Com’era precisa la mia memoria!
Più e più volte mi raccomandai che prendesse nota di ogni mia parola. «Deve trovare un vaso greco, no, una riproduzione non va bene, e dev’essere alto così e avere figure di danzatori.» Ah, non era stata quell’ode di Keats a ispirare quell’acquisto di tanto tempo fa? Dov’era finita quell’urna? «E il caminetto… Quella non è la struttura originale. Deve trovarne una di marmo bianco, con volute fatte così, e che si curvi sopra la grata. Oh, e quegli altri caminetti devono essere riparati. Devono essere in grado di bruciare carbone. Tornerò a vivere qui appena lei avrà finito», conclusi. «Perciò deve fare in fretta. E un’altra raccomandazione. Qualunque cosa troviate in questi locali, nascosta nel vecchio intonaco, dovete darla a me.»
Che piacere era trovarsi sotto quei soffitti alti e che gioia sarebbe stata vederli non appena i fragili stucchi, che si stavano sbriciolando, fossero stati restaurati. Come mi sentivo libero e tranquillo. Il passato era lì, eppure non lo era. Niente più sussurri di fantasmi, se mai c’erano stati.
Descrissi i candelieri che volevo. Quando non riuscivo a trovare i termini giusti, gli raccontavo per immagini quello che c’era stato lì un tempo. Volevo avere anche lampade a olio, sebbene ci dovesse essere anche l’elettricità, e avremmo nascosto i vari schermi televisivi in graziosi armadietti, per non guastare l’effetto. E là, un mobiletto per le mie videocassette e i miei CD e, anche in quel caso, avremmo dovuto trovare qualcosa di adatto: un armadio orientale dipinto avrebbe fatto al caso nostro. Nascondere i telefoni.
«E un fax ! Devo avere una di quelle piccole meraviglie! Trovi un posto per nasconderlo. Per esempio, può usare quella stanza per farne uno studio, soltanto lo renda comodo e lussuoso. Non ci dev’essere di visibile nulla che non sia di ottone lucido, lana pregiata, legno lustro, seta o pizzo di cotone. Voglio un murale in quella camera da letto. Ecco, le faccio vedere. Guardi, vede la carta da parati? È proprio quello il murale. Faccia venire un fotografo e documenti ogni centimetro e poi cominci il suo restauro. Lavori con cura ma molto velocemente.»
Terminammo con l’interno umido e buio. Era il momento di discutere del cortile sul retro con la sua fontana rotta, e di come si dovesse ristrutturare la cucina. Volevo le buganvillee, la Petrea volubilis (come l’adoravo!) e l’ibiscus gigante, sì, avevo appena visto quel fiore delizioso ai Caraibi, e il convolvolo notturno, anche. Banani, mi doveva procurare pure quelli. Ah, i vecchi muri stavano cadendo a pezzi. Li doveva riparare, puntellandoli. E sulla veranda sul retro volevo delle felci, delicate felci di tutti i tipi. Il clima si stava riscaldando di nuovo, no? Sarebbero state bene.
E poi ancora una volta al piano di sopra, attraverso la lunga struttura vuota della casa fino alla veranda anteriore.
Aprii, forzandole, le porte finestre e uscii sulle assi marce. Le vecchie e ricercate ringhiere di ferro non erano poi così arrugginite. Il tetto era da rifare. Ma ben presto sarei di nuovo stato seduto lì fuori come facevo ogni tanto ai vecchi tempi, a guardare i passanti sull’altro lato della strada.
I fedeli e zelanti lettori dei miei libri mi avrebbero trovato lì, di tanto in tanto. I lettori delle memorie di Louis, se fossero venuti a cercare l’appartamento in cui era vissuto, avrebbero riconosciuto di certo la casa.
Non importa. Ci credevano, ma ciò è diverso dal crederlo davvero. E cosa ci sarà mai di strano in un altro giovane biondo, che sorride da un alto balcone, con le braccia appoggiate alla ringhiera? Non mi nutrirei mai di quegli esseri teneri e innocenti: persino quando mi mostrano le loro gole e dicono: «Lestat, qua!» (Questo è successo, lettore, in Jackson Square, e più di una volta.)
«Deve affrettarsi», dissi al giovane che stava ancora scribacchiando, prendendo misure, mormorando tra sé a proposito di colori e tessuti, e sobbalzando quando si ritrovava Mojo accanto, di fronte, o tra i piedi. «La voglio finita prima dell’estate.» Era piuttosto agitato quando lo congedai. Io rimasi nel vecchio edificio con Mojo, solo.
La soffitta. Non vi ero mai salito, ai bei tempi andati. Ma c’era una vecchia rampa di scale nascosta dalla veranda sul retro, appena oltre il salotto in fondo, proprio la stanza in cui Claudia aveva trafitto la mia bianca pelle sottile col suo grande pugnale lampeggiante. Ci andai, salendo nelle stanze basse sotto il tetto spiovente. Ah, era alto abbastanza perché potesse camminarci un uomo di un metro e ottanta, e gli abbaini sul lato anteriore facevano entrare la luce dalla strada.
Dovrei farla diventare la mia tana, pensai: un semplice sarcofago con un coperchio che nessun mortale potrebbe sperare di rimuovere. Dovrebbe essere abbastanza facile costruire una piccola camera sotto il frontone, dotata di spesse porte di bronzo che progetterei io stesso. E, quando mi alzerò, scenderò nella casa e la troverò proprio com’era in quell’epoca fantastica, con la differenza che avrò intorno a me le meraviglie tecnologiche di cui ho bisogno. Il passato non sarà riportato in vita. Il passato sarà del tutto sparito.
«Non è così, Claudia?» mormorai, nel salotto sul retro. Non ebbi risposta. Nessun suono di clavicembalo né di un canarino che cantasse nella sua gabbia. Ma avrei avuto di nuovo uccelli canori, sì, molti, e la casa sarebbe stata piena della ricca ed esuberante musica di Haydn o Mozart.
Oh, mia cara, vorrei che tu fossi qui!
E la mia anima tenebrosa era di nuovo felice, perché il dolore è un oscuro mare profondo nel quale affogherei, se non guidassi con sicurezza la mia piccola imbarcazione, diretto verso un sole che non sorgerà mai.
Era ormai passata la mezzanotte. La cittadina canticchiava sommessamente intorno a me con un coro di voci intrecciate, l’attutito clic, clac di un treno distante, il basso vibrare di un fischio sul fiume e il rombo del traffico.
Entrai nel vecchio salotto e fissai le pallide chiazze luminose della luce attraverso i pannelli delle porte. Mi distesi sul nudo legno, Mojo venne a stendersi accanto a me e lì dormimmo.
Non sognai di lei. Allora perché stavo piangendo sommessamente quando venne infine il momento di cercare la sicurezza della mia cripta? E dov’era il mio Louis, il mio Louis traditore e ostinato? Dolore… Ah, e sarebbe peggiorato, vero, quando lo avessi rivisto, e cioè ben presto?
Con un sobbalzo, mi resi conto che Mojo stava leccando le lacrime di sangue dalle mie guance. «No. Non devi farlo mai!» dissi, serrando la mia mano sulla sua bocca. «Mai, mai quel sangue. Quel sangue è malvagio.» Ero davvero sconvolto. Lui mi obbedì subito, allontanandosi un poco da me con quel suo fare dignitoso e tranquillo.
Come sembravano demoniaci i suoi occhi mentre mi fissava. Che inganno! Lo baciai ancora, sul punto più morbido del lungo muso peloso, appena sotto gli occhi.
Pensai ancora a Louis e il dolore mi travolse, come se uno degli anziani mi avesse sferrato un colpo dritto al petto. In effetti le mie emozioni erano così forti, così al di fuori del mio controllo, che mi spaventai e per un momento non pensai che a quel dolore e non sentii altro.
Con l’occhio della mente, vedevo tutti gli altri. Richiamai i loro volti come se fossi la strega di Endor protesa sul calderone a evocare le immagini dei morti.
Maharet e Mekare, le gemelle dai capelli rossi, le vidi insieme: essendo le più anziane di noi, potrebbero non aver neppure afferrato il mio dramma, tanto erano remote nella loro grande anzianità e saggezza, e avvolte nei loro inevitabili pensieri senza tempo. Mi raffigurai Eric e Mael e Khayman, i quali certo non erano molto interessati a me, e difatti si erano rifiutati di venirmi in aiuto. Non erano mai stati miei compagni. Che m’importava di loro? Poi vidi Gabrielle, la mia amata madre: non poteva aver saputo del terribile pericolo che avevo corso, e stava di sicuro vagando per qualche lontano continente, dea cenciosa che, da sempre, aveva rapporti soltanto con ciò che era inanimato. Si nutriva ancora di umani? Non lo sapevo. Avevo confusi ricordi di lei abbracciata a qualche oscura bestia dei boschi. Era pazza, mia madre, ovunque fosse finita? Pensavo di no. Che esistesse ancora, ne ero certo. Che non avrei mai potuto trovarla, non nutrivo dubbi.