S’interruppe ancora, sospirando. «So che avrei dovuto proseguire per Miami per avvertirti della presenza del Ladro di Corpi. Ma allora pensai che, se mi fossi mosso subito, forse avrei raggiunto il Park Central Hotel prima di te e così avrei dovuto affrontare il Ladro di Corpi prima che potessi farlo tu.»
«E non volevi farlo.»
«No, non volevo.»
«David, è perfettamente comprensibile.»
«Davvero?» Mi guardò.
«Lo chiedi a un piccolo demone come me?»
Sorrise debolmente. E, prima di proseguire, tornò a scuotere la testa. «Ho passato a Barbados la notte e metà della giornata di oggi. Il passaporto era già pronto ieri, in tempo per l’ultimo volo per Miami. Ma non sono partito. Sono rimasto nell’albergo sul mare, ho cenato là e ho bighellonato per Bridgetown. Non sono partito prima di oggi, a mezzogiorno.»
«Te l’ho detto, ti capisco.»
«Davvero? E se quel demone ti avesse aggredito di nuovo?»
«Impossibile! Lo sappiamo entrambi. Se fosse stato capace di farlo con la forza, lo avrebbe fatto la prima volta. Smettila di tormentarti, David. Nemmeno io sono venuto la notte scorsa, pur pensando che tu potessi avere bisogno di me. Sono andato da Gretchen.» Alzai le spalle. «Smettila di preoccuparti di ciò che non ha importanza. Tu sai che cosa conta veramente, e cioè quello che ora sta accadendo al tuo vecchio corpo. Non l’hai ancora capito, amico mio. Ho inflitto a quel corpo un colpo mortale! Vedo che continui a non capire. Credi di capire, ma sei ancora in uno stato di stordimento.»
Quelle parole lo colpirono duramente.
Mi si spezzava il cuore a scorgere il dolore nei suoi occhi e i segni della sofferenza sulla sua pelle senza rughe. Tuttavia, ancora una volta, l’unione di una nobile e vecchia anima con una forma giovane era così meravigliosa e intrigante che non riuscii a far altro che fissarlo, pensando a come lui mi aveva fissato a sua volta a New Orleans e a come mi aveva irritato quell’atteggiamento.
«Devo andarci, Lestat. In quell’ospedale. Devo vedere che cos’è successo.»
«Io ci andrò. Puoi venire con me. Ma nella camera d’ospedale entrerò da solo. Dov’è il telefono? Devo chiamare il Park Central e scoprire dove hanno portato il signor Talbot! Forse mi staranno ancora cercando. L’incidente è avvenuto nella mia camera. Forse sarebbe meglio se telefonassi all’ospedale.»
«No!» Si allungò a toccarmi la mano. «Non farlo. Dovremmo andare là. Dovremmo… vedere… coi nostri occhi. Io devo vedere di persona. Ho… ho un presentimento.»
«Anch’io.» Ma era più di un presentimento. Avevo visto quel vecchio dai capelli grigio ferro cadere preda delle convulsioni su quel letto sporco di sangue.
28
L’Ospedale era un policlinico in cui venivano portati tutti i casi d’emergenza e, ancora a quell’ora tarda della notte, le ambulanze s’affollavano agli ingressi, mentre medici in camice bianco si preparavano ad accogliere nuovi pazienti, vittime d’incidenti stradali, d’improvvisi infarti, o cadute sotto i colpi di coltelli o di comuni pistole.
Ma David Talbot era stato portato lontano dalle luci abbaglianti e dall’incessante frastuono, tra le pareti silenziose di un piano alto, Terapia Intensiva.
«Tu aspetta lì», dissi a David con fermezza, indicandogli una triste sala d’aspetto con riviste sciupate sparse qua e là. «Non muoverti da lì.»
II corridoio era silenzioso. M’incamminai verso le porte all’estremità opposta. Tornai soltanto pochi istanti dopo. David era seduto con lo sguardo fisso nel vuoto, le lunghe gambe incrociate davanti a sé, le braccia conserte sul petto.
Come se si destasse da un sogno, alzò gli occhi. Cominciai a tremare, in modo quasi incontrollabile, e la serena tranquillità del suo volto non fece che peggiorare il mio già terribile rimorso.
«David Talbot è morto», mormorai, cercando di rendere intelligibili le parole. «È morto mezz’ora fa.»
Non mostrò nessuna reazione. Era come se non avessi nemmeno parlato. E tutto ciò che riuscivo a pensare era: ho preso io questa decisione per te! È stata colpa mia. Io ho portato il Ladro di Corpi nel tuo mondo, sebbene tu mi avessi avvertito di non farlo. È io ho ucciso il tuo vecchio corpo! E Dio solo sa che cosa proverai quando ti renderai conto di ciò che è accaduto, perché ancora non te ne sei reso conto.
Si alzò molto lentamente.
«Oh, invece lo so», sussurrò. Venne verso di me e mi posò le mani sulle spalle: il suo atteggiamento era così simile a quello di un tempo che fu come vedere due esseri distinti fusi in uno. «È il Faust, mio caro amico», riprese. «E tu non sei stato Mefistofele. Tu eri soltanto Lestat, che colpiva per rabbia. E ora è fatta!»
Indietreggiò e si rimise a fissare il nulla, mentre dal suo volto scomparivano i segni della sofferenza. Era immerso nei suoi pensieri, indifferente a me che me ne stavo lì, tremante, ansioso di riacquistare il controllo e di credere che quello fosse ciò che voleva.
Però capii. Come avrebbe potuto non volerlo? E capii anche qualcos’altro. Lo avevo perso per sempre. Non avrebbe mai e poi mai acconsentito a venire con me, ormai. La più remota possibilità era stata spazzata via da quel miracolo. Come avrebbe potuto essere altrimenti? Sentii questo pensiero penetrare dentro di me, in profondità. Pensai a Gretchen e all’espressione del suo volto. E per un fugace momento mi ritrovai nella stanza col falso David, che mi guardava con quegli splendidi occhi scuri e mi diceva di volere il Dono Tenebroso.
Una fitta di dolore mi attraversò, facendosi sempre più acuta e forte, come se il mio corpo fosse divorato da un soprannaturale fuoco interiore.
Non dissi nulla. Guardai le lampade fluorescenti, l’arredamento squallido e rovinato e una rivista impolverata con un bambino che sorrideva in copertina. Poi fissai lui. Il dolore si spense a poco a poco, lasciando infine un senso di ottundimento. Aspettai. Non avrei potuto dire niente per nessun motivo, non in quel momento.