovane massiccio saltò giù dal sedile anteriore e corse nella hall, mentre l’altro spalancava i portelloni posteriori. Nell’edificio, qualcuno stava gridando. Vidi una sagoma alla finestra della mia camera.