Dopo avere riflettuto a lungo, lui sembrò risvegliarsi da un incantesimo. La grazia felina dei suoi movimenti mi stregò ancora una volta. In un sussurro mi disse che doveva vedere il corpo. Annuii.
Lui estrasse dalla tasca un passaporto inglese, senza dubbio quello falso che si era procurato a Barbados, e lo guardò come se stesse cercando di penetrare un enigma piccolo ma importante. Poi me lo diede, anche se non capivo il perché. Interrogavo il suo bel volto giovane, soffuso dalla luce della saggezza: perché dovevo guardare la foto? Lo feci perché così voleva lui e sotto il nuovo volto lessi il vecchio nome: David Talbot.
Aveva usato il suo nome sul documento falso, come se…
«Sì», disse. «Come se sapessi che non sarei mai più stato il vecchio David Talbot.»
II defunto signor Talbot non era ancora stato portato all’obitorio, perché da New Orleans stava arrivando un suo caro amico, un certo Aaron Lightner, che aveva preso un aereo a nolo e sarebbe giunto molto presto.
II cadavere si trovava in una stanzetta immacolata. Un uomo anziano con una folta capigliatura grigio scuro, la testa sul cuscino, immobile, come se dormisse, e le braccia lungo i fianchi. Le guance erano già un po’ cascanti e, alla luce gialla della lampada, il naso sembrava più affilato di quanto non fosse in realtà.
Avevano spogliato il corpo del completo di lino, lo avevano lavato e rivestito con una semplice camicia da notte di cotone. Le coperte erano tese con l’orlo del lenzuolo azzurro pallido, disteso con cura sul petto, che copriva il bordo della coperta bianca. Le palpebre erano come sagomate sugli occhi, come se la pelle si stesse già distendendo o persino sciogliendo. Per i sensi acuti di un vampiro emanava già la fragranza della morte.
Ma David non se ne sarebbe accorto, non avrebbe colto quell’odore.
Rimase accanto al letto con lo sguardo fisso sul cadavere, sul suo stesso volto immobile dalla pelle giallognola e sull’accenno di barba che sembrava sporca e trascurata. Con mano incerta sfiorò i propri capelli grigi, indugiando sui riccioli appena dietro l’orecchio destro. Poi si ritrasse e si limitò a guardare, come se si trovasse a un funerale a porgere omaggio.
«È morto», mormorò. «Morto davvero.» Trasse un profondo sospiro e il suo sguardo si spostò sul soffitto e sulle pareti della stanzetta, sulla finestra con le persiane chiuse e infine sul linoleum del pavimento. «Non sento più vita, né in lui né intorno a lui», disse, con voce sommessa.
«No. Non c’è niente», risposi. «II processo di putrefazione è già iniziato.»
«Credevo di trovarlo ancora qui!» mormorò. «Come un filo di fumo, in questa camera. M’ero immaginato di percepirlo, vicino a me, intenzionato a cercare di rientrare nel mio nuovo corpo.»
«Forse è qui, e non ci riesce. E così penoso, persino per un essere come lui.»
«No», replicò. «Non c’è nessuno, qui.» Poi fissò il suo vecchio corpo come se non potesse distogliere lo sguardo.
I minuti passarono. Osservavo la tensione sul suo volto, la pelle perfetta ed elastica contrarsi per l’emozione e poi distendersi. Si era rassegnato? Mi era vicino come mai era stato e, sebbene la sua anima rifulgesse ai miei occhi di una luce così bella, lui sembrava profondamente perso nel suo nuovo corpo.
Infine sospirò e si ritrasse. Uscimmo dalla stanza. Ci fermammo nel corridoio, sotto le fioche luci fluorescenti, a guardare fuori della finestra. Le luci di Miami. Un rumore sordo proveniva dalla vicina autostrada, la cui serie di ardenti lampioni sembrava avvicinarsi minacciosamente prima che la strada curvasse, s’innalzasse di nuovo sui piloni di cemento e schizzasse via.
«Ti rendi conto di aver perso Villa Talbot?» chiesi. «Apparteneva a quell’uomo.»
«Sì, ho considerato questo fatto», rispose con indifferenza. «Appartengo a quel genere d’inglesi che fanno riflessioni simili. E pensare che va a un cuginetto noioso che vorrà soltanto metterla subito in vendita.»
«Te la ricomprerò.»
«Potrebbe farlo l’ordine. Nel testamento, i suoi membri figurano come eredi per la maggior parte del mio patrimonio.»
«Non esserne così sicuro. Perfino il Talamasca potrebbe non essere pronto per questo! Inoltre, gli esseri umani possono trasformarsi in assolute belve quando si tratta di denaro. Chiama il mio agente a Parigi. Gli darò istruzioni di procurarti tutto quello che desideri. Farò in modo che la tua fortuna ti venga restituita, fino all’ultima sterlina, e soprattutto che ti venga ridata la casa. Puoi avere tutto ciò che è mio.»
Sulle prime sembrò vagamente sorpreso. E poi commosso.
Non potevo evitare di chiedermi: ero mai stato io così a mio agio in quel corpo alto e agile? Di certo, i miei movimenti erano stati più impulsivi e persino un po’ violenti. Anzi la forza mi aveva indotto a una certa mancanza di attenzione. Lui, invece, sembrava avere assimilato la conoscenza di ogni singolo tendine e osso.
Lo vidi nel ricordo, il vecchio David, che procedeva a grandi passi lungo le strette strade acciottolate di Amsterdam, evitando le biciclette che gli sfrecciavano accanto. Anche allora aveva mostrato lo stesso contegno.
«Lestat, tu non sei responsabile per me, adesso», mormorò. «Non sei stato tu la causa di tutto ciò.»
Mi sentii improvvisamente affranto. Ma c’erano parole che bisognava pronunciare, no? «David», esordii, cercando di non rivelare il mio rammarico. «Non avrei potuto sconfiggerlo se non fosse stato per te. A New Orleans ti ho detto che sarei stato il tuo schiavo per l’eternità se solo tu mi avessi aiutato a riprendere il mio corpo. E tu lo hai fatto.» La mia voce tremava, una cosa che odiavo. Ma perché non dire tutto subito? Perché prolungare il dolore? «So benissimo di averti perso per sempre, David. So che ora non accetterai mai da me il Dono Tenebroso.»
«Ma perché sostieni di avermi perso, Lestat?» replicò con voce bassa e trepidante. «Perché devo morire per amarti?» Strinse le labbra, cercando di reprimere l’improvvisa ondata di emozione. «Perché dovrei pagare questo prezzo, soprattutto ora che sono più vivo che mai? Signore Iddio, di certo afferri la portata di ciò che è successo! Io sono rinato.»
Mi posò la mano sulla spalla, con le dita che cercavano di serrarsi su quel duro corpo alieno che a malapena sentiva il suo tocco, o che piuttosto lo avvertiva in un modo che lui non avrebbe mai conosciuto. «Ti amo, amico mio», disse con lo stesso sussurro ardente. «Ti prego, non lasciarmi ora. Tutto questo ci ha avvicinato tanto.»
«No, David, non l’ha fatto. In questi ultimi, pochi giorni siamo stati vicini perché eravamo entrambi uomini mortali. Abbiamo visto il medesimo sole e il medesimo crepuscolo, abbiamo sentito la stessa attrazione terrestre sotto i piedi. Abbiamo bevuto e spezzato il pane insieme. Avremmo potuto fare l’amore, se tu avessi permesso una cosa simile. Ma tutto questo è cambiato. Tu hai la tua giovinezza, sì, e tutta l’incantevole meraviglia che accompagna il miracolo. Ma io continuo a scorgere la morte quando ti guardo, David. Vedo uno che cammina al sole con la morte proprio al suo fianco. So che non posso essere il tuo compagno e che tu non puoi essere il mio. Mi costa troppo dolore.»
Lui chinò il capo, lottando in silenzio per mantenere il controllo. «Non lasciarmi», sussurrò. «Chi altri al mondo può capire?»
Provai l’irresistibile impulso di supplicarlo. Pensa, David, pensa all’immortalità in questa splendida forma giovane. Volevo raccontargli di tutti i posti in cui, entrambi immortali, saremmo potuti andare e delle meraviglie che avremmo potuto vedere. Volevo descrivergli quell’oscuro tempio che avevo scoperto nelle profondità della foresta pluviale e dirgli com’era stato aggirarsi nella giungla, senza paura, e con una vista in grado di penetrare negli angoli più bui… Oh, tutto ciò minacciava di uscirmi in un fiume di parole, e io non feci nessuno sforzo per celare i miei pensieri o le mie emozioni. Oh, sì, sei di nuovo giovane e ora puoi esserlo per sempre. È il più bel veicolo per il tuo viaggio nelle tenebre che si potesse concepire: è come se gli spiriti dell’oscurità avessero fatto tutto ciò per prepararti! La saggezza e la bellezza sono entrambe tue. I nostri dei hanno realizzato l’incantesimo. Vieni, vieni con me ora.