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«Perché è vero», risposi. Mi alzai e scostai la sedia con la gamba.

Alzò lo sguardo su di me. Soltanto in quel momento il suo corpo avvertì il pericolo. Vidi tendersi i bei muscoli delle sue braccia. I suoi occhi erano fissi nei miei.

«Perché parli così? Non potresti mai farlo», replicò.

«Certo che potrei. E lo farò. Adesso. Ti ho sempre detto che ero malvagio. Ti ho detto che sono il Diavolo in persona. Il Diavolo del tuo Faust, il Diavolo delle tue visioni, la tigre nel mio sogno!»

«No, non è vero.» Si alzò, facendo cadere la sedia e quasi perdendo l’equilibrio. Arretrò verso la stanza. «Tu non sei il Diavolo e sai di non esserlo. Non farmi questo! Te lo proibisco!» Serrò i denti sulle ultime parole. «Nel profondo del cuore, tu sei umano quanto lo sono io. E non lo farai.»

«Col cavolo che non lo farò», dissi. Risi. Non riuscii a trattenermi. «David, il Generale Superiore», sussurrai. «David, il sacerdote del Candomblé.»

Arretrò sul pavimento di piastrelle, mentre la luce gli illuminava in pieno il volto e i potenti muscoli tesi delle braccia.

«Vuoi opporti? È inutile. Non c’è forza al mondo che possa impedirmi di farlo.»

«Morirò piuttosto», disse con voce bassa e soffocata. Il suo volto stava diventando più scuro per l’afflusso di sangue. Ah, il sangue di David.

«Non ti lascerò morire. Perché non ti rivolgi ai tuoi spiriti brasiliani? Non ti ricordi come si fa, vero? Non sei concentrato. Be’, non ti servirebbe proprio a niente farlo.»

«Non puoi farmi questo», sussurrò. Stava lottando per rimanere calmo. «Non puoi ripagarmi in questo modo.»

«Oh, ma è così che il Diavolo ripaga chi lo aiuta!»

«Lestat, ti ho aiutato contro Raglan! Ti ho aiutato a recuperare quel corpo e tu mi hai promesso lealtà! Ricordi le tue parole?»

«Ti ho mentito, David. Ho mentito a me e agli altri. Ecco che cosa mi ha insegnato la mia piccola escursione nella carne: io mento. Mi sorprendi, David. Sei arrabbiato, tanto arrabbiato, però non hai paura. Tu sei come me, David. Tu e Claudia siete gli unici ad avere davvero la mia forza.»

«Claudia…» ripeté, annuendo. «Ah, già, Claudia. Ho qualcosa per te, amico mio.» Si allontanò, voltandomi le spalle, ostentando con quel gesto la sua mancanza di timore, e si mosse con calma verso il cassettone, accanto al letto. Quando tornò a voltarsi aveva in mano un medaglione. «Viene dalla Casa Madre. È il medaglione che mi hai descritto.»

«Ah, già, il medaglione. Dammelo.»

Soltanto allora, mentre lui lottava col piccolo scrigno d’oro ovale, vidi come gli tremavano le mani. Alla fine riuscì ad aprirlo e lo protese verso di me. Io guardai la miniatura dipinta: il volto, gli occhi, i riccioli d’oro… Una bambina che mi fissava, l’effigie dell’innocenza. Oppure non era un’effigie?

Lentamente, dal vortice incerto della memoria, emerse il momento in cui per la prima volta avevo posato lo sguardo su quel ciondolo e sulla sua catena d’oro… Quando, nella strada buia e fangosa, ero capitato nel tugurio infestato dalla peste in cui sua madre giaceva, morta, e la bambina era diventata cibo per il vampiro, un corpicino bianco che tremava impotente tra le braccia di Louis.

Come avevo riso di lui, strappando dal letto puzzolente il corpo della donna morta, la madre di Claudia. Poi avevo preso a danzare col cadavere. E sulla sua gola brillavano la catena d’oro e il medaglione, poiché nemmeno il più ardito dei ladri sarebbe entrato in quel tugurio per rubare quel gingillo dalle fauci stesse della peste.

L’avevo afferrato con la sinistra, proprio mentre lasciavo cadere quel povero corpo. La chiusura si era rotta e io feci roteare la catena sopra la testa come se agitassi un piccolo trofeo, quindi mi feci scivolare il ciondolo in tasca, scavalcai il corpo di Claudia morente e corsi dietro a Louis, in strada.

Mesi dopo, mi ero ritrovato il ciondolo in tasca e lo avevo guardato alla luce. Quando il ritratto era stato dipinto, lei era una bambina viva, ma il Sangue Tenebroso le aveva conferito quella sdolcinata perfezione artistica. Era quella, la mia Claudia, e io avevo lasciato il medaglione in un baule. Come fosse finito presso il Talamasca, non lo sapevo proprio.

Lo tenni fra le mani. Alzai lo sguardo. Era come se fossi appena stato là, in quella catapecchia, e adesso invece mi trovavo lì, a fissare David. Mi aveva parlato, ma io non lo avevo sentito. D’un tratto però la sua voce mi giunse, chiara.

«Faresti questo a me?» m’interrogò, col timbro della voce che però lo tradiva, come lo tradivano le mani tremanti. «Guardala. Lo faresti a me?»

Guardai il minuscolo volto di Claudia, poi di nuovo lui.

«Sì, David», risposi. «Le ho detto che lo avrei fatto ancora. E lo farò a te.»

Lanciai fuori il medaglione, che volò sulla veranda, sulla spiaggia e infine cadde nel mare. Per un istante, la catenella sembrò uno strappo dorato nel tessuto del ciclo, poi sparì come se fosse stata inghiottita da una luce splendente.

Lui si ritrasse con una velocità che mi stupì, appiattendosi lungo il muro. «Non farlo, Lestat.»

«Non mi opporre resistenza, vecchio mio. È fatica sprecata. Ti aspetta una lunga notte di scoperte.»

«Non lo farai!» gridò, con una voce così bassa da parere un ruggito. Mi balzò addosso, come se pensasse di potermi sbilanciare, ed entrambi i suoi pugni mi colpirono il petto: io non mi mossi. Allora ricadde all’indietro, stremato dallo sforzo; mi fissava con gli occhi pieni di lacrime e colmi di puro sdegno. Ancora una volta il sangue gli era affluito alle guance, scurendo la carnagione. E soltanto allora, comprendendo la totale inutilità della sua difesa, cercò di fuggire.

Lo afferrai per il collo prima che raggiungesse la veranda. Lasciai che le mie dita massaggiassero la carne mentre si dibatteva come un animale, nel tentativo di svincolarsi dalla mia presa e liberarsi. Lentamente lo sollevai e, circondando senza sforzo la sua nuca con la sinistra, feci penetrare i denti nella bella, giovane pelle profumata del suo collo, e accolsi il primo getto ribollente di sangue.

Ah, David, il mio adorato David. Non mi ero mai calato in un’anima che conoscessi così bene. Quanta consistenza, quale meraviglia c’era nelle immagini che mi avvolsero: la dolce e splendida luce del sole che tagliava la foresta di mangrovie, lo scricchiolio dell’erba alta nel veldt, il colpo del grande fucile e il tremore della terra calpestata dall’elefante. Era tutto lì: tutte le piogge estive che scrosciavano senza fine nella giungla, l’acqua che risaliva fin sulle assi della veranda e il ciclo lampeggiante di fulmini. E sotto tutto ciò il suo cuore batteva, ribellandosi, recriminando… Mi tradisci, mi tradisci, mi prendi contro la mia volontà… E poi c’era il ricco, profondo, salato calore del sangue stesso.

Lo gettai all’indietro. Era abbastanza, come prima bevuta. Lo osservai lottare per mettersi in ginocchio. Che cosa aveva visto durante quei secondi? Sapeva com’era nera e caparbia la mia anima?

«Mi ami?» domandai. «Sono l’unico amico che hai al mondo?»

Lui strisciava sulle piastrelle. Si aggrappò al fondo del letto e si alzò, poi ricadde, stordito, sul pavimento. Lottò di nuovo.

«Ah, lascia che ti aiuti!» esclamai. Lo feci voltare e lo sollevai e affondai i denti esattamente nel punto di prima, nelle stesse, minuscole ferite.

«Per l’amor di Dio, fermati, non farlo. Lestat, ti supplico, non farlo.»

Supplichi invano, David. Oh, com’era delizioso quel corpo giovane, quelle mani che mi spingevano, perfino nella trance… Di quanta volontà disponi, mio bell’amico. E ora siamo nel vecchio Brasile, non è vero? Siamo in quella stanzetta, e lui sta invocando i nomi degli spiriti del Candomblé. Li sta invocando… Ma gli spiriti verranno?

Lo lasciai andare. Cadde di nuovo in ginocchio, poi rotolò su un lato, con gli occhi sbarrati. Come secondo assalto, poteva bastare.