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David in quel volto! Il timbro di voce era quasi lo stesso.

«Ah… cosa… oh, già, James. Sì, James è in quel corpo! David, è stato un colpo alla testa! Ricordi la nostra discussione? Se avessi dovuto ucciderlo, avrebbe dovuto essere un rapido colpo alla testa. Balbettava qualcosa su sua madre. La voleva. Continuava a ripetere di dirle che Raglan aveva bisogno di lei. Era ancora in quel corpo quando ho lasciato la stanza.»

«Capisco. Ciò significa che il cervello funziona, ma è gravemente compromesso.»

«Proprio così! Non vedi? Pensava d’impedirmi di fargli del male perché s’era rifugiato nel tuo corpo! Ah, ma ha immaginato male! Proprio male! E cercare d’indurmi a esercitare la Magia Tenebrosa! Quale vanità! Avrebbe dovuto saperlo. Avrebbe dovuto confessare il suo piano nel momento in cui mi vide. Che sia dannato. David, se non ho ucciso il tuo corpo, l’ho comunque leso in modo irrimediabile.»

Si era perso nei suoi pensieri come gli capitava nel mezzo di una conversazione, con gli occhi teneri e grandi che guardavano fuori delle finestre in lontananza, fino alla baia scura.

«Devo andare all’ospedale, non è vero?» mormorò.

«Dio mio, no. Vuoi essere ficcato in quel corpo mentre muore? Non puoi dire sul serio.»

Si alzò con un movimento elegante e andò alla finestra. Rimase là, con lo sguardo fisso nella notte, e sul nuovo volto scorsi l’inconfondibile espressione di David, assorto in quiete riflessioni.

Quale magia era vedere quell’essere risplendere di tanta dignità e saggezza in una forma così giovane, distinguerne l’acuta intelligenza dietro i giovani occhi limpidi.

«La mia morte mi aspetta, non è così?» sussurrò.

«Lasciala aspettare. È stato un incidente, David. Non è una morte inevitabile. Un’alternativa c’è. E la conosciamo entrambi.»

«Quale?» chiese.

«Andiamo là, c’intrufoliamo nella stanza in qualche modo, stregando il personale medico. Tu lo spingi fuori del corpo e ci entri subito, e a quel punto io ti do il sangue. Ti porto con me. Non esiste lesione che l’infusione completa di sangue non possa guarire.»

«No, amico mio. Ormai dovresti avere capito che non devi propormelo. Non posso farlo.»

«Sapevo che lo avresti detto», replicai. «Allora non avvicinarti all’ospedale. Non fare nulla che lo risvegli dal suo torpore!»

Tacemmo, guardandoci negli occhi. La preoccupazione mi stava abbandonando, non tremavo più. E mi resi conto che lui non era mai stato in ansia, né lo era in quel momento. Non sembrava nemmeno triste. Mi guardava, come per chiedermi tacitamente di comprendere. O forse non stava affatto pensando a me.

Aveva settantaquattro anni! Ed era uscito da un corpo dalla vista debole e pieno di inevitabili acciacchi e dolori per entrare in quella forma, splendida e forte. Dopotutto, non avevo idea di che cosa provasse davvero! Io avevo dato il corpo di un dio per avere quelle membra! Lui aveva dato il corpo di un vecchio, con la morte sempre alle calcagna, un uomo per il quale la giovinezza era una serie di tormentosi ricordi che scuotevano a tal punto la sua serenità da minacciare di spazzarla via del tutto, lasciandolo amareggiato e scoraggiato nei pochi anni di vita che ancora gli rimanevano.

Adesso la giovinezza gli era stata restituita! Avrebbe potuto vivere un’altra vita intera! Ed era un corpo che lui stesso aveva trovato attraente, bello, addirittura magnifico: un corpo per il quale lui stesso aveva provato un’attrazione sessuale.

E io preda dell’angoscia, a piangere per quel vecchio corpo rovinato da cui la vita se ne stava andando, goccia dopo goccia, in un letto d’ospedale!

«Sì, direi che la situazione è proprio questa», dichiarò. «Tuttavia so che dovrei tornare in quel corpo! È il giusto involucro per quest’anima. Ogni istante che passa rischio l’inimmaginabile: che lui muoia e io debba rimanere per sempre in questo corpo. Eppure sono io ad averti condotto qui. Ed è qui che intendo rimanere.»

Fui scosso dai brividi mentre lo fissavo, sbattendo le palpebre come per svegliarmi da un sogno. Alla fine scoppiai a ridere. «Avanti, siediti, versati un po’ del tuo fottuto scotch e raccontami com’è successo.»

Non se la sentiva di ridere. Sembrava disorientato, o forse si trovava in uno stato di assoluta passività e, dall’interno di quella forma meravigliosa, valutava me, la questione, il mondo intero.

Rimase ancora per un momento presso la finestra, spostando lo sguardo oltre i grattacieli lontani, così bianchi e nitidi, e poi rivolgendolo all’acqua che pareva una lunga striscia sotto il ciclo luminoso. Quindi si diresse con passo deciso verso il mini bar, prese la bottiglia di scotch e un bicchiere e li posò sul tavolo. Versatasi un’abbondante dose del liquido dall’odore pungente, ne bevve la metà, contraendo la nuova pelle liscia nell’accattivante smorfia che tante volte avevo visto sul suo vecchio volto. Infine fissò i suoi irresistibili occhi su di me.

«Ebbene, stava cercando un rifugio», disse. «Era proprio come dicevi tu. Avrei dovuto sapere che l’avrebbe fatto! Dannazione, non ci ho pensato. Eravamo troppo impegnati a gestire lo scambio. E, Dio mi è testimone, non avrei mai pensato che avrebbe tentato di indurii a esercitare la Magia Tenebrosa. Che cosa gli ha fatto credere che avrebbe potuto ingannarti quando il sangue avesse iniziato a scorrere?»

Allargai le braccia. «Raccontami che cos’è successo», gli chiesi. «Ti ha sbalzato fuori del tuo corpo?»

«Sì, completamente. E per un momento non sono nemmeno riuscito a capire che cosa fosse successo! Non puoi immaginare Il suo potere! Era disperato, certo, come lo eravamo noi! Ho cercato subito di riprendere il mio corpo, ma lui mi ha respinto, cominciando a sparare contro di te!»

«Contro di me? Non avrebbe potuto farmi nulla con quella, David!»

«Ma io non potevo esserne sicuro, Lestat. Supponi che una delle pallottole ti avesse colpito in un occhio! Avrebbe potuto causare uno shock al tuo corpo e lui sarebbe riuscito a tornarci dentro! E non posso certo dire di avere molta esperienza come viaggiatore dello spirito. Di certo non al suo livello. Ero in uno stato di puro terrore. Poi tu te ne sei andato, io non ero ancora riuscito a riprendere il mio corpo e lui stava puntando la pistola contro l’altro, riverso sul pavimento. Non sapevo neppure se sarei riuscito a impossessarmi di quel corpo. Non avevo mai fatto una cosa simile e neppure quando tu m’invitasti a farlo, ci provai. La possessione di un corpo… Per me è un atto moralmente ripugnante, analogo al causare in modo deliberato la morte di un altro essere umano. Ma quel maledetto stava per fare saltare la testa a quel corpo, cioè lo avrebbe fatto, se avesse saputo usare davvero la pistola. E io dov’ero? Che cosa mi sarebbe successo? Quel corpo era la mia unica possibilità di rientrare nel mondo fisico. Mi c’infilai nel modo in cui ti avevo insegnato a entrare nel tuo. E subito lo misi in piedi, saldo sulle gambe; a lui sferrai un pugno e riuscii quasi a disarmarlo. Nel frattempo il passaggio esterno brulicava di passeggeri e camerieri in preda al panico! Sparò un altro colpo mentre io mi gettavo fuori della veranda per lasciarmi cadere sul ponte inferiore. Non penso di essermi reso conto di che cosa fosse successo fino all’impatto con le assi. Nel mio vecchio corpo la caduta mi avrebbe provocato la rottura di una caviglia, forse persino di una gamba. Mi ero mentalmente preparato all’inevitabile, lancinante dolore e invece scoprii che non mi ero fatto male e mi ero rialzato quasi senza sforzo. Corsi allora lungo il ponte ed entrai nella porta del Queens Grill Lounge. E ovviamente ero andato dalla parte sbagliata. Gli uomini della sicurezza stavano passando da quella sala diretti alle scale del Ponte Segnalazioni. Lo avrebbero di certo arrestato. Dovevano farlo. Ed era stato così goffo con quella pistola, Lestat. Si comportava come me lo avevi descritto una volta. Non sa proprio come muoversi nei corpi che ruba. Rimane troppo se stesso!»