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Forse tutto ciò non corrispondeva esattamente alle parole di Louis, ma, in un certo senso, così stavano le cose. Era l’assoluta verità.

«Hai sofferto, in mia assenza?» chiesi, tornando a guardare l’altare.

«È stato un vero inferno», rispose con semplicità.

Non replicai.

«Ogni rischio che corri mi fa male», disse. «Ma questo è un problema mio.»

«Perché mi ami?» chiesi.

«Lo sai, lo hai sempre saputo. Desideravo essere te, conoscere la gioia che tu provi in continuazione.»

«E il dolore? Vorresti anche quello?»

«II tuo dolore?» Sorrise. «Certo. Farei cambio col tuo dolore in qualunque momento, come si dice.»

«Tu, cinico, bastardo bugiardo e compiaciuto», mormorai, mentre la rabbia improvvisamente montava in me e il sangue mi affluiva al volto. «Io avevo bisogno di te e tu mi hai cacciato via! Mi hai chiuso fuori, nella notte dei mortali. Mi hai respinto. Mi hai voltato le spalle!»

II fuoco nella mia voce lo fece trasalire, e fece trasalire anche me. Ma c’era, quel fuoco, non potevo negarlo. Di nuovo, le mani mi tremavano, quelle mani che si erano avventate contro il falso David, anche se il resto del mio potere era tenuto a freno.

Non proferì parola. Il suo volto manifestava quei cambiamenti indotti da un’emozione improvvisa: il leggero tremolio di una palpebra, la bocca che si allungava per poi rilassarsi, un’espressione inacidita, che svaniva con la stessa velocità con cui era apparsa. Sostenne il mio sguardo accusatorio per un po’, ma poi abbassò gli occhi.

«È stato David Talbot, il tuo amico mortale, ad aiutarli, vero?» chiese.

Annuii.

Ma fu sufficiente sentir pronunciare il suo nome perché i miei nervi saltassero, come se fossero stati toccati con la punta di un ferro arroventato. Avevo già abbastanza sofferenza, dentro di me. Non potevo più parlare di David, né avrei parlato di Gretchen. D’un tratto mi resi conto che, sopra ogni altra cosa, volevo cingerlo con le mie braccia e piangere sulla sua spalla, come non avevo mai fatto.

Che vergogna. Così prevedibile! Così insulso. E così dolce.

Non lo feci.

Rimanemmo seduti in silenzio. La dolce cacofonia della città crebbe e calò al di là delle vetrate istoriate che catturavano la debole luminosità dei lampioni all’esterno. La pioggia era ricominciata, la dolce pioggia calda di New Orleans, nella quale si può camminare con facilità come se fosse soltanto una nebbiolina.

«Voglio che tu mi perdoni», dichiarò. «Voglio che tu capisca che non si è trattato di viltà, né di debolezza. Quello che ti ho detto allora era la verità. Non potevo farlo. Nemmeno a quell’uomo mortale dentro cui c’eri tu. No, non potevo.»

«Questo lo so», dissi.

Tentai di chiudere quel discorso. Ma non potevo. Il mio carattere m’impediva di calmarmi, il mio incredibile carattere, lo stesso che mi aveva fatto spingere la testa di David Talbot contro un muro.

Lui riprese a parlare. «Qualunque cosa tu intenda dirmi, me la merito.»

«Ah, ti meriti anche di più!» ribattei. «Ma c’è una cosa che voglio sapere.» Mi voltai, e, guardandolo, chiesi: «Me lo avresti rifiutato per sempre? Se Marius, o chiunque degli altri, avesse distrutto il mio corpo, se io fossi rimasto intrappolato in quella forma mortale, se fossi venuto da te più e più volte a pregarti e supplicarti, mi avresti tenuto fuori per sempre? Non avresti cambiato idea?»

«Non lo so.»

«Non rispondere così in fretta. Cerca la verità dentro di te. Tu lo sai. Usa la tua immaginazione. Tu lo sai. Mi avresti mandato via?»

«Non conosco la risposta!»

«Io ti disprezzo!» dissi in un sibilo amaro, duro. «Dovrei distruggerti, finire quello che ho cominciato quando ti ho creato. Dovrei ridurti in cenere e poi farla scorrere tra le mie mani. Sai che potrei farlo! Così! Con la stessa facilità di un mortale che schiocca le dita. Dovrei bruciarti come ho bruciato il tuo tugurio. E nulla potrebbe salvarti, proprio nulla.»

Lo fissai, torvo, osservando i lineamenti aggraziati e taglienti del suo volto imperturbabile, quasi fosforescente contro le ombre della chiesa. Com’erano belli i suoi occhi distanziati, con le loro delicate e folte ciglia nere. Com’era perfetta la tenera insenatura del suo labbro superiore.

La rabbia era come un acido dentro di me, distruggeva le stesse vene in cui scorreva, e spazzava via, bruciandolo, il sangue soprannaturale.

Eppure non potevo fargli del male. Non potevo nemmeno concepire di mettere in atto quelle orribili, vili minacce. Non avrei mai potuto nuocere a Claudia. Ah, creare qualcosa dal nulla, sì. Lanciare in aria i pezzi per vedere come sarebbero caduti, sì. Ma la vendetta… Che me ne facevo dell’arida, orribile, disgustosa vendetta?

«Pensaci su», mormorò. «Potresti creare un altro, dopo tutto quello che è successo? Potresti esercitare di nuovo la Magia Tenebrosa? E prenditi tu del tempo prima di rispondere. Cerca la verità dentro di te, come mi hai appena detto di fare. E, quando la conoscerai, non ci sarà bisogno di riferirmela.»

Poi si protese, annullando la distanza tra noi, e posò le sue labbra di velluto sulla mia guancia. Volevo sottrarrai, ma lui usò tutta la sua forza per tenermi fermo, e gli permisi di darmi quel bacio freddo, privo di passione. Alla fine, fu lui a ritrarsi, simile a una serie di ombre che crollano l’una sull’altra. Solo la sua mano rimase allora sulla mia spalla, mentre io sedevo immobile, con gli occhi fissi all’altare.

Infine mi alzai, lo superai e feci segno a Mojo di svegliarsi e di seguirmi.

Percorsi la navata per tutta la sua lunghezza fino ai portoni della cattedrale. Trovai l’angolo in ombra dove le candele della vigilia ardevano sotto la statua della Vergine, un’alcova piena di luce gradevole e tremolante.

Rammentai gli odori e i suoni della foresta pluviale, il grande abbraccio oscuro di quegli alberi possenti. E poi vidi la piccola cappella imbiancata, nella radura, con le porte spalancate. Udii il suono sordo e irreale della campana nella brezza incostante. E percepii l’odore del sangue che scaturiva dalle ferite sulle mani di Gretchen.

Sollevai il lungo stoppino che era appoggiato lì per accendere le candele, e lo immersi in una fiamma vecchia, creando così una nuova fiamma dentro quella esistente, calda e gialla. Il fuoco attecchì e il profumo acre della cera bruciata si alzò, «Per Gretchen», stavo per dire, ma poi mi accorsi che non era affatto per lei che avevo acceso la candela. Alzai lo sguardo sul viso della Vergine. Vidi il crocifisso sopra l’altare di Gretchen. Ancora una volta, sentii intorno a me la pace della foresta pluviale, e scorsi la piccola corsia coi lettini. Per Claudia, la mia preziosa, splendida Claudia? No, nemmeno per lei, benché la amassi…

Sapevo che la candela era per me.

Era per l’uomo dai capelli castani che aveva amato Gretchen a Georgetown. Era per quel triste, disorientato demone dagli occhi azzurri che ero stato prima di diventare quell’uomo. Era per il ragazzo mortale di due secoli prima che se n’era andato alla volta di Parigi coi gioielli della madre in tasca e con nient’altro appresso, a parte i vestiti che indossava. Era per la perfida creatura impulsiva che aveva tenuto tra le braccia Claudia morente.

Era per tutti quegli esseri, e per il demone che in quel momento se ne stava lì perché amava le candele, e amava creare la luce dalla luce. Perché non c’era nessun Dio in cui lui credeva, e nessun santo, e nessuna Regina dei Cicli.

Perché aveva tenuto a freno il suo carattere aspro e non aveva distrutto il suo amico.