S’interruppe, finì lo scotch e tornò a riempirsi il bicchiere. Come ipnotizzato, io lo osservavo e lo ascoltavo, rapito dalla sua voce e da quel volto luminoso. Anche se non ci avevo mai pensato, in quel giovane maschio la tarda adolescenza era appena giunta al termine, completata, come un fior di conio, senza il minimo segno di usura.
«In questo corpo non ti capita di ubriacarti come un tempo, vero?» chiesi.
«No», disse. «A dire il vero, niente è come un tempo. Niente. Ma fammi continuare. Non avrei voluto lasciarti sulla nave, perché temevo per la tua incolumità. Ma non avevo altra scelta.»
«Ti avevo detto di non preoccuparti per me», ribattei. «Oh, Signore Iddio, sono quasi le stesse parole che ho usato con lui… quando pensavo che fosse te. Ma va’ avanti. Cos’è successo dopo?»
«Be’, tornai nel passaggio dietro il Queens Grill Lounge, da dove potevo vedere l’interno dall’oblò della porta. Immaginai che lo avrebbero fatto passare da quella parte: non conoscevo altre strade e volevo avere la certezza, che fosse stato catturato. Capisci, non avevo ancora deciso che fare. Nel giro di pochi secondi, comparve un esercito di ufficiali con al centro il vecchio me stesso, David Talbot, che fu fatto passare in fretta attraverso il Queens Grill, verso la prua della nave. Ah, che spettacolo vederlo mentre tentava di mantenere un atteggiamento di compostezza e di discutere con gli ufficiali in modo cordiale, come se fosse stato un gentiluomo molto ricco e influente che si era ritrovato coinvolto in qualche sordida e fastidiosa faccenda.»
«Posso immaginarlo.»
«Ma a che gioco sta giocando, mi chiedevo. Non mi resi conto che stava già pensando al futuro, a come trovare rifugio presso di te. Ciò che mi frullava per la testa era: che cosa sta combinando, adesso? Poi capii che li avrebbe mandati a cercarmi e che mi avrebbe incolpato dell’accaduto, era ovvio. Ho controllato subito nelle tasche: c’erano il passaporto di Sheridan Blackwood, il denaro che gli avevi lasciato per aiutarlo a fuggire dalla nave e la chiave della tua cabina al piano di sopra. Pensavo a che cosa mi conveniva fare. Se fossi andato in quella cabina, probabilmente mi avrebbero trovato perché, anche se lui non conosceva il nome sul passaporto, i camerieri avrebbero fatto due più due. Ero ancora indeciso sul da farsi, quando dagli altoparlanti una voce monocorde cominciò a dire che il signor Raglan James era pregato di presentarsi subito a un qualsiasi ufficiale della nave. Ecco, mi aveva coinvolto, nella certezza che io avessi il passaporto che aveva dato a te. Ed era solo una questione di tempo prima che Raglan James venisse collegato al nome Sheridan Blackwood. Forse, in quel preciso momento, stava fornendo loro la mia descrizione fisica. Non osavo scendere fino al Ponte Cinque per sapere se avevi raggiunto sano e salvo il tuo nascondiglio, perché avrei potuto involontariamente guidarli fin là. C’era soltanto una cosa che potevo fare: nascondermi da qualche parte, fino a quando non avessi saputo che lui non era più sulla nave. Pensavo che a Barbados sarebbe stato arrestato a causa dell’arma; e poi forse ignorava quale nome ci fosse sul suo passaporto e loro avrebbero potuto darci un’occhiata prima di lui. Allora sono sceso fino al Club Lido, dove la maggioranza dei passeggeri stava facendo colazione; ho preso una tazza di caffè e sono scivolato in un angolo. Nel giro di pochi minuti, però, ho capito che non avrebbe funzionato. Sono comparsi due ufficiali che stavano cercando qualcuno e che per un soffio non mi hanno visto. Allora mi sono messo a chiacchierare con due gentili signore sedute accanto a me e sono riuscito a inserirmi nel loro gruppo. Nel giro di pochi secondi dopo il passaggio degli ufficiali, ho sentito un secondo annuncio dagli altoparlanti di servizio. Quella volta col nome giusto: il signor Sheridan era pregato di rivolgersi subito a un qualsiasi ufficiale della nave. E allora ho avuto un orribile presentimento. Mi trovavo nel corpo del meccanico londinese che aveva massacrato la sua famiglia e poi era fuggito da un manicomio; le sue impronte digitali erano sicuramente schedate e James era il tipo da informarne le autorità. E stavamo per attraccare a Barbados! Se fossi stato preso, nemmeno il Talamasca avrebbe potuto far rilasciare quel corpo. Sebbene fosse doloroso lasciarti, dovevo assolutamente cercare di fuggire dalla nave.»
«Avresti dovuto sapere che sarei stato bene. Ma come mai non ti hanno fermato sulla passerella?»
«Ah, quasi mi fermavano, ma c’era una tale confusione. Il porto di Bridgetown è piuttosto grande e la nave era attraccata proprio al molo. Non c’era bisogno della piccola lancia. Inoltre i funzionari della dogana avevano impiegato talmente tanto tempo ad autorizzare lo sbarco che nei corridoi del ponte inferiore si erano affollate centinaia di persone in attesa di scendere a terra. I funzionari controllavano le carte d’imbarco meglio che potevano, ma io riuscii di nuovo a intrufolarmi in un gruppetto di signore inglesi e cominciai a lodare i panorami di Barbados e il tempo meraviglioso, e riuscii a passare. Scesi sul molo e m’incamminai verso la dogana. Temevo che prima di lasciarmi passare controllassero il mio passaporto. Non dimenticare che mi trovavo in quel corpo da meno di un’ora! Ogni passo era per me una sensazione stranissima. Più di una volta abbassai lo sguardo sulle mie nuove mani, rimanendone sconvolto. Chi ero? Guardavo in faccia la gente come se sbirciassi da dietro una maschera. Non riesco a immaginare che impressione possa aver fatto loro!»
«Ti capisco, credimi.»
«Oh, ma la forza, Lestat… Quello non lo puoi sapere. Era come se avessi bevuto uno stimolante così forte da saturare ogni fibra! E i miei giovani occhi, ah, vedono così bene e lontano.»
Annuii.
«Be’, a voler essere sinceri, ero ben poco in grado di ragionare. L’edificio della dogana era molto affollato perché in porto c’erano diverse navi da crociera: la Wind Song e la Rotterdam, e poi credo che proprio di fronte alla Queen Elizabeth 2 avesse attraccato la Royal Viking Sun. In ogni caso, il posto brulicava di turisti, e presto mi resi conto che venivano controllati solo i passaporti di chi tornava alle navi. Entrai in uno di quei negozietti da turisti, conosci il genere, e vi comprai un paio di occhiali a specchio, del tipo che portavi tu quando la tua pelle era così pallida, e una maglietta con l’immagine di un pappagallo. Poi, tolte giacca e camicia, indossai quell’obbrobriosa maglietta e gli occhiali, e mi appostai in un punto da cui potevo vedere il molo per tutta la sua lunghezza. Non sapevo che altro fare. Ero terrorizzato all’idea che cominciassero a perquisire le cabine! Che cosa avrebbero fatto se non fossero riusciti ad aprire la porticina sul Ponte Cinque o addirittura se avessero trovato il tuo corpo nel baule? D’altra parte, come avrebbero potuto pensare di mettersi a fare una perquisizione del genere? E perché avrebbero dovuto pensare di farla? Avevano già l’uomo con la pistola.»
S’interruppe di nuovo per bere un altro sorso di scotch. Mentre descriveva tutta la storia, appariva sincero nella sua angoscia, sincero come mai era stato quando si trovava nella sua vecchia carne.
«Ero fuori di me, davvero. Ho cercato di usare i miei vecchi poteri telepatici e mi ci è voluto un po’ per ritrovarli e rendermi così conto che il corpo ne era una componente più importante di quanto avessi mai creduto.»
«Non è una sorpresa per me», ribattei.
«All’inizio riuscii a captare solo immagini e pensieri dei turisti più vicini a me. Non serviva assolutamente a niente. Ma per fortuna quell’agonia durò poco. Fecero sbarcare James, sempre scortato dall’esercito di ufficiali. Devono aver pensato che non ci fosse peggior criminale di lui. James portava con sé il mio bagaglio e ancora una volta appariva il ritratto della compostezza: chiacchierava e sorrideva, mentre gli ufficiali, in tensione e un po’ impacciati, consegnavano lui e il suo passaporto al personale della dogana. Pensai che lo stavano obbligando a lasciare definitivamente la nave, visto che gli avevano perquisito anche il bagaglio. Per tutto il tempo rimasi appoggiato al muro dell’edificio, quasi come un barbone, giacca e camicia sul braccio, a fissare da dietro le pacchiane lenti a specchio quell’uomo anziano, un dignitoso me stesso. A che gioco sta giocando? mi chiesi. Perché ha voluto quel corpo? Come ti ho detto, non capii che colpo di genio fosse stato. Seguii quel piccolo plotone all’esterno, dove aspettava una macchina della polizia; vi caricarono il bagaglio di James, che nel frattempo continuava a cianciare, a stringere la mano degli ufficiali che non lo avrebbero accompagnato. Mi sono avvicinato a sufficienza da udire i suoi ringraziamenti e le scuse, gli ipocriti complimenti e l’entusiasmo con cui assicurava che si era proprio goduto il viaggio, seppur breve. Sembrava piacergli un mondo quella pagliacciata.»